Riccardo De Palo, Macro, il Messaggero 11/1/2014, 11 gennaio 2014
MINT – LA SFIDA PER LA CRESCITA DEI NUOVI EMERGENTI
LO SCENARIO
Jim O’Neill, l’economista che ha reso popolare il termine BRICS per indicare Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica - ovvero i Paesi emergenti, dotati di maggiori prospettive di sviluppo - ne sta diffondendo a macchia d’olio uno nuovo, MINT. Un’altra sigla che indica Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia, ovvero le prossime nazioni da tenere d’occhio. «Tutti questi Paesi - ha spiegato l’ex stratega di Goldman Sachs - hanno un andamento demografico favorevole per i prossimi vent’anni, e le loro prospettive economiche sono interessanti».
Poco importa che il termine non sia stato coniato da O’Neill, ma da Fidelity, un grande consulente bostoniano specializzato in asset management. Chi per lavoro si occupa di indirizzare investitori e governi verso una direzione o l’altra, hanno subito preso per buone le indicazioni dell’economista britannico. Ma perché proprio questi Paesi? Quali sono le ragioni che fanno sperare in un boom prossimo e venturo?
MESSICO
Il presidente Enrique Peña Nieto, in carica da un anno dopo una campagna elettorale segnata dalle critiche di alcuni movimenti per i suoi atteggiamenti autoritari, ha avviato una serie di riforme di cui il Messico ha davvero bisogno. Narcotraffico, criminalità dilagante - che vanno a braccetto con un tasso di povertà endemico - continuano però a porsi come nodi importanti da risolvere. Le prime mosse del presidente sono state audaci. Cambiamenti costituzionali sono stati apportati allo scopo di permettere maggiore presenza dei privati nel settore energetico, in forte crisi. Però, dopo i primi provvedimenti nei campi dell’educazione, delle telecomunicazioni e del fisco, la prima spinta propulsiva sembra essersi inceppata. «L’attesa delle riforme - ha spiegato al Guardian l’economista Carlos Elizondo - ha dato qualche vantaggio al Paese, ma ora il governo deve vararle». Gli esperti stimano che ci vorranno ancora anni prima che il Pil salga più dell’1,3% segnato l’anno scorso, in modo che la crescita incida veramente su quella metà della popolazione che vive ancora nell’indigenza.
INDONESIA
Secondo O’Neill, il più popoloso Paese musulmano al mondo potrebbe orgogliosamente comparire tra i BRIC al posto della Russia, se solo ci fosse la diffusa sensazione che l’Indonesia «possa davvero realizzare il proprio potenziale velocemente». C’è poi un particolare che si pone come ulteriore ostacolo per la fiducia degli investitori. In questi giorni il governo di Giakarta sta premendo per il varo di una legge che vieterà l’esportazione di minerali grezzi. Si tratta di una misura di stampo nazionalista, voluta dal presidente Susilo Bambang Yudhoyono, che cerca di evitare l’esportazione incontrollata di risorse. La crescita, però, seppure diminuita, appare ancora consistente. La ripresa dei consumi ha fatto schizzare il Pil al 6% annuo ma le misure protezionistiche faranno sentire il loro peso. La produzione di nickel scenderà dell’80% e il crollo della bauxite sarà quasi totale, il 98%.
NIGERIA
Stupisce che proprio in questo Paese dell’Africa occidentale - martoriato da una miriade di problemi come povertà, criminalità, terrorismo - si vendano fiumi di champagne Moët & Chandon a una clientela esigente e in crescita. Non solo attacchi agli oleodotti e attentati, dunque. Chi vuole correre il rischio (e sono molti) in questo Paese di 170 milioni di abitanti a maggioranza islamica, può investire in una crescita sicura, da un decennio al 7% del Pil. I consumi sono in rapida espansione e la Nigeria è diventato il mercato più importante (più che la stessa Irlanda) della birra Guinness. Il sottosviluppo, in molti campi, è però ancora endemico. La produzione di corrente elettrica è assolutamente insufficiente e nelle coste meridionali, nel delta del Niger, dove vengono estratti due milioni di barili di petrolio al giorno, la corruzione e la violenza sono all’ordine del giorno. Secondo la Banca Mondiale, il Paese è al 147esimo posto (su 189) in tema di corruzione e mancanza di trasparenza. Caro presidente dal nome programmatico, Goodluck Jonathan, molto resta ancora da fare.
TURCHIA
Gli undici anni di potere cominciano a farsi sentire per Recep Tayyip Erdogan, alle prese con una delle più gravi crisi dall’inizio del suo mandato come primo ministro. I suoi successi sono sotto gli occhi di tutti: l’inflazione (nel 2002 al 100%) è scesa considerevolmente, la crescita è rimasta stabile sopra il 4%. Il suo partito di ispirazione islamica, l’Akp, ha creato un substrato economico di grande apertura e potenza di fuoco; ora gli scandali di corruzione, costati il posto a più di un ministro, rischiano di vanificare lo sforzo. Tuttavia, sostiene il ministro delle Finanze Mehmet Simsek, «i fondamentali macroeconomici sono forti, il settore bancario è in salute e le finanze pubbliche hanno forze sufficienti a rispondere» alla crisi dei mercati.
Riccardo De Palo