Michele Masneri, RivistaStudio.com 9/1/2014, 9 gennaio 2014
Biografia di Quintino Sella
Suggerimenti per plot e percorsi culturali a chilometri zero in tempi di austerity: ministri delle Finanze naturalmente sobri, salvatori della patria in maniere molto torinesi, understatement ottocenteschi. A marzo saranno i 130 anni della morte di Quintino Sella (1827-1884), tre volte responsabile dell’Economia nell’Italia appena unitaria, spesso ricordato solo per strade minori in compound risorgimentali, invece oggi grazie a un saggio in uscita – Fernando Salsano, Quintino Sella ministro delle Finanze, il Mulino – pronto per tutta una rivisitazione anche estetica di una classe dirigente, e di un ambiente, anche.
Discendente di una antica stirpe di lanieri, dal ’500 nel piemontese, fondatore poi in proprio di una Banca Sella ancora molto operativa, Sella è deputato al parlamento torinese, con vocazione di civil servant naturale, prima di certi nordismi – il figlio intelligente in azienda, quello scemo in Confindustria o a Montecitorio – e si dedica, appena trentacinquenne, al risanamento di uno Stato nascente e già sputtanato e osservato speciale da troike identiche a oggi. Con uno spread nel 1870 di 550 punti, e rating già vergognosi anche in assenza di apposite agenzie, e una spesa pubblica salita del 50% in 10 anni, con un debito pubblico che passa dal 40 al 95% del pil. Liberista, destra storica, ma con damnatio memoriae bipartisan, poi addirittura «pericoloso keynesiano ante litteram» secondo Beniamino Andreatta, Sella risana i bilanci, fonda la Banca d’Italia, si butta in tre tornate in un programma politico che va benissimo anche oggi per destre e sinistre illuminate e job act: ridimensiona le rendite, favorisce il risparmio privato, fa strade e ponti, punta sulla scuola pubblica – senza neanche toglier soldi agli insegnanti.
Primo mandato, 1862, difende l’Italia sconquassata e agricola sui mercati, come un Draghi fa comprare alla Banca Nazionale del Regno tutti i titoli di stato che il Tesoro stampa, pronto a fare «whatever it takes», senza Corti costituzionali tedesche di mezzo. Fa le ferrovie e privatizza. Poi, secondo mandato, 1864-1865, è il periodo della grande austerità con la famosa tassa sul macinato; sorta di über Tasi-Tares-Imu che fa molto arrabbiare il popolo in era pre-forconi, con conseguenti pieni poteri al generale Cadorna di infierire sulla piazza; poteri datigli dal premier effimero Luigi Federico Menabrea, della famiglia della birra hipster. Terzo mandato, 1869-1873, lotta all’evasione fiscale e nuove tasse. Risultati, eterna nomea di affamatore, e però nel 1876 spunta un pareggio di bilancio (ma Sella è già tornato a casa e ha fondato la sua banca di famiglia, e il Club alpini italiano, Cai, e nel frattempo, torinesemente, negli anni di governo, lettere al fratello Gaudenzio, a capo dell’impero della lana: che non si venda neanche un gomitolo allo Stato, per carità, non sia mai che si rischi un conflitto di interessi).
Costumi molto sabaudi, sempre. E forse anche troppo; giansenismi nella Langa. Dai diari di giovinezza: «Esperimento sulla mia costanza. Voglio levarmi appena svegliato, e studiare fino all’ora di ripetizione nei giorni di lavoro; quindi venire dopo la scuola di Plana eccetto che dovessi andare in Biblioteca a casa, e studiare fino all’ora di pranzo, quindi dormire fino alle 7 e mezzo e studiare dalle otto a mezzanotte, e questo nel giovedì e nel sabbato. Venerdì poi voglio studiare fino all’ora di colazione, quindi rimettermi alle undeci, e studiare fino all’ora di pranzo, quindi come al solita. Domenica studio fino all’ora di congregazione, studio fino all’ora di pranzo, dormo fino alle cinque e studio fino alle 12». Insomma certi masochismi e certe claustrofilie che devono essere un topos altoborghese locale, se il vicino di casa marchese Alfieri di Sostegno si faceva legare poco prima alla sua sedia col suo celebre «volli, sempre volli». Ma Sella fa anche di più, va a vivere anche nei boschi: prima di diventare ministro con un suo amico carissimo Felice Giordano, geologo, forse con scenari inediti alla Brokeback Mountain, partono per la Sassonia per studiare come si fabbrica il carbone e non contenti di ciò che vedono in miniere e fonderie, «costruirono una capanna nei boschi presso Kiefersbeek, nella regione dell’Harz», dove vissero per mesi «facendo la vita dei carbonai».
Intanto però la vicenda selliana in tempi di riccometri e Tasi può essere anche utile per un tour a tema parsimonia perduta, gratuito, alle spalle della stazione Termini, (magari nel weekend di doppie beatificazioni papali, partendo dalla statuona-wc di Wojityla alla stazione) in quel quartiere Macao voluto dai piemontesi tirchi e un po’ massoni per le proprie nuove classi dirigenti che in realtà lo avrebbero amato pochissimo.
Tra una statua proprio di Quintino Sella, opera di uno scultore Ettore Ferrari specializzato in eroi risorgimentali (statua di Mamiani a Pesaro, Cattaneo a Milano, innumerevoli di Garibaldi) con quello stile da stazione, bronzo nero e facce scure; qui l’economista troneggia su un piedistallo su cui è seduta una Dea della Giustizia con tette di fuori appuntite e larga gonna stampata, tipo Fortuny, mentre un piccolo Genio della Finanza, glabro e metrosexual e in sovrappeso, regge un libro appunto con su scritto Finanze (e i due strampalati allegorici sembrano scappati dalla mostra sui Mostri mitologici latini e greci invece molto più eleganti e filologicamente corretti di là dalla stazione, a palazzo Massimo). Il monumento troneggia spiaggiato di fronte allo sgarrupato e balneare ministero dell’Economia di Via XX settembre, con le sue palme divorate dal punteruolo rosso, i sistemi antintrusione e anticarro, dove entrava invece Marco Milanese, l’amico del ministro forse poco sobrio Tremonti – con Ferrari Scaglietti; e molti condizionatori appesi alle facciate tipo cadaveri, o tipo quartieri spagnoli. Di fronte, un’agenzia di money transfer specializzata in trasferimenti “Romania, Albania, Repubblica Domenicana”, un negozio di detersivi, un’enoteca risorgimentale.
A via Sella, invece, che fa angolo, c’è un ristorante greco “Parosteo” con cartello “chiuso per lavori”, ed è subito metafora; e poi una banca araba di Emirati, con guardie del corpo e lussi e forse sceicchi finti come in American Hustle. Fuori luogo, coi culti selliani di sobrietà sabaude, anche la sede regionale della Banca d’Italia, detta “Palazzo di Vetro”, con facciata sempre decorata da mutande Giorgio Armani; bene invece la maestosa Cassa Depositi e Prestiti, anche questa invenzione di Quintino Sella, in via Cernaia, palazzone tipo Belgioioso, con atrio trutto-marmi e ciclo pittorico alle pareti però moderne, con pointillisme di vedute romane e quartieri anche nuovi tipo Eur e Casalpalocco, e la data, 1995. E poi, spingersi forse fino al Quirinale, inaugurato da un altro piemontese economista assai sobrio, Luigi Einaudi, che divideva nei banchetti di Stato famose mele e frutti con la consorte veronese donna Ida – nata contessa Pellegrini, e scelta pare proprio in base all’oculatezza, all’attenzione per luci accese e candele in sovrappiù (e nelle tenute Einaudi a Dogliani, i cartelli d’epoca: “Prima di aprire il rubinetto, chiudere il tappo. Lavarsi nell’acqua corrente è uno spreco inutile. Ci si lava altrettanto bene in poca come in molta acqua”).