Pier Paolo Baretta, Europa 11/1/2014, 11 gennaio 2014
VI RACCONTO LA LUNGA STORIA DELLA TASI
La tormentata vicenda della tassazione sugli immobili sembra non avere mai fine. Il governo ha definito, nei giorni scorsi, l’emendamento che prevede la possibilità per i Comuni di aumentare le detrazioni per le famiglie e le fasce più deboli.
Per realizzare questo obiettivo si consente agli enti locali di incrementare le aliquote di Tasi e Imu, da un minimo di 0,1 fino al massimo complessivo dello 0,8. Questo emendamento (che verrà presentato nel decreto sugli enti locali, che avvia, in questi giorni, il suo iter al senato) poteva ben mettere la parola fine alla vicenda.
Ma le fibrillazioni in capo alla maggioranza, con la presa di posizione di Scelta civica, annunciano un dibattito parlamentare vivace.
Eppure, il superamento dell’Imu e della Tares e la introduzione della nuova imposta sui servizi aveva chiuso una prima fase: quella dell’impianto strutturale legato all’abolizione dell’Imu sull’abitazione principale. Restava, certamente, irrisolta la questione delle detrazioni, che con la nuova tassa erano, comprensibilmente, scomparse, trattandosi di una base imponibile diversa; ma, lasciando però scoperte le fasce sociali più deboli, che avrebbero finito per pagare più di prima. Questa stortura andava risolta, e questo fa l’emendamento appena deciso!
Senonché, al senato, in occasione della legge di stabilità, si è deciso di abbassare di un punto la aliquota sulle seconde case, che, con l’11 per mille, compensava l’abbassamento di quella sulla prima casa, fissata, per il 2014, al 2,5. A seguito di ciò si è aperto un buco nei bilanci dei Comuni che l’intervento sulle detrazioni non risolve e sul quale esiste l’impegno del governo, confermato nell’incontro con Anci, di risolvere al più presto, sapendo che la decisione presa di comune accordo è quella di non sforare oltre il 28 febbraio la data per i bilanci comunali.
Entro gennaio, dunque, anche questa partita va chiusa, o direttamente o attraverso interventi di riforma, penso sempre alla urgenza di rivedere il patto di stabilità, che rappresenta ancora, nonostante il miliardo che abbiamo messo a disposizione nella legge di stabilità, il vero ostacolo ad una libera capacità degli enti locali di fare politica in proprio, presupposto fondamentale per un buon federalismo.
Forse, molte delle polemiche che circondano questo argomento girano attorno a questo punto, che invece sta alla base della tassa di servizio: un passo decisivo verso il federalismo fiscale. Ho l’impressione spesso che le critiche non siano sul merito, ma nascondano un dubbio sulla scelta federale che invece noi sosteniamo. La libertà dei sindaci di decidere le modalità, le date e le stesse quantità della imposizione fiscale, rappresenta una svolta che cambia il volto della prospettiva fiscale, nei rapporti tra Stato centrale e comunità locali.
Tra le critiche più diffuse si mette in dubbio che dalla introduzione della nuova tassa i cittadini ne abbiamo un beneficio. Siamo chiari sul punto: i cittadini, possessori di prima casa, pagheranno di più del 2013 – quest’anno, infatti, non è stata pagata per intero la prima casa – ma meno del 2012. Ma di quanto?
Ebbene, proprio la protesta dei sindaci ci aiuta a chiarire; infatti, anche in questi giorni, dopo aver riconosciuto che la questione delle detrazioni è risolta e, non a caso, chiedono al parlamento di approvare l’emendamento del governo, lamentano che dalla nuova tassa entreranno nei bilanci comunali 1 miliardo e mezzo. Dunque, i cittadini pagheranno un miliardo e mezzo in meno dalla introduzione della nuova tassa!
La questione, dunque, è certamente complessa dal punto di vista finanziario e tecnico, ma non dal punto di vista politico. Basta ricordare che la sola abolizione dell’Imu ha prodotto un risparmio di tasse per i cittadini, senza danno per i Comuni, che ha pesato nel bilancio dello stato per quasi 5 miliardi, ben dieci volte in più della pur fastidiosa… mini Imu!