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 2014  gennaio 11 Sabato calendario

IL PASTICCIO DEL CANALE DI PANAMA GLI EUROPEI RISCHIANO L’ESCLUSIONE


Inaugurato nell’agosto del 1914, il canale di Panama voleva festeggiare i suoi cento anni col completamento dei lavori di raddoppio: via d’acqua più larga e profonda e nuove chiuse per consentire il transito dei cargo giganti, fino a 350 metri di lunghezza e 18 metri di pescaggio (la parte della nave al di sotto della superficie dell’acqua). Ma una serie di difficoltà tecniche ha portato a un rinvio di un anno della conclusione dei lavori, iniziati nel 2007.
E ora una disputa tra il governo di Panama e il consorzio europeo Gupc (composto dalla spagnola Sacyr e dall’italiana Impregilo, con i belgi di Jan De Nul e la panamense Constructora Urbana in posizione più defilata) rischia di bloccare tutto. E l’amministrazione del canale minaccia addirittura di azzerare l’opera e di affidarsi ad altre imprese di costruzione: cosa abbastanza inverosimile, visto che il nuovo canale è già stato realizzato per oltre il 70 per cento.
Il copione sembra quello già visto tante volte in passato nelle grandi commesse internazionali. Gli esecutori dell’opera che chiedono più soldi perché i costi sono aumentati, mentre il committente recalcitra. Qui, però, le cose sono più complesse: ci sono di mezzo gestori del canale che, in mani statunitensi fino al 1999, è passato solo da pochi anni sotto la guida dei tecnocrati panamensi. I quali, oltre alla scarsa esperienza, scontano forti condizionamenti politici in un Paese che vive una turbolenta vigilia delle elezioni presidenziali (si vota a maggio).
Gli elementi per un «thriller» a cavallo tra politica e affari ci sono tutti: dopo Noriega, il dittatore deposto dagli americani 25 anni fa, a Panama è sbocciata una fragile democrazia. Il presidente uscente (e non ricandidabile), il socialdemocratico Ricardo Martinelli, sta cercando un successore in famiglia (potrebbe toccare alla moglie) o tra i fedelissimi del suo partito. Ma farà fatica a recuperare: i sondaggi danno in vantaggio il partito conservatore, oggi all’opposizione. In un Paese nel quale il Canale è l’attività principale, la maggiore fonte di ricchezza, la tentazione del presidente è quella di recuperare consensi avvolgendosi nella bandiera della battaglia nazionale contro il «vorace» consorzio straniero.
Martinelli la butta sul diplomatico, chiede l’intervento dei governi di Madrid e Roma. Sullo sfondo, poi, c’è il sospetto del consueto complotto americano. Sul Canale gli Usa hanno il dente avvelenato: quando, nel 2009, nella gara per le nuove chiuse il consorzio europeo la spuntò sulla statunitense Bechtel, Washington non la prese bene. I cablogrammi allora trasmessi dall’ambasciata Usa di Panama, pubblicati tre anni fa da WikiLeaks, rivelano una certa irritazione: «Gli spagnoli del consorzio hanno vinto offrendo un prezzo troppo basso: sicuramente chiederanno un adeguamento in corso d’opera». In effetti è andata così e ogni dubbio è lecito, ma è anche vero che Bechtel fu bocciata per le carenze tecniche del suo progetto, prima ancora che per la cifra più elevata che aveva richiesto.
Nel frattempo, poi, sono cambiate molte altre cose nel contratto per la realizzazione del nuovo canale. L’amministrazione del canale, ad esempio, ha chiesto l’impiego di un calcestruzzo di qualità migliore e, quindi, più costoso. Una delle tante modifiche documentate del progetto. Ma le 99 richieste di adeguamento fin qui avanzate dal consorzio sono state respinte in blocco dal governo panamense che non è nemmeno entrato nel merito. Né accetta la mediazione arbitrale prevista dal contratto.
Una posizione durissima, quella di Panama, che ha alle spalle gli avvocati di un grande studio legale Usa: lo stesso che lavora per la Bechtel. La conferma di una cospirazione dietro le quinte? I primi a non crederlo sono gli stessi membri del consorzio europeo: tre quarti dei lavori sono già stati completati, mentre valvole e cancelli delle chiuse, realizzati in Italia, sono pronti alla consegna.
Troppo tardi per Bechtel per rientrare in gioco: bisognerebbe rivedere tutto il progetto, con un ritardo di almeno tre anni che costerebbe parecchi miliardi di mancati introiti al governo di Panama: molto più dell’adeguamento (1,6 miliardi di dollari) chiesto dalle imprese costruttrici. Sarebbero guai grossi anche per i porti statunitensi della costa atlantica come quello di Houston che si sono già attrezzati per ricevere il traffico aggiuntivo dei supercargo. E infatti il governo Usa non solo non sta ostacolando il consorzio, ma chiede che l’opera sia completata quanto prima.
La resa dei conti arriverà a breve: il 27 dicembre il Gupc ha proposto in una lettera all’autorità del Canale (Acp) una transazione (1,6 miliardi) col versamento immediato di 400 milioni di dollari da parte del governo per finanziare il completamento dei lavori. L’amministratore del Canale, Jorge Quijano, sostiene di non aver ricevuto quella lettera e di aver appreso tutto dai giornali. Con quelli locali che parlano di divisioni nel consorzio, perché la Impregilo (gruppo Salini), ha parlato anche di una soluzione alternativa che costerebbe «solo» un miliardo in più al governo panamense.
Adesso Quijano minaccia di stracciare il contratto e di rivolgersi ad altre imprese se entro il 20 gennaio il Gupc non farà marcia indietro. Ma sarebbe un atto illegale: il contratto attuale prevede, in caso di controversie, il ricorso all’arbitrato di un collegio che ha sede a Miami con un eventuale ricorso di seconda istanza alla corte di Parigi. Anche i contrasti nel consorzio vengono smentiti: la proposta alternativa dell’Impregilo, in realtà, è la stessa della lettera del consorzio che prevede due opzioni. La prima è quella di un aumento, secco e definitivo, del prezzo di un miliardo di dollari. La seconda prevede un aumento maggiore (1,6 miliardi), ma da sottoporre alle verifiche arbitrali che potrebbero limare il prezzo.
A questo punto, più che economico, il problema sembra essere di volontà politica. Madrid si è già attivata mandando a Panama il ministro dei Lavori Pubblici. Il governo Letta, invece, fin qui non è intervenuto: un po’ per non assecondare il tentativo del presidente Martinelli di politicizzare l’affare, un po’ perché, quando si parla di Panama, in Italia comincia subito ad aleggiare il fantasma di Valter Lavitola, anche se i suoi affari (e il relativo giro di tangenti) riguardavano la costruzione di carceri: niente a che fare col Canale.
Massimo Gaggi