Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  gennaio 12 Domenica calendario

BANCHE OMBRA, ALLARME CINESE

Mark Carney, l’apprezzato banchiere cen­trale canadese da poco arruolato alla guida della Bank of England, qualche settimana ha avvertito tutti in maniera molto di­plomatica: «L’ultima crisi finanziaria nelle na­zioni avanzate si può considerare finita. Il rischio maggiore ora viene dal settore bancario paralle­lo nelle grandi nazioni emergenti». Con meno cautela, Carney avrebbe potuto dire che la fi­nanza cinese è maturata così rapidamente da ri­schiare già di vivere la sua Lehman Brothers, un evento che manderebbe a gambe all’aria la già debole ripresa globale.
Ma per capire come ci si è arrivati conviene fare un passo indietro. Stampare un mare di denaro e met­terlo in circolo, come stanno facen­do le grandi banche centrali in que­sti anni, è relativamente facile. Basta superare le obiezioni politiche e tec­niche di chi non è d’accordo. Molto più difficile è mantenere il controllo del mare monetario generato: è com­plicato, cioè, riuscire a fare in modo che i soldi stampati arrivino lì dove li si voleva mandare. La Banca centra­le europea, per esempio, non sta riu­scendo a far sì che la sua politica di bassi tassi di interesse si traduca in credito più facile ed economico per le imprese e le famiglie di tutta l’area dell’euro; questo è uno dei grandi crucci — espliciti — di Mario Draghi. La Federal Reserve americana, altro esempio, fatica danna­tamente a generare nuova occupazione attra­verso i suoi acquisti mensili di bond del Tesoro e titoli immobiliari. La Banca centrale cinese, ulti­mo e drammatico esempio, sembra avere perso il controllo della situazione: i soldi freschi im­messi nel sistema hanno preso strade lontane dagli occhi del controllore e nessuno sa più fer­marli.
Fissare regole più severe sul sistema bancario — ad esempio, come sta facendo l’Europa, obbli­gando le banche ad aumentare le riserve di de­naro che devono mettere da parte per fare cre­dito — è uno dei modi per tenere sotto control­lo la moneta in circolazione ed evitare che trop­pi soldi diretti verso un solo settore, magari l’im­mobiliare o le azioni “tech”, gonfino pericolose bolle. Ma imbrigliare gli istituti di credito non ba­sta, perché, purtroppo per le banche centrali, i soldi sanno sempre trovare le loro scorciatoie.
La scorciatoia più battuta sono le banche om­bra: soggetti diversi che praticano la tradiziona­le attività bancaria —- cioè raccolgono denaro e lo prestano — senza avere la forma giuridica, e quindi i vincoli regolamentari, delle banche. Fan­no parte di questo mondo variegato fondi di investi­mento più o meno specula­tivi, società finanziarie di va­rio genere, trust basati in na­zioni esotiche e prodotti fi­nanziari complessi. Questi anni di politiche monetarie generose delle Banche cen­trali combinate a regole più rigorose per le banche pri­vate hanno creato l’habitat ideale per questi sog­getti, che possono finanziarsi a basso costo e tro­vare migliaia di imprese assetate di credito. Nel suo rapporto del 2013 sulle banche ombra, dif­fuso a novembre, il Financial Stability Board cal­cola che durante il 2012 il sistema bancario pa­rallelo sia cresciuto di 5mila miliardi di dollari, per arrivare a gestire 71mila miliardi. Vale il 117% del Prodotto interno lordo del pianeta e quasi un quarto del sistema finanziario globale.
La crescita a livello mondiale è stata dell’8%. In Europa molte nazioni hanno però visto un calo dell’attività bancaria ombra (tra queste la Spagna, il Regno Unito, l’Italia e la Francia) mentre in Ger­mania e negli Stati Uniti c’è stato un aumento at­torno al 10%. In Cina l’attività creditizia fuori dal­le regole bancarie ha segnato uno spaventoso +42%. Fermare le banche ombra è diventata u­na delle prime urgenze di Pechino.
La Cina ha reagito alla crisi mondiale spingendo sugli investimenti. Ha investito su progetti di in­frastrutture: strade, ferrovie, aeroporti, centrali elettriche, intere città. Tutti cantieri che, nel mi­gliore dei casi, daranno un ritorno economico negli anni a venire. Per finanzia­re questi progetti le banche dello Stato hanno conces­so crediti in abbondanza alle imprese e lo stesso hanno fatto i governi loca­li. Il debito totale, cioè pub­blico e privato, tra il 2008 e il 2013 è passato dal 128 al 216% del Pil. Per i soli governi locali dal 2010 al­lo scorso anno l’aumento del passivo è stato del 67%: da 10.700 a 17.900 miliardi di renminbi (2.150 miliardi di euro).
Circa un anno e mezzo fa la Banca centrale si è accorta che la bolla del credito stava diventando pericolosa, quindi ha iniziato a chiudere i rubi­netti. Imprese e governi locali – che sì hanno in­vestito, ma non sanno quando questi investi­menti daranno un profitto – non avevano in cas­sa i soldi per pagare i loro debiti. Così si sono ar­rangiati rivolgendosi alle banche ombra. Chie­dere prestiti per rimborsare prestiti: un metodo da manuale per avviare una crisi finanziaria. Nel­le ultime settimane Pechino si è mossa per argi­nare il guaio. È emerso nei giorni scorsi il docu­mento numero 107 distribuito a dicembre dal Consiglio di Stato ai legislatori e alle autorità di controllo: impone una severissima stretta al cre­dito che arriva da soggetti non bancari.
Con nuove regole la Cina potrà limitare i danni futuri, ma già quest’anno la Repubblica Popola­re vedrà le prime conseguenze degli errori del passato. Bloomberg calcola che nel 2014 le a­ziende cinesi devono rimborsare prestiti alle ban­che per 2.600 renminbi (oltre 300 miliardi di eu­ro). È il 20% in più rispetto al 2013 e secondo l’a­genzia americana nel 2014 c’è un’alta probabi­lità di vedere le prime grandi insolvenze dei co­lossi di Pechino. Il governo centrale potrà inter­venire sulle sue banche per costringerle a con­cedere nuovo credito e quindi evitare i default.
Ma dovrà fare qualcosa anche per evitare insol­venze verso il sistema senza regole delle banche ombra, che attende nei prossimi mesi rimborsi di prestiti stimati in altri 10mila miliardi di ren­minbi (1.200 miliardi di euro). È una cifra di po­co inferiore al Pil della Spagna. La Banca centra­le cinese potrebbe essere costretta a usare una bella fetta delle sue enormi riserve valutarie (nei forzieri di Pechino ci sono titoli per un valore, in euro, di circa 2.500 miliardi) ma non sono soldi che si possono sbloccare, e sacrificare, facilmente. L’insidia all’orizzonte è abbastanza grande da mandare in crisi anche il gigante asiatico. E con lui – inevitabilmente – il resto del mondo.