Tiziana Lo Porto, la Repubblica 11/1/2014, 11 gennaio 2014
BERNARDO BERTOLUCCI “IL MIO CINEMA NATO FUMETTI”
«Una sera ero stato invitato a una proiezione di Io e te organizzata da Massimo Ammaniti per la Spi, la Società Psicoanalitica Italiana. Dopo il film avrei dovuto parlare con gli psicanalisti, ma avevo troppo dolore alla schiena per andare. E allora ho chiamato Ammaniti per dirgli che avrei rinunciato. E lui: e che fai? Mi guardo il film sui supereroi della Marvel». È quasi mezzogiorno e Bernardo Bertolucci sta facendo colazione nel soggiorno di casa sua. Ma poi il film sui supereroi gli è piaciuto? «Un po’ deludente». Con i supereroi è sempre così, spiega. «Forse quello fatto da Sam Raimi, cos’era? Spiderman, era un po’ meglio». Si ferma di nuovo, ci pensa: «È strano come un film che viene da un fumetto, realizzato con molti soldi ed effetti speciali, alla fine ti sembri sempre meno gratificante di un fumetto. Il fumetto ti fa sognare di più».
Parla dei fumetti che ha letto, di quelli che gli piacciono, racconta che ultimamente legge molte graphic novel: «Sull’argomento ho come due pensieri paralleli. Uno è: oh che bello, il fumetto è stato in qualche modo nobilitato. E dall’altra parte però mi dico che le graphic novel non sono altro che la derivazione diretta del fumetto. Sono il tentativo di avvicinare ulteriormente il fumetto alla letteratura. I vecchi giornalini, mi chiedo io, non contenevano dentro quello che poi sarebbero state le graphic novel?».
La sua graphic novel preferita, tra le ultime lette, è Black Hole di Charles Burns. «Mentre leggevo c’era un costante senso di pericolo». Poi torna indietro, e racconta dei fumetti letti da bambino, quelli che il padre Attilio gli permetteva di leggere ritenendoli «una forma popolare ma importante».
Dice Bertolucci: «Da bambino ho letto moltissimi giornalini, come li chiamavamo allora. Mio padre era molto favorevole al fatto che li leggessi, ed era molto permissivo sulla scelta. Non solo fumetti di Walt Disney, ma anche fumetti d’avventura e d’azione, di quelli che si leggevano a fine anni Cinquanta, inizio Sessanta. Poi a volte, siccome ero piccolo, facevo vedere i fumetti a mio padre, e mi ricordo, o non mi ricordo e l’ho inventato io, che lui mi diceva, “beh, in fondo anche la storia di Francesco dipinta da Giotto ad Assisi è un fumetto”. Avendomi sdoganato i fumetti mio papà, avendoli avvicinati a Giotto, li ho sempre accettati, non ho avuto mai quello sguardo un po’ trasversale che hanno gli intellettuali nei confronti dei fumetti. Non so come siano nei confronti della graphic novel. Non so se sia stata accettata come arte nobile anche quella. È stata accettata?».
Dipende. I più illuminati l’accettano, e anzi trattano le graphic novel come romanzi. Altri no. E lui: «Adesso che leggo graphic novel, che del fumetto sono un po’ la sublimazione in senso letterario e grafico, il distillato, capisco perché mio padre avesse in simpatia il fumetto. È come il discorso sui generi: bisogna giudicare un’opera, un film per esempio, a seconda del genere? O bisogna liberarsi del pensieroche appartiene a un genere? Per esempio, c’è un film di vampiri che si chiama Lasciami entrare, credo sia svedese. Ed è un vero film di vampiri. È di genere, ma è bellissimo. Le graphic novel, quantomeno quelle che ho letto io, mi sembra contengano tutte il tentativo di sfuggire a un genere, di liberarsi dei generi».
Le graphic novel sono vicine al cinema? Lo sono più del fumetto? «Sì, alcune volte. Alcune volte ci sono delle soluzioni che fanno pensare al cinema. Anche nel tuo su Scott e Zelda, ci sono dei passaggi che mi fanno venire in mente il cinema. Ed è importante tutto il fuori campo, quello che non si vede, ma si sente che è accaduto, o che accadrà. In Superzelda c’è sempre questa pienezza del fuoricampo. Ma io raramente sono riuscito a vedere il cinema in un fumetto. Negli anni Sessanta un pochino lo sentivo in Crepax, e nelle storie di Valentina».
«Lì per esempio mi divertiva molto vedere che su Crepax c’era l’influenza di Godard. C’era moltissimo. Valentina è una Anna Karina che imita Louise Brooks in Lulù. Valentina è come Anna Karina in Vivre Sa Vie, è identica. Ed è evidente come Crepax fosse influenzato da Godard non solo nell’avere creato un personaggio che somiglia a quello di Vivre Sa Vie, ma proprio nel montaggio, nel taglio delle inquadrature. Il suo lavoro è come una elaborazione su Godard. Eppure ai suoi tempi quella di Crepax non era considerata arte. Quantomeno non da tutti. Solo alcuni, appunto illuminati, la consideravano una vera e propria forma d’arte».
Si domanda se non sia stata l’invenzione della parola “graphic novel” a sdoganare quelle storie, ad avvicinarle all’arte. Chiede chi l’abbia inventata la parola. La risposta è Will Eisner, che è stato il primo a mettere insieme la parola “graphic” e la parola “novel”. E che sì, forse l’invenzione della parola è stata più importante del disegnarle.
E le sue influenze? Lui ci pensa, poi cita Sciuscià, un fumetto che leggeva da bambino. «Lo leggevo a otto, nove e dieci anni. Era un’unica striscia. E dentro la striscia c’erano a volte vari disegni, a volte uno solo, più spettacolare. Era la storia di tre ragazzi che dalla Sicilia salivano verso Milano nel ’43-44, ed era scritto poco dopo. Quando ho visto Paisà di Rossellini ho pensato, ma guarda, è come quel fumetto che leggevo da piccolo, in cui anche questi tre ragazzini, molto avventurosi, salivano piano piano, portavano la liberazione dal sud al nord. E poi c’era Tex Wil-ler, personaggio che ho conosciuto negli anni Cinquanta, e col passare del tempo non è mai invecchiato. Come personaggio dei fumetti, lui non invecchia. Cambia nel tratto ma non invecchia. E l’ho messo nel mio film Io e te. Jacopo Olmo Antinori, il ragazzino che interpreta Lorenzo, lo leggeva, e allora a un certo punto l’ho usato».
E da Tex Willer si ritorna alla distanza tra fumetto e graphic novel, al fatto «che il fumetto è seriale, la graphic novel no. Questa è una cosa che in fondo mi manca un po’. Nella sua purezza, nel suo essere conclusa in sé, la graphic novel viene un pochino a mancare di un aspetto che era enormemente importante quando ero bambino, ossia che aspettavo con trepidazione il giorno in cui sarebbe arrivato un nuovo episodio di Tex Willer».