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 2014  gennaio 12 Domenica calendario

SE ANCHE RENZI CRITICA I MEDIA

Davvero siamo in un Paese in cui, dice Alessia Morani - responsabile giustizia del Pd - al Corriere (ammesso che abbia detto davvero così), i sostenitori di Renzi debbono "abituarsi ai giornalisti di parte, di destra, pagati per infangarci, per demolire subito il nuovo che nasce, che cresce"?

Il discorso è complessissimo, non circoscrivibile a una parte politica o a una sola area di opinione giornalistica; e le sue cattive formulazioni non aiutano né ad affrontarlo né a cogliere il tema (figurarsi a risolvere, se c’è, il problema). Provo, almeno per pochi punti, e scusandomi della mia limitata esperienza (quindici anni a La Stampa, ma almeno fatti per lo più sul campo, inviato a raccontare la politica italiana) a dipanarlo un po’.

Occorre partire da un dato: non pare che i renziani in questo momento godano di una particolare cattiva stampa, dunque l’occasione spiccia della denuncia della Morani sembra non fondata. Non per questo però è una denuncia che - per quanto mal espressa - può essere ignorata, se non altro perché non è la prima, e anche Renzi stesso - in diverse occasioni - ha criticato, in maniera un po’ più puntuale - la tendenza ormai devastante alla sciatteria del giornalismo italiano, specialmente quello politico. E’ una sciatteria che a volte diventa disinformazione vera e propria ma credo (nel caso di Renzi) colpisca anche al di là delle effettive intenzioni dei giornalisti che la praticano. Detto altrimenti: non si vede al momento un sistema dell’informazione che vuole danneggiare Renzi, si vede però, e spesso, un’informazione sciatta che di fatto può danneggiare qualunque personaggio di cui si occupi, in questo caso Renzi, che è molto in trincea, ma anche altri; la sciatteria è di per sé un modo di occultare la verità, di tradirla, quindi di fatto di far danno a qualcuno, non di raccontare cercando l’onestà (che mai si raggiunge; si cerca).

La sciatteria e la mediocrità sono dei singoli innanzitutto (che potrebbero essere, ognuno nel suo piccolo, più accurati e in definitiva migliori), ma anche del "sistema dell’informazione" - ossia della somma delle macchine dei tanti media che operano in Italia, e degli stessi ingranaggi, i meccanismi di funzionamento di quel "sistema" - che generano un effetto assai nocivo, anche se spesso preterintenzionale, diciamo così: non si fa un servizio di vera informazione non perché si voglia colpire o avvantaggiare qualcuno; semplicemente, si danneggia di fatto il tentativo di un racconto che punta all’onestà. In questa denuncia, a me pare che Renzi abbia tendenzialmente ragione; non dice che il giornalismo danneggia lui, pone un problema di degrado dell’informazione che può toccare tutti. E molti sta già toccando.


Diverso è il caso della disinformazione che colpisce (in gradi e misure diverse, da indagare magari a parte, non qui per non complicare troppo il discorso) ogni forza politica che punti a un cambiamento, anche minimo, dello status quo in Italia. La sensazione (difficile in questo campo avere prove certe, il massimo è fornire impressioni motivate, dal lavoro e dai viaggi) è che la macchina dei media italiani sia sostanzialmente - e trasversalmente - orientata al mantenimento di assetti politici che non hanno funzionato, non hanno fatto le riforme, hanno aumentato il discredito delle classi dirigenti, hanno fomentato quello che gli stessi organi d’informazione si beano di chiamare "populismo". Se ne possono trovare esempi anche di enorme rilievo, ma insomma, da questo punto di vista chiunque si affacci sulla scena pubblica provando a esprimere le ragioni di una protesta di massa (il M5S, per esempio) viene assai male accolto dai media (nel caso dei cinque stelle, complice la loro aggressiva, maniacale e spesso banale e ipersemplificatoria visione del problema dei media in Italia). Nel caso assai diverso di Renzi si può dire che in apparenza i media non gli sono affatto ostili, anzi; tuttavia il vero "fango" sulle sue ragioni arriva non dai media di destra, semmai da quel "giornalismo democratico tradizionale" che ancora un anno fa vedeva in Bersani il miglior premier possibile, e in D’Alema lo stratega maximo della fase che avremmo dovuto vivere. Questo giornalismo - molto forte nei quotidiani, ma influente, almeno qualitativamente, anche in tv - non infanga (a quello ci pensano, di solito nel mondo berlusconiano che ha una sua consolidata esperienza nel ramo - vedi i reportage sui calzini turchesi del giudice Mesiano - i ricamatori sui pettegolezzi su questa o quella deputata); si limita a indignarsi contro le battute maleducate (Fassina? "Chi?") di Renzi, gli scaglia addosso l’accusa di incultura, come se i dirigenti avìti della sinistra fossero stati Isherwood e Evelyn Waugh (certo, D’Alema era alla Normale, dove NON si laureò a pieni voti), o magari di populista mascherato. Non è un modo serio di raccontare le cose. Renzi, bravo o incapace che sia, andrà giudicato dai fatti, con un po’ di tempo; non dalle fisime e dalle ubbie retrattili e molto molto umorali degli editorialisti - oltretutto letti ormai da tre persone.

Insomma, il problema non è (solo) la macchina del fango, ma la micidiale accoppiata di sciatteria (mediocrità) e servilismo (opportunismo). Con la prima arma si possono teoricamente colpire tutti (di solito, soprattutto quelli di cui in quel momento si parla di più); con la seconda i media finiscono per colpire quasi sempre quelli che percepiscono provenire da un mondo diverso, estraneo, alieno, barbarico. Non importa chi sia; oggi è tizio caio o sempronio, domani sotto a chi tocca.

A differenza di ciò che credono le semplificatorie denunce (o liste di proscrizione di Grillo) il problema è parecchio più sottile, e le ricette molto difficili, da coltivare con cura e nel tempo. Partendo da una riflessione che dovrebbe essere collettiva, senza inutili accuse reciproche ma anche senza omissioni né infingimenti. Senza bacchette magiche ma conservando la certezza che persino il giornalismo italiano è frequentato da alcuni grandi giornalisti, colti, accurati, in spirito di ascolto, e non di falsificazione permanente, della realtà. Non sono neanche pochi, tra l’altro. Semmai bisognerebbe chiedersi come e perché siano riusciti a modificare così poco l’esistente. In politica il 2013 appena passato ha visto - in mille modi, spesso contraddittori, con spinte positive e altre negative - una fortissima richiesta di cambiamento nella politica; non si può dire lo stesso, salvo eccezioni, dei media.