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 2014  gennaio 13 Lunedì calendario

GIOVANNI TOTI PER IL FOGLIO DEI FOGLI

Silvio Berlusconi avrebbe deciso di affidare la rinata Forza Italia a Giovanni Toti, 45 anni, giornalista, attuale direttore di Studio Aperto e del Tg4, nessuna esperienza in politica finora. Toti dovrebbe diventare coordinatore unico del partito (in pratica il vice del Cav.). La sua nomina arriverebbe prima della kermesse del 26 gennaio al Palalottomatica di Roma per celebrare il ventennale della discesa in campo [1].

Toti, classe ’68, due anni in meno di Enrico Letta, due più di Angelino Alfano, sette più di Matteo Renzi [2].

«A Berlusconi piace perché è giovane e non è un politico. Gli piace perché ha un modo di ragionare pacato e arriva rapidamente al punto senza iperboli. Gli piace perché è profondamente moderato, ma a differenza dei predecessori moderati che giravano tra villa San Martino e Palazzo Grazioli non è sospettabile di tessere trame con il Quirinale o altri moderati che nel frattempo hanno cercato in tutti i modi di fargli le scarpe» (Roberto D’Agostino) [3].

Alla nomina di Toti ha dato il suo benestare anche il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri. Carmelo Lopapa: «Portarlo in cima alla piramide – col consenso di Francesca Pascale – vuol dire riportare l’organizzazione di Forza Italia nel recinto dell’azienda, come agli esordi. Il quarantacinquenne di Massa, destinato a essere scagliato in tv contro i nuovi renziani, è uomo di Mauro Crippa, direttore generale della Comunicazione Mediaset del quale è stato vice a lungo» [4].

I falchi Berlusconiani non hanno preso bene la decisione. «Per tutti i reduci della guerra civile contro Alfano, a cominciare da chi maggiormente si era esposto, questa volontà del leader suona a dir poco umiliante. Offensiva. Una prova di ingratitudine. Tace per ora Verdini, cioè colui che più di tutti subirebbe un declassamento. E si mostra molto serena la Santanché. Ma dietro le quinte il braccio di ferro è durissimo, anzi di inusitata violenza, al punto che nelle prossime ore Berlusconi dovrà scegliere tra una marcia indietro parecchio ingloriosa su Toti (e addio a tutti i propositi di cambiare volto al partito) oppure una nuova possibile scissione a destra» [5].

Il feeling tra Toti e Alfano è un ulteriore elemento che fa infuriare i falchi berlusconiani. «Dopo la scissione dei cugini del Nuovo Centrodestra, pensavano di avere il partito in mano, di spadroneggiare nella nuova sede di Piazza San Lucina. Invece Berlusconi ha fatto un paio di mosse, mettendoli in un angolo. Prima di tutto ha puntato sui Club Forza Silvio, nuovo braccio operativo affidato a Marcello Fiori, anche lui altro volto nuovo, riservatissimo, del nuovo corso berlusconiano. Ma l’affronto che più brucia è l’ascesa improvvisa al vertice del partito di Toti. Il quale promette di volere valorizzare tutti e non rottamare nessuno. Ma nessuno dei notabili ci crede e si fida» (Amedeo La Mattina) [6].

Nato a Viareggio, famiglia proprietaria di un albergo a Marina di Massa, si è laureato in Scienze politiche a Milano. Marco Fattorini: «A Mediaset entra nel 1996 dalla porta di servizio come stagista a Studio Aperto, poi viene assunto da Paolo Liguori per una scalata che lo vede redattore, caposervizio, caporedattore e infine direttore. Nel mezzo firma programmi come Lucignolo, il rotocalco giovane della testata di Italia Uno. Oggi presiede due dei tre tg generalisti del Biscione e coltiva ottimi rapporti con Piersilvio Berlusconi» [7].

Sposato con Siria Magri che ha conosciuto quando lui era un cronista e lei la conduttrice di punta di Studio Aperto (ora è vicedirettore di Video news e cura Quarto Grado). Lei lo ha sposato in seconde nozze a Pietrasanta, nel 2003. Non hanno figli [8].

«Soprannominato amorevolmente “il Pupino” in mancanza di una “t” – per bocca di un dirigente di Mediaset ha “un ruolo di servizio e di affetto”. Lo ha nei confronti di Silvio Berlusconi e dell’intera azienda. Non gli vuole male nessuno, lì dentro. Nessuno a Cologno ha da ridire su di lui. “Smussa, attenua, compatta”, dicono. E questa è musica di violino per il Capo, che fuori dalla porta ha file di aspiranti beati, tutti che si accreditano come ultimo baluardo del berlusconismo contro subdoli nemici intestini: il che ha fatto di Forza Italia un partito di falchi tendenza avvoltoio» (Mattia Feltri) [2].

In piazza in Lucina non lo chiamano “Pupino”, come a Mediaset, ma “Arroti” perché il suo piano prevede un numero consistente di tagli di teste. D’Agostino: «Ecco perché Berlusconi lo ha scelto: ha bisogno di qualcuno che faccia lo stesso lavoro che ha fatto Francesca Pascale nella sua vita privata. Un lavoro che si riassume in una semplice parola: pulizia» [9].

Frequenta Arcore da qualche anno, «e ci va soffice soffice, una piuma, non porta con sé lamentele, non ha rivendicazioni, mangia con gusto e garbo, si guarda le partite con partecipazione mai eccessiva. Parla di politica perché lui, a differenza di altri direttori cari a Berlusconi in altri tempi, ha una testa politica, di quelle che sminuzzano e ricompongono, e non se la rivendono come una faccenda di stomaco. Da ragazzo era un giovane socialista non anti-craxiano. Ma questo c’entra poco. C’entra che Toti la politica ce l’ha dentro, la capisce e la maneggia: altro che front-man, come dicono in San Lorenzo in Lucina quelli terrorizzati da Annibale alle porte» (Mattia Feltri) [2].

Non va al cinema perché lì il telefono potrebbe non prendere. Non ascolta musica. Non è social: zero Twitter, su Facebook ha solo 17 amici (solo donne) ma non ha mai scritto nulla in quattro anni [8].

Ha conquistato Berlusconi con il look sempre impeccabile e inflessione toscana meno calcata di quella renziana. Fattorini: «Ha messo il cappello del Tg4 sullo speciale La guerra dei Vent’anni - Lo scontro finale, secondo atto del documentario difensivo di Berlusconi incentrato sul processo Ruby andato in onda in prima serata. Quello che doveva essere un programma della rete, il direttore lo ha avocato alla sua testata giocando un ruolo da protagonista anche in video, con l’intervista esclusiva al Cav.» [7].

«A differenza di un Emilio Fede, per dire, non eccede in confidenze zuzzurellone col capo, insomma, sa il fatto suo. È perfino più pop di tante vecchie glorie dell’immaginario forzista – da Gianni Letta a Marcello Pera – perché si capisce che Toti sa cambiare una ruota, sa far montare il bianco d’uovo, sa come far ridere una donna e come aiutare un bimbo a costruire un aeroplanino col foglio A4. Figurarsi se non risulti più simpatico di Matteo Renzi (è molto più simpatico) ma il fatto è che l’Italia è diventata tremendamente antipatica e il bianco dell’uovo, ormai, tutti lo fanno montare a colpi di iPhone» (Pietrangelo Buttafuoco) [10].

Alto un metro e ottantuno, paffuto. «Non mi peso da anni», dice. Sembra che Berlusconi l’abbia messo già a dieta. «E poi gli toccherà sistemare le prime imbiancature di chioma: sulle questioni di fondo non si discute» (Feltri) [2].

Colleziona cravatte. Fuma parecchio [8].

Enrico Mentana, senza fare il suo nome, lo evoca nel libro Passionaccia. Parla delle cene coi vertici dell’informazione Mediaset come «comitati elettorali»: «C’era anche il beniamino del gruppo, quello che era stato distaccato come ufficiale di collegamento al quartier generale del partito di riferimento» [8].

C’è da dire che Giovanni Toti è solo l’ultimo dei possibili successori nominati da Berlusconi negli ultimi anni. Mario Ajello: «È il delfino numero trenta, arrivato nel cuore di Silvio dopo che ne è uscito Alfano ma forse Angelino sta per rientrarne perché è mutevole il sentimento del super-leader che non innalza mai davvero nessuno ma neanche gode nello scaricare le persone di cui si è stufato. O meglio, una trentina, ma forse anche di più dal ’93 e soprattutto dal ’96 a oggi, sono le cotte, i piccoli colpi di fulmine, le infatuazioni, le voglie di creare nuovi Silvio o simil-Silvio (anche in salsa femminea) sapendo che è impossibile» [11].

Nomi dei delfini di Berlusconi dal ’95 a oggi, in ordine sparso: Letizia Moratti, Marina e poi Barbara Berlusconi, Paolo Del Debbio, Franco Frattini, Mauro Pili, Maurizio Scelli, Alfio Marchini, Corrado Passera, Mario Monti, Daniela Santanchè, Luca di Montezemolo, Fini e Casini, Formigoni, Guido Barilla, Guido Martinetti, Gianni Letta, Gianpiero Samorì, Guido Bertolaso, Raffaele Fitto, Mara Carfagna ecc. [11].

Che la svolta salvi tuttavia Marina dalla «discesa in campo» non è detto affatto. I sondaggi di casa non incoronano Toti. Solo al momento debito, quando scatteranno i servizi sociali, si aprirà la partita della premiership, quella che conta [4].

(a cura di Luca D’Ammando)

Note: [1] tutti i giornali del 9/1; [2] Mattia Feltri, La Stampa 10/1; [3] Roberto D’Agostino, Dagospia 7/1; [4] Carmelo Lopapa, Repubblica 11/1; [5] Ugo Magri, La Stampa 11/1; [6] Amedeo La Mattina, La Stampa 10/1; [7] Marco Fattorini, Linkiesta 5/1; [8] Alessandra Menzani, Libero 10/1; [9] Roberto D’Agostino, Dagospia 10/1; [10] Pietrangelo Buttafuoco, Il Foglio 7/1; [11] Mario Ajello, Il Messaggero 10/1.