VARIE 11/1/2014, 11 gennaio 2014
APPUNTI PER GAZZETTA - LA MORTE DI SHARON
Repubblica.it
GERUSALEMME - L’ex premier israeliano Ariel Sharon è morto oggi a 85 anni nell’ospedale di Tel Ha Shomer, nei pressi di Tel Aviv, dove era ricoverato negli ultimi tempi. "Il mio caro amico Arik Sharon ha perso oggi la sua ultima battaglia. Arik era un soldato valoroso e un leader che sapeva osare. Amava la sua nazione e la sua nazione lo amava", è stato il primo commento del capo dello Stato Shimon Peres alla morte di Sharon.
LEGGI - Un generale di ferro: dalle stragi di palestinesi al ritiro da Gaza
Dopo un coma di otto anni, dovuto a un ictus, le sue condizioni si erano aggravate negli ultimi dieci giorni, quando i medici avevano avvertito che i suoi organi vitali stavano cedendo in seguito ad un blocco renale per un’infezione cronica.
L’ictus lo colpì a gennaio 2006, quando Sharon era all’apice della sua carriera politica. Nonostante non abbia mai ripreso piena coscienza, i familiari hanno fatto sapere che occasionalmente ha aperto gli occhi e mosso le dita. "Se ne è andato. Ci ha lasciato quando ha deciso lui di andare", ha dichiarato Gilad Sharon, figlio dell’ex premier. "Sharon ha continuato a battersi per la sua vita nella settimana passata da quando le sue condizioni sono ulteriormente peggiorate", ha detto il professor Shlomo Noi, direttore dello Sheba Medical Center di Tel Hashomer, annunciando ufficialmente la morte dell’ex premier. Il medico ha detto che l’anziano leader si è battuto "contro ogni probabilita". Ma oggi - ha aggiunto - il cuore si "è indebolito" e "serenamente si è separato dalla sua famiglia".
Il cordoglio. Dopo Peres, il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha ricordato Sharon. Il saluto è stato riportato su Twitter dal suo portavoce: "Il suo ricordo vivrà per sempre nel cuore della nazione". "Lo Stato di Israele china il capo con la dipartita dell’ex premier Ariel Sharon, componente centrale nella lotta per la sicurezza di Israele durante tutta la sua esistenza", ha detto poi il premier, che ha ricordato Sharon come "combattente valoroso, grande condottiero, fra i comandanti più importanti delle nostre forze armate". "Per la sua intera vita, Arik è stato nella prima linea di fuoco, nel luogo dove si decideva il destino dello Stato di Israele", ha dichiarato Ehud Olmert, prima vice e poi successore alla premiership israeliana di Ariel Sharon. È stata una vita, ha detto Olmert, "intrisa di coraggio, calore umano, visione e leadership nei momenti critici, quando lo Stato di Israele aveva bisogno di tutto ciò". Parla di Sharon come "un eroe per il suo popolo, prima come soldato, poi come statista" il segretario generale dell’Onu, Ban ki-moon, che si è definito
"addolorato" per la scomparsa dell’ex primo ministro. Anche il presidente Usa, Barack Obama, ha espresso il suo cordoglio per Sharon che, si legge in un comunicato della Casa Bianca ’’ha dedicato la sua vita allo Stato di Israele’’. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha inviato un messaggio a Netanyahu: "Sharon -si legge nel messaggio che il Cremlino ha pubblicato sul suo sito - sarà ricordato in Russia come un coerente fautore delle relazioni amichevoli fra Russia e Isaele e per aver contribuito in modo significativo all’espansione della cooperazione". "Le mie condoglianze alla famiglia di Ariel Sharon, generale, combattente e leader che, non senza controversie, ha lasciato il segno nell’intero Medioriente", ha detto il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz. Ariel Sharon è stato "uno dei personaggi più importanti nella storia di Israele" è stato l’omaggio del primo ministro britannico David Cameron. Un "attore di primo piano nella storia del suo Paese" è stato Sharon per il presidente francese Francois Hollande, che ha ricordato come il leader "dopo una lunga carriera militare e politica scelse di dialogare con i palestinesi". La cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha definito Sharon "patriota israeliano che ha reso un grande servizio al suo Paese. Con la sua audace decisione di ritirare i coloni israeliani dalla Striscia di Gaza ha fatto un passo storico sulla via di un accordo con i palestinesi verso una soluzione". E ha aggiunto: "Anche per approfondire le relazioni tra tedeschi e israeliani Sharon ha speso tempo". Cordoglio per la morte di Sharon è stato espresso da Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Affari esteri di Palazzo Madama: "Sarà la storia a dare un giudizio compiuto su questa grande personalità che ha combattuto come pochi altri per Israele, ma che ha saputo anche essere, in passaggi drammatici della storia nazionale, un uomo di pace per trovare una soluzione possibile di coesistenza pacifica col popolo palestinese. L’Italia ribadisce in questa circostanza la sua vicinanza all’unica vera democrazia esistente in Medio Oriente".
Fatah: "Un criminale". Hamas: "Momento storico". Un "criminale, responsabile della morte di Arafat sfuggito alla giustizia internazionale": è stato invece il commento di Jibril Raboub, un dirigente di Fatah. Hamas al potere a Gaza ha definito un "momento storico" la "scomparsa di questo criminale con le mani coperte di sangue palestinese".
I funerali. I funerali di Ariel Sharon avverranno alle 14 di lunedì prossimo con una cerimonia militare alla Knesset (il Parlamento israeliano). Dopo, il feretro dell’ex premier raggiungerà il ranch dei Sicomori nel Negev, dove Sharon viveva. Alle esequie - riferisce Haaretz - sarà presente il vice presidente degli Usa Joe Biden. Sempre secondo il quotidiano, la salma dovrebbe essere esposta alla Knesset già da domani.
BIOGRAFIA DI REPUBBLICA
ARIEL SHARON è stato una delle figure più importanti e controverse della recente storia di Israele. Fra i più famosi generali dell’esercito israeliano, durante la sua carriera militare si era distinto per le sue tattiche audaci e un’occasionale ritrosia ad obbedire agli ordini. Come politico, alla guida del partito conservatore Likud e primo ministro dal 2001, si era guadagnato il soprannome di "bulldozer": un uomo incurante delle critiche e con grande capacità di realizzare i propri piani.
Sharon nasce come comandante militare: cominciò la sua carriera nell’esercito di Israele fin dalla sua fondazione nel 1948. Aveva venti anni: era infatti nato nel 1928 con il nome di Ariel Scheinermann da una famiglia di ebrei bielorussi fuggiti ai progrom e riparati a Kfar Malal, una comunità di impostazione socialista dell’allora Mandato britannico in Palestina. Come paracadutista e poi ufficiale partecipò attivamente alla guerra di Indipendenza del 1948 e poi la guerra di Suez del ’56, la guerra dei Sei giorni del ’67, la guerra di Yom-Kippur del ’73. In qualità di ministro della Difesa diresse poi le operazioni della guerra del Libano del 1982. Dopo l’assalto al Sinai nel guerra dei Sei giorni e l’accerchiamento degli egiziani nella guerra dello Yom Kippur si guadagnò i soprannomi di "re di Israele" e "Leone di Dio" presso l’opinione pubblica israeliana.
Dopo aver lasciato l’esercito aderì al partito conservatore Likud e ricoprì numerosi incarichi governativi tra il 1977 e il ’92 e tra il ’96 e il ’99. Divenne leader del partito nel 2000 e ricoprì l’incarico di premier dal 2001 al 2006. Nel 1983 una commissione del governo israeliano lo indicò come il responsabile - in qualità di ministro della Difesa - dei massacri di miliziani libanesi e civili palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila durante la guerra del Libano del 1982, per non aver impedito alle falangi cristiane di fare irruzione nei campi e compiere la strage. Dopo aver inizialmente rifiutato di dimettersi accettò di lasciare il ministero. A lui viene anche attribuita la responsabilità di aver innescato la seconda intifada con la provocatoria passeggiata sulla spianata delle moschee a Gerusalemme nel settembre del 2000.
A metà del 2005 ha compiuto un passo importante nel tormentato processo di pace, dirigendo un ritiro unilaterale delle truppe israeliane e dei coloni dalla Striscia di Gaza, mettendo fine al controllo militare del territorio occupato che durava da 38 anni. Una svolta particolarmente traumatica per un uomo che aveva creduto e guidato in prima persona la politica degli insediamenti nei territori palestinesi occupati tra gli anni ’70 e ’90.
Sempre nel 2005 Sharon si dimise dalla guida del Likud e fondò il partita centrista di Kadima, dissolvendo il Parlamento per andare a nuove elezioni che avrebbe con tutta probabilità vinto se non avesse subito un infarto nel gennaio del 2006, che lo ha fatto precipitare in uno stato di coma da cui non si è mai più risvegliato. Gli successe il suo vice, Ehud Olmert, che fu eletto primo ministro pochi mesi dopo.
CORRIERE.IT
tel aviv
Israele, morto l’ex premier Ariel Sharon
Era in coma dal 4 gennaio 2006 in seguito a un ictus
L’ex premier israeliano, Ariel Sharon, è morto. Era in coma dal 4 gennaio 2006 in seguito a un ictus. Aveva 85 anni. L’annuncio della morte è stato dato dalla radio dell’esercito citando la sua famiglia. Le condizioni di Sharon si erano aggravate negli ultimi dieci giorni, quando i medici avevano avvertito che i suoi organi vitali stavano cedendo in seguito ad un blocco renale dovuto ad un’infezione cronica.
«Era un soldato valoroso e un leader che sapeva osare» commenta il capo dello Stato Shimon Peres.
UNA VITA IN PRIMA LINEA - Sharon - uomo di guerra che voleva essere ricordato come uomo di pace - era nato nel febbraio 1928 in un villaggio ebraico della Palestina sotto mandato britannico. La storia personale di «Arik» (leoncino) Sharon inizia nei campi del villaggio di Kfar Mallal. Il padre Shmuel è un rude agronomo russo, che costringe il figlio a lavorare nei campi. A 20 anni Sharon rischia di non vedere la nascita dello Stato di Israele per una grave ferita riportata a Latrun, in una battaglia con la Legione giordana. Ma nel 1953 è già in prima linea: anzi, oltre le linee nemiche, alla guida della Unità 101 incaricata dal premier David Ben Gurion di compiere azioni di ritorsione alle incursioni dei fedayn palestinesi. Sharon fa carriera: prima nei parà, poi nei carristi. Nel 1967 (guerra dei Sei Giorni) combatte nel Sinai e con le sue manovre disorienta 16mila soldati egiziani. Nel 1973 (guerra del Kippur) è di nuovo nel Sinai. Politicamente è a destra. È suo il progetto del Likud, la fusione di tutte le liste della destra nazionalista. Nel 1977 il Likud vince le elezioni e nel 1981 nomina Sharon ministro della Difesa.
MARCIA SU BEIRUT - Nel giugno 1982, quando inizia l’invasione del Libano in seguito ad un grave attentato palestinese. Begin vorrebbe un’operazione limitata ma Sharon marcia su Beirut, da dove espelle Arafat. Nel settembre c’è il massacro di Sabra e Shatila: migliaia di palestinesi sono massacrati da falangisti libanesi in una zona di Beirut i cui perimetri sono presidiati da Israele. Sharon, sotto accusa, è costretto ad abbandonare il ministero della Difesa. Allora accetta incarichi ministeriali secondari fino alla sfida con Ehud Barak (laburista) nel febbraio 2001, insanguinato dagli attentati dell’Intifada palestinese armata. Sharon prevale. Stringe i Territori in una morsa di ferro e fa erigere la Barriera di sicurezza.
VIA I COLONI - Nel 2005, però, cancella 25 insediamenti ebraici dalla Striscia di Gaza espellendone gli 8mila coloni. Su questa mossa, il Likud si spacca. Allora Sharon, assieme con Shimon Peres, fonda una nuova lista centrista, Kadima, che avrebbe dovuto procedere nel disimpegno israeliano anche in Cisgiordania, dopo un’auspicata vittoria alle politiche del gennaio 2006. Ma l’ictus del 4 gennaio mette fine ai suoi progetti parte.
11 gennaio 2014
CORRIERE.IT
ANTONIO FERRARI
Riesce difficile, direi innaturale, raccontare la vita e la storia di Ariel Sharon, un leader israeliano, un protagonista, uno che è stato un potente della Terra e che è morto due volte. La prima volta, otto anni fa, quando un ictus devastante lo costrinse allo stato vegetativo e lo strappò per sempre alla politica; e la seconda volta, adesso, otto anni dopo, quando il suo cuore si è fermato. Per otto anni è stato quasi dimenticato, anche se la sua figura non potrà mai essere cancellata dalla storia di Israele.
Sharon, nella vita, ha conosciuto tutto. E’ stato un uomo di guerra e un abile combattente, ma è stato anche l’ineffabile bugiardo che, da ministro della difesa, costrinse alle dimissioni il suo primo ministro Menachem Begin, dopo la strage di Sabra e Chatila. Strage che fu compiuta dai falangisti cristiani libanesi, mentre i soldati israeliani occupanti si voltavano dall’altra parte. E’ stato un oltranzista, che non si vergognava di dire in pubblico che il presidente palestinese Yasser Arafat doveva «essere ucciso».
Ma è stato anche il leader che, vinte le elezioni e diventato primo ministro, decise di ritirarsi unilateralmente dalla Striscia di Gaza, smantellando tutti gli insediamenti ebraici che vi si trovavano. E’ stato l’anima della destra più estrema del Likud, ma poi non ha esitato ad abbandonare il partito, ritenuto troppo estremista, per virare verso il centro e fondare il partito moderato Kadima, che poi, senza di lui, si è quasi spento lentamente. Ho incontrato Sharon non so quante volte. Ho scritto su di lui articoli durissimi, ma la sua forza era di non portare rancore, soprattutto verso i giornalisti. Posso dire che Ariel Sharon era quasi indispettito di fronte alla piaggeria di tanti zelanti sostenitori mediatici dell’ultima ora. Preferiva le domande dirette, anche le più sgradevoli.
Nell’ultima intervista che mi ha dato, promise solennemente che avrebbe compiuto «passi dolorosi». Mi guardò dritto negli occhi e disse: «Non mi crede? Vedrà di persona, e poi la riceverò per un’altra intervista». Pochi mesi dopo, decise l’uscita da Gaza. Ma quel che mi colpiva di Sharon era poco politico e molto personale: l’incontenibile piacere quando si parlava di buon cibo e di ristoranti. A Roma mi parlò del Bolognese, ma a Milano il suo palato aveva lasciato il cuore. Ricevendomi per un’intervista assieme al direttore Ferruccio de Bortoli, fece un «dotto preambolo» sulle qualità gastronomiche del ristorante Rigolo, che si trova in Largo Treves, a pochi passi da via Solferino, la sede del Corriere della sera. Ricordava dettagliatamente, a distanza di anni, alcuni piatti.
E’ strano che un generale abbia il culto dell’ironia. Sharon l’aveva. Durante una visita a Gerusalemme dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, vi fu il pranzo ufficiale tra le due delegazioni. Due splendide cameriere sabra portavano il pane, un pezzo alla volta. A quel punto Sharon intervenne: «Presidente, ma perché non si fa dare tutto il pane che desidera una volta sola?» Berlusconi: «Perché mi piace guardare le cameriere. Sa....alla mia età si guarda soltanto». Sharon: «Non ci risulta, signor presidente». Berlusconi, ammiccante: «Glielo hanno detto i servizi segreti?».E Sharon: «No, lo abbiamo letto sui suoi giornali».
Più di una volta, da primo ministro, mi aveva detto: «Non voglio che i libri di storia mi ricordino come uomo di guerra. Voglio essere ricordato come uomo di pace». Chissà cosa avrebbe fatto, Ariel Sharon, negli ultimi otto anni, tra la prima e la seconda morte. Non lo sapremo mai. Però possiamo dirgli: «Riposi in pace, signor primo ministro».
CORRIERE.IT
Il mio caro amico Arik Sharon ha perso la sua ultima battaglia. Era un soldato valoroso e un leader che sapeva osare. Amava la sua nazione e la sua nazione lo amava». È il primo commento del capo dello Stato Shimon Peres alla morte dell’ex premier israeliano Ariel Sharon. Peres ha definito Sharon «un caro amico», uno dei più grandi «difensori di Israele».
NETANYAHU - «Lo Stato di Israele china il capo con la dipartita dell’ex premier Ariel Sharon, componente centrale nella lotta per la sicurezza di Israele durante tutta la sua esistenza». Così invece il premier Benyamin Netanyahu che definisce Sharon un «combattente valoroso, grande condottiero, fra i comandanti più importanti delle nostre forze armate».
HAMAS - Di tutt’altro tenore le reazioni da parte palestinese. Ariel Sharon era un «criminale, responsabile della morte di Arafat sfuggito alla giustizia internazionale». Così Jibril Raboub, dirigente di Fatah, ha commentato la morte dell’ex premier israeliano. Hamas al potere a Gaza ha definito un «momento storico» la «scomparsa di questo criminale con le mani coperte di sangue palestinese».
BAN KI-MOON - Il segretario generale dell’Onu, Ban ki-moon parla di «un eroe per il suo popolo, prima come soldato, poi come statista». Ban si è detto «addolorato» per la scomparsa di Sharon e ha inviato le sue condoglianze alla famiglia, al governo e al popolo di Israele. «Sharon sarà ricordato per il suo coraggio politico e per la decisione storica di ritirare le truppe israeliane dalla striscia di Gaza», ha aggiunto il leader del Palazzo di Vetro, sottolineando che il suo successore «deve affrontare la difficile sfida di realizzare le aspirazioni di pace tra il popolo israeliano e quello palestinese».
L’ADDIO DI OBAMA - Il cordoglio del presidente americano, Barack Obama: «Un leader che ha consacrato la sua vita ad Israele». L’occasione delle condoglianze al popolo israeliano è stata colta dal leader Usa anche per rinnovare l’impegno degli Stati Uniti al fianco di Israele. «Confermiamo - si legge ancora nella nota - il nostro immutabile impegno nella sicurezza del Paese e continuiamo a batterci per una pace durevole incluso il nostro impegno per la soluzione dei due Stati».
TRAMBALLI SUL SOLE240RE.IT (da Dagospia)
L’ex primo ministro israeliano Ariel Sharon è morto. Lo ha riferito la stampa dello Stato ebraico.
È una di quelle notizie sulle quali chi non segue da decenni il filo della vicenda mediorientale, tende a chiedersi: "Chi?". Otto anni dopo la sua discesa in uno stato vegetativo, scomparso dalla scena del conflitto israelo-palestinese, sulla quale di suo è rimasto poco, per i più è legittimo chiedersi chi fosse Ariel Sharon: morto a 86 anni ma in vita artificiale dall’età di 78, colpito da un doppio ictus devastante.
Di "Arik" come lo chiamavano tutti - pochi generali e politici sono senza soprannome, in Israele - è più facile ricordare le provocazioni che il lascito politico. Creatore dell’Unità 101, il reparto costituito per vendicare, anche contro la popolazione araba inerme, le azioni palestinesi dentro Israele; accusato di aver ordinato nel Sinai l’esecuzione dei prigionieri egiziani nella guerra del 1956; uguale trattamento con i palestinesi di Gaza in quella del ’67.
Nell’ultima grande guerra arabo-israeliana, quella del Kippur del 1973, con la sua colonna di carri armati Sharon attraversò il canale di Suez. Sarebbe arrivato alle porte del Cairo se non lo avessero fermato i vertici politici che detestava. E dai quali sarebbe stato ripagato con la stessa moneta: non lo hanno mai nominato comandante in capo delle forze armate.
Oltre ai soprannomi, un’altra tradizione d’Israele è la discesa in politica di molti suoi generali. Cambiando divisa, diversi diventano sostenitori del processo di pace. Arik no. Entrò anche lui in politica, mantenendo lo stesso atteggiamento irriverente e aggressivo del militare.
Ministro della Difesa nel 1982, ideatore dell’invasione del Libano e responsabile morale dei massacri palestinesi di Sabra e Chatila. Sharon aveva venduto al premier Menahem Begin l’attacco al Libano come una operazione di polizia. Israele se ne sarebbe districato 18 anni più tardi, e non del tutto. Da politico, Sharon fu evidentemente un attivo sostenitore della colonizzazione ebraica e della moltiplicazione degli insediamenti. «Conquistate le colline e distruggete i villaggi arabi», era la sua esortazione, lui che il nemico lo conosceva bene.
Infine, fu l’uomo che nel settembre 2000, passeggiando fra le moschee della Spianata nella città vecchia di Gerusalemme, provocò la seconda Intifada: anche se quel gesto fu la vera causa della rivolta palestinese quanto il rapimento di Elena della guerra di Troia.
È francamente difficile chiamare Ariel Sharon uomo della pace. Eppure, con molti distinguo, non è una definizione impropria.
Lui, conquistatore di terre arabe, è stato il primo israeliano a ritirarsi da un territorio palestinese: per la destra israeliana alla quale apparteneva, quei territori sono Grande Israele. Nell’estate 2005, da primo ministro, Arik ordinò la distruzione di tutti gli insediamenti ebraici nella striscia di Gaza, e di alcuni nella Cisgiordania. Il suo piano era di continuare un disimpegno unilaterale da quasi tutti i Territori.
Attaccato dalla sua stessa gente del Likud, che chiedeva le sue dimissioni, Sharon fondò un partito chiamato come l’ordine che aveva sempre dato in combattimento, da quando era comandante dl plotone nel 1948: Kadima, cioè avanti. Qualche mese dopo, Arik avrebbe rivinto le elezioni. Guidati da lui, gli israeliani erano pronti a scrollarsi di dosso la questione palestinese. Ma l’ictus fermò tutto.
È evidente che Sharon non fosse un uomo di pace nel senso comune del termine. Il disimpegno non era il frutto di un negoziato con Abu Mazen. Era piuttosto la constatazione di un sionista pragmatico e non ideologico.
La "questione demografica" gli era stata spiegata da Sergio Della Pergola, demografo di fama mondiale: in pochi decenni, in Israele e nei territori palestinesi conquistati ci sarebbero stati più arabi che ebrei. Si avvicinava il giorno in cui Israele avrebbe dovuto scegliere fra essere un grande Paese democratico ma multietnico, o ebraico ma segregazionista. Sharon scelse la terza ipotesi di un Israele più piccolo, ebraico e democratico. Ma l’impresa è rimasta incompiuta. Come il destino d’Israele.