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 2014  gennaio 11 Sabato calendario

“NON SIAMO SCHIAVI DEL DENARO COME NEL FILM” L’ORGOGLIO DELLA BRIANZA, MINI-BAVIERA D’ITALIA


Una nazione senza confini precisi e orfana di una capitale degna di questo nome. Battezzata con l’etimo di un nome celtico che significa “collina verde”, ma 94esima (su 110 provincie italiane) per la concentrazione di biossido d’azoto. Seconda per tenore di vita nel Belpaese ma regina delle morti per tumori. Ha un bel dire Paolo Virzì, per dribblare le polemiche, che la sua Ornate — la cittadina dove è ambientato il suo film “Il capitale umano” — «è una metafora, una località inventata ». La verità è che tutta la Brianza, malgrado i suoi 25 miliardi di pil, è una «città infinita» (copyright del sociologo Aldo Bonomi) prigioniera delle sue contraddizioni e da un secolo in cerca della sua identità.
La certezza, numeri alla mano, è una: «Siamo una mini-Baviera che in cento anni ha saputo creare 64mila imprese», dice orgoglioso Dario Allevi, presidente della Provincia di Monza e Brianza. Ce ne sono 155 per chilometro quadro, contro le 34 della Lombardia e le 17 del resto d’Italia. «Mio nonno ha costruito un capannone piccolo. Mio padre uno grande. Io uno grandissimo. E mio figlio si droga», racconta il brianzolissimo Ing. Perego portato sul palco da Antonio Albanese. Teatro? No. «La Brianza è questo — dice Bonomi — . Il vero valore unificante di questa “terra che non c’è” è la cultura del lavoro e dell’impresa». E i risultati si vedono: il reddito medio viaggia al confortevole livello di 29.376 euro a testa. L’Università della Sapienza dice che questo fazzoletto di Lombardia è al secondo posto sia nella classifica tricolore dei consumi pro-capite — con una spesa di 1.226 euro al mese — che in quella del valore aggiunto, vale a dire la ricchezza prodotta.
Il regno degli schiavi del denaro, come racconta il film di Virzì? «No. Magari mancherà una cultura collettiva. Ma questa è una terra di lavoratori meravigliosi», garantisce Dj Albertino, inventore di quel geniale “Marco Ranzani di Cantù” che con il suo Porsche Cayenne imperversa da anni nell’etere tricolore. «Io ho vissuto a Carimate. Chi abita lì non conosce chi sta a Erba e viceversa — racconta — . Ma Ranzani è un’eccezione. Il vero ritratto antropologico dell’imprenditore brianzolo è quello che passa tutto il giorno in camice nella sala macchine anche se la sua azienda fattura centinaia di milioni». Il prototipo di quell’individualismo proprietario e di quella cultura dove «ognuno è padrone a casa sua — come dice Bonomi — che la sinistra italiana non ha mai capito davvero». Il Salone del Mobile milanese — tempio delle nottate radical-chic dei creativi meneghini — «non esisterebbe senza la fantasia e la produzione della 2.320 aziende del legno dell’hinterland», ride il sociologo.
Lavoro e sudore, sudore e lavoro. Non c’è da stupirsi se un’identità costruita coi sacrifici abbia plasmato un territorio a sua immagine e somiglianza. Le ville costruite nell’800 dalla borghesia milanese e quelle collezionate da Silvio Berlusconi sono oasi a sé. Il paesaggio «gelido, ostile e minaccioso » evocato da Virzì per la mitologica Ornate è più reale di quanto si pensi. «Una volta questo doveva essere un gran posto — dice con nostalgia Davide Bernasconi, in arte Van Der Sfross — . Oggi è una collana di paesi, supermercati e case alveari». «Una valle di semafori dove ci si confessa nei citofoni», canta lui con un certo pragmatismo. Siamo nel regno del binomio «villetta-capannone », per dirla con Bonomi, il vero marchio di fabbrica — mai parola fu più adatta — di un territorio dove l’identità collettiva nasce sotto il segno dell’osmosi tra vita quotidiana e mestiere.
Ha ragione Virzì allora? La Brianza è un «grumo di villette pretenziose dove si celano illusioni e delusioni sociali? I numeri, a dire il vero dicono di no. Malgrado gli sberleffi cinematografici, il 96esimo posto in Italia (su 110 provincie) per concentrazione di Pm10 e i 4mila metri quadri al giorno di verde divorati dal cemento — meglio solo di Napoli — la gente continua a venire qui: «Dal 1951 ad oggi la popolazione è aumentata del 251%, di gran lunga il record nazionale», ricorda sempre Carlo Edoardo Valli, direttore della Camera di Commercio locale. Perché? «Perché al di là dei facili stereotipi questo è un territorio ricco non solo di soldi ma di valori» assicura Bonomi. «Qui ho conosciuto imprenditori viziati e viziosi come quelli dei cliché — ammette Van Der Sfross — ma anche altri che hanno venduto tutto e sono andati in Perù a costruire scuole per i bambini». «In provincia abbiamo oltre mille associazioni no-profit, una concentrazione che non ha pari nel nostro paese», calcola Valli.
Questa rete sociale — alla faccia delle semplificazioni cinematografiche — ha fatto da paracadute alla Brianza anche in questi anni di crisi. Altro che avidi imprenditori assetati di denaro. La disoccupazione da queste parti è ancora ferma al 7,8% ma — come è successo in tutto il Nord — la crisi ha picchiato duro. «Molti imprenditori hanno pagato caro non solo a livello finanziario ma anche personale le difficoltà di questi ultimi tempi», dice il presidente della Provincia. Gordon Gekko e gli squali di Wall Street sono un altro film. «Qui c’è chi ha speso fino all’ultimo centesimo dei suoi risparmi per salvare aziende e posti di lavoro», continua. «La Brianza in questo non è diversa dal resto del paese — spiega Bonomi — . Sta sperimentando la proletarizzazione del ceto medio e i corti circuiti della recessione, tant’è che la Camera di Commercio di Monza è stata la prima in Italia ad aprire un centralino d’assistenza psicologica per imprenditori che stanno pensando al suicidio».
Brianza, Italia. Per una terra che non c’è, senza confini ma in cerca d’identità, riaffogare nel calderone nazionale è un passo indietro. «Ci siamo dovuti rimboccare le maniche e ci abbiamo messo trent’anni per far riconoscere a Roma che esistiamo — conclude Valli — . Ma l’orgoglio per il nostro territorio e la consapevolezza della nostra identità si sono formati proprio così, lungo il percorso che ha portato alla nascita dopo tanta fatica della provincia di Monza e Brianza». La possibilità che si tratti di una conquista effimera è alta: tra poche settimane il Governo potrebbe procedere all’abolizione delle province. E la Brianza, oggi finalmente un nome su una carta geografica, rischia di tornare a essere — manco l’Italia fosse un film di Virzì — solo una categoria dell’anima.