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 2014  gennaio 12 Domenica calendario

L’AMORE FATALE PER UNA FANCIULLA MORTA

Fedele segre­ta­rio e liberto di Adriano, Fle­gonte di Tralle col­ti­vava uno scru­po­loso e fer­vido inte­resse per le sto­rie di morti che tor­nano in vita, le teste tron­cate dal corpo in grado di par­lare e pro­fe­tare, le ossa dei giganti, gli ora­coli, le meta­mor­fosi ses­suali e i parti mostruosi. Col­le­zio­nava insomma ogni spe­cie di noti­zia inquie­tante su quella che per con­ven­zione defi­niamo la nor­ma­lità umana. Come un impero, anche que­sta nor­ma­lità ha dei con­fini, sui quali pre­mono nemici minac­ciosi e ine­spli­ca­bili. Non è il rac­ca­pric­cio in sé che inte­ressa Fle­gonte, ma una sostanza più vischiosa e inva­dente, l’angoscia e addi­rit­tura la com­mo­zione che il pro­di­gio mostruoso è in grado di generare.

È una gioia che la smilza opera com­pleta di uno spi­rito così biz­zarro sia final­mente acces­si­bile anche ai pro­fani (Fle­gonte di Tralle, Il libro delle mera­vi­glie E tutti i fram­menti, a cura di Tom­maso Brac­cini e Mas­simo Scor­sone, «Nuova Uni­ver­sale Einaudi», pp.LXXXVIII-120, euro 25,00). Tanto più che la memo­ria della sua opera si è con­ser­vata nei secoli per motivi tutt’altro che stret­ta­mente filo­lo­gici e anti­quari. Le sue sto­rie di reve­nants e teste moz­zate furono prese molto sul serio dagli ultimi neo­pla­to­nici, inte­res­sati a sco­vare fatti che, con una certa appa­renza di veri­di­cità, fos­sero in grado di con­fer­mare il mito di Er, il sol­dato che fa ritorno dalla morte in un cele­bre brano della Repub­blica. E dopo la sco­perta del mano­scritto con­ser­vato per secoli nel palazzo impe­riale di Bisan­zio, e la prima stampa cin­que­cen­te­sca, se ne impos­ses­sa­rono i demo­no­logi per i loro fami­ge­rati manuali ad uso degli inquisitori.

Dai demo­no­logi reali agli ammaz­za­vam­piri imma­gi­nari, poi, il passo è breve: ed ecco un’edizione di Fle­gonte nella biblio­teca del barone Vor­den­burg, uno dei pro­ta­go­ni­sti della Car­milla di John She­ri­dan Le Fan. Natu­ral­mente, Fle­gonte ha anche un posto che gli spetta di diritto nelle Memo­rie di Adriano di Mar­gue­rite Your­ce­nar, dove il segre­ta­rio com­muove l’imperatore e i suoi amici con una delle sue sto­rie di spet­tri, di cui garan­ti­sce l’autenticità. È una situa­zione arche­ti­pica della let­te­ra­tura fan­ta­stica: il nar­ra­tore che cat­tura l’attenzione di un gruppo di ascol­ta­tori riu­niti attorno a un fuoco, men­tre scor­rono lente le ore della notte… Your­ce­nar, insomma, fa di Fle­gonte un lon­tano ante­nato del Dou­glas del Giro di vite di James: colui che pro­mette al gruppo di amici riu­nito per le feste di Natale in una casa di cam­pa­gna la sto­ria più ter­ri­fi­cante di tutte. Nel passo delle Memo­rie di Adriano in cui è imma­gi­nata la scena c’è un pic­colo errore, per­ché la sto­ria di Fle­gonte si inti­tola La fidan­zata di Corinto. In realtà la ter­ri­bile vicenda di Filin­nio e Macate si svol­geva ad Anfi­poli, città della Mace­do­nia, ai tempi del re Filippo II, a metà del IV secolo avanti Cri­sto. Prima di Mar­gue­rite Your­ce­nar, era stato nien­te­meno che Goe­the a cadere nell’errore, dovuto al fatto che nel mano­scritto di Fle­gonte c’è una lacuna pro­prio all’inizio del rac­conto. Fle­gonte però non aveva inven­tato nulla, e da altre ver­sioni si può rico­struire la vicenda nella sua interezza.

Uno dei feno­meni più sin­go­lari dello spi­rito umano è la soprav­vi­venza di certe sto­rie, men­tre la stra­grande mag­gio­ranza affonda ine­so­ra­bil­mente nella dimen­ti­canza. Nel momento stesso in cui mi accingo a rac­con­tarla un’altra volta, provo l’emozionante sen­sa­zione di rico­prire, per qual­che tempo, il ruolo dell’ultimo anello di una catena di tra­smis­sione il cui scopo e il cui signi­fi­cato, d’altra parte, mi sfug­gono com­ple­ta­mente. C’è da cre­dere che nel momento stesso in cui noi effet­ti­va­mente affer­riamo il senso di una certa sto­ria, invece di tra­man­darla la ucci­diamo. Ebbene, Filin­nio è una bel­lis­sima fan­ciulla mace­done, morta poco dopo il matri­mo­nio con un certo Cra­tero. Dopo qual­che mese, a casa dei suoi geni­tori arriva un ospite, Macate, che viene siste­mato in una spe­cie di fore­ste­ria. Di notte, viene visi­tato dalla morta, inna­mo­rata dello stra­niero, che non sospetta nulla di strano in quella sua con­qui­sta. I due gio­vani si scam­biano dei doni, tra i quali, par­ti­co­lare molto sen­suale, la «fascia pet­to­rale» di Filin­nio. Accade però che la gover­nante si accorge della pre­senza della gio­vane nella camera di Macate, e dopo averla rico­no­sciuta informa subito i geni­tori del fatto così scon­cer­tante. La notte suc­ces­siva, i geni­tori sor­pren­dono la figlia morta, che si adira con loro per l’imprudente intru­sione. «Voi scon­te­rete la vostra inva­denza con un nuovo lutto», assi­cura Filin­nio al padre e alla madre. Non era arri­vata lì senza la volontà degli dèi, e adesso i padroni di casa si ritro­ve­ranno di fronte al cada­vere della figlia già sep­pel­lita e morta una seconda volta.

In tutte le sto­rie di reve­nants di Fle­gonte, que­sta «volontà degli dèi» rimane alquanto miste­riosa e inaf­fer­ra­bile: con una spe­cie di sgo­mento meta­fi­sico, il nar­ra­tore si limita a regi­strare l’abissale alte­rità che separa le leggi di que­sto mondo e quelle dell’aldilà. Non resta che bru­ciare, secondo le indi­ca­zioni di un indo­vino all’assemblea, il corpo di Filin­nio. Ma la sto­ria ha un ultimo colpo di coda pate­tico, per­ché l’inconsapevole Macate, pur essendo del tutto all’oscuro del fatto che la donna con cui faceva l’amore era morta, una volta saputa la verità «si uccide per l’angoscia». Lo sven­tu­rato con­qui­sta­tore si tra­sforma in un indi­vi­duo troppo fra­gile per resi­stere a un’irruzione così insi­diosa della morte nella vita. E se è lecito cogliere tra le righe qual­cosa che il testo non esprime diret­ta­mente, si direbbe che i padroni di casa, e gli altri abi­tanti di Anfi­poli, non fac­ciano nulla per con­so­lare e sal­vare Man­cate, e se non lo esor­tano, certo non gli impe­di­scono di com­piere la sua espiazione.

Secondo una regola che la let­te­ra­tura e il cinema dell’orrore non hanno mai smen­tito, il desi­de­rio ses­suale è il vet­tore pri­vi­le­giato della morte, e il testi­mone del pro­di­gio ne è, nella mas­sima parte dei casi, anche la prima vit­tima. Si capi­sce bene per­ché l’Adriano di Mar­gue­rite Your­ce­nar, invece che spa­ven­tato, si dichiari com­mosso dal rac­conto del suo segre­ta­rio. Quanto a noi, per rac­con­tare in que­sto modo la sto­ria abbiamo biso­gno di restau­rarla, uti­liz­zando per la parte mutila in Fle­gonte il com­mento del neo­pla­to­nico Pro­clo alla Repub­blica di Pla­tone, che dichiara di aver cono­sciuto la vicenda di Filin­nio dagli scritti di un certo Nau­ma­chio Epi­rota. Risa­lendo al con­tra­rio la catena dei nar­ra­tori di una sto­ria così agghiac­ciante, noi pro­ce­diamo verso un auten­tico cuore di tene­bra. In quell’oscurità, biso­gna sup­porre che qual­cuno, chissà in quale occa­sione, abbia rac­con­tato per la prima volta le avven­ture della morta inna­mo­rata e del povero Macate. E quel primo nar­ra­tore, così pros­simo ai suoi spet­tri che facil­mente potrebbe con­fon­dersi con essi, e privo di volto com’è, in fondo è la figura più spa­ven­tosa di tutte.

Quando arrivò nelle mani di Fle­gonte, la sto­ria di Filin­nio e Macate doveva essere già con­sunta come una reli­quia, o un osso levi­gato da secoli di una bestia di cui fosse impos­si­bile imma­gi­nare la forma da viva. Ma di sicuro sua, e già moder­nis­sima, è l’osservazione sulla vicenda, che rap­pre­senta sia «una scia­gura insa­na­bile», sia «uno spet­ta­colo incre­di­bile». Ogni futuro mae­stro dell’orrore dovrà pro­vare il suo talento pro­prio in que­sto dif­fi­cile con­nu­bio: la tra­ge­dia senza rime­dio, da un lato, e dall’altro il pro­di­gio capace di destare stu­pore. Per­ché il Male di cui par­liamo non si limita a per­se­guire i suoi fini, ma si mostra agli uomini come quel fatale «spet­ta­colo» che non saranno mai più in grado di dimenticare.