Federico Guerrini, Linkiesta 12/1/2014, 12 gennaio 2014
QUEL CONTAINER È UNA MINIERA D’ORO
Sign O’ The Times, segno dei tempi, direbbe Prince. Perfino nella civilissima Londra, vista da molti giovani italiani come la Terra Promessa, il paese delle opportunità qui a loro negate, la vita non è così semplice come appare. Gli stipendi medi sono sì, più alti, ma a fronte di questo bisogna considerare che anche i costi di alloggio e trasporto sono assai più elevati. E a farne le spese sono come sempre le categorie più svantaggiate, composte in gran parte da persone che lottano per reinserirsi nel mondo del lavoro, dopo esserne state estromesse per un motivo o per l’altro.
«È come una porta girevole – dice Timothy Pain, Ceo della Young Man Christian Association (Ymca) di Forest, a Londra – aiutiamo gli homeless che vengono qui, li alloggiamo nel nostro ostello, li aiutiamo a trovare un lavoro, ma poi tornano da noi, perché non possono permettersi il costo di un alloggio». Inavvicinabili i prezzi londinesi. Alla Ymca si sono inventati così una soluzione originale: riadattare container nuovi, spediti dalla Cina, in mini abitazioni e darli in affitto a prezzo agevolato ai propri protetti. Questi monolocali improvvisati sono stati battezzati mYPad, e i primi due saranno collocati in due siti gestiti dall’associazione nei primi mesi del 2014.
L’affitto sarà di 75 sterline la settimana, e all’interno dei container, per ciascuno dei quali l’associazione ha investito 32.000 sterline per renderli abitabili, c’è tutto il necessario per vivere, seppur in spazi un po’ ristretti: un televisore, un forno a microonde, indispensabile per riscaldare i cibi precotti di cui abbondano i supermercati inglesi; letto, bagno e cucinino. Non sarà un reggia, ma di certo è un’iniziativa molto apprezzata, tanto che la Ong, una volta ottenuto il via libera per l’uso del suolo dove sistemare i primi due mYPad, è stata sommersa di richieste, non solo da parte di homeless. Per il momento tuttavia i container sono riservati agli ospiti dell’istituto, ma Pain non esclude che in futuro questo formato abitativo possa trovare un suo spazio all’interno del normale mondo immobiliare.
Si tratta di certo un po’ di una scommessa, ma non tanto azzardata quanto si potrebbe pensare. Tanto che la stessa idea è venuta anche a un’azienda di Genova, la Phoenix International, che all’ultimo Salone internazionale dell’industrializzazione edilizia di Bologna, nell’ottobre scorso, ha presentato “Box4It”, un progetto per riadattare container marittimi ormai a fine corsa, riciclarli, disinfestarli e trasformarli in moduli abitativi. L’idea è nata dopo il terremoto dell’Emilia Romagna, che ha distrutto case e negozi in vaste aree della provincia di Modena. I container sono già abitualmente abituati come ricovero di emergenza dopo un sisma, e il Comune di Cavezzo ha chiesto a Phoenix aiuto per la ricostruzione del centro commerciale.
La soluzione individuata ha previsto l’uso di 34 box riciclati, collocati su due piani: il primo con i negozi, il secondo con le strutture ricettive. Un container a parte è stato usato per i servizi igienici. Per ogni attività commerciale è stata proposta una soluzione ad hoc, consentendo ai negozianti di collocare in uno, due o tre container assemblati tra loro. Il piccolo shopping center è stato chiamato Cavezzo 5,9, con riferimento alla magnitudo del terremoto del maggio 2012. Oggi il centro “temporaneo” alloggia diversi esercizi (17, compresa una piccola radio) e i titolari appaiono più che soddisfatti. Il costo per metro quadro dei container di Phoenix, che l’azienda propone anche come vere e proprie case per uso privato, si aggira sui 500 euro al metro quadro, circa la metà di quello del mattone.
Qualcosa di simile al centro commerciale di Cavezzo esiste anche nella zona di Shoreditch, a Londra. Box Park è uno shopping mall popolato da stilisti e negozi di moda, abbigliamento e design, tutti collocati in una sessantina di container affiancati e impilati l’uno sull’altro (40 sono situati al piano terra, una ventina al primo piano). Si tratta in questo caso di un pop-up store, un centro commerciale temporaneo collocato nello scalo ferroviario abbandonato di Goodsyard, il cui ciclo di vita dovrebbe durare quattro anni: aperto nel 2011, chiuderà l’anno prossimo.
Per quanto chic e all’ultima moda, Box Park non è niente in confronto a Snooze Box, un po’ il progenitore di tutti questi progetti che contemplano un uso alternativo dei contenitori abitualmente adoperati per le spedizioni di merci. Nientemeno che un hotel di lusso, partorito dalla fantasia e dalla voglia imprenditoriale dell’ex pilota di Formula 1 David Coulthard. Lanciato nel luglio 2011 in occasione del Gran Premio di Silverstone, Snooze Box funziona come un “albergo viaggiante”, che viene montato in concomitanza con grandi eventi (per lo più legati al mondo dei motori).
Per un prezzo che parte da 40 sterline a notte, si ha a disposizione una camera doppia con wi-fi, aria condizionata, cassaforte, Tv a schermo piatto e tutto quel che si trova in un hotel a quattro stelle, entrata con chiave magnetica compresa. Sulla carta un’ideona, un posto dove reporter, addetti ai lavori dei circus legati a manifestazioni di automobilismo, Moto Gp, e non solo, possono trovare una sistemazione temporanea confortevole a un costo abbordabile. Senonché, Snooze Box Plc, la holding che gestisce finanziariamente il progetto, non va molto bene, in Borsa. Dal debutto, nel 2012, all’Alternative Investment Market di Londra, le azioni sono crollate dagli iniziali 40 pence per quota, agli attuali 9 pence. Segno che per quanto economico, ecologico (i box possono essere riutilizzati e riadattati) e innovativo, il container non fa più di tanto gola agli investitori. Probabilmente pensano che il lusso, quello vero, è un’altra cosa. Come dargli torto.