Francesca Pierantozzi, Oggi 8/1/2014, 8 gennaio 2014
SONO L’ITALIANO PIÙ FAMOSO DI PARIGI
[Arturo Brachetti]
Parigi, gennaio
Non beve, non fuma e non si droga Arturo Brachetti. Ma cambia faccia, vestito e anima; naso e occhi, altezza addirittura. Anche in un secondo e mezzo, stando al Guinness dei primati, in cui è entrato come un lampo nel 2006.
È l’erede di Fregoli: un trasformista. L’unico al mondo e il più amato dai francesi. Adottato nel ’79, non ancora ventiduenne, dalla Parigi del cabaret e degli chansonnier, questo ragazzo torinese che si vanta dei suoi 56 anni (che sembrano almeno dieci di meno, e il trucco non c’è), fa il tutto esaurito da ottobre al Theatre du Gymnase con Comedy Majik Cho, dove è in scena fino al 19 gennaio. Il suo viso col ciuffetto tappezza i corridoi della metropolitana, guadagna (è per pochissimi) la prima pagina di Le Monde con tanto di foto, e, consacrazione finale, ha la sua statua al Grévin, il museo delle cere di Parigi.
«LA MIA SARÀ UNA CERA ANIMATA»
«Se sono contento? Contentissimo: la mia sarà la prima statua animata, cambierà abito centinaia di volte al giorno», dice senza alcun sussiego, con un entusiasmo da ragazzino, seduto al primo piano di un bistrot dove lo conoscono tutti. «Sì, ho la sindrome di Peter Pan», spiega con candore.
Con lui, d’altra parte, non si sa mai. Alla fine dell’intervista si alza, via gli occhialini trendy, infila un cappello di lana, un cappottone sopra i jeans e gli stivali neri, e diventa un altro. Occhi più tondi, naso a patata, un po’ più grosso e più basso. «Ma va, è un’illusione», dice lui con allegria.
Con Arturo Brachetti, quelli che consideriamo difetti diventano poesia: trasformismo, trucco, menzogna. «L’illusione fa sopravvivere me e milioni di persone. Cosa sarebbe l’uomo senza l’illusione? Diciamo bugie per stare meglio, la vita è un gioco di prestigio».
Voce grave e accento piemontese, fissa negli occhi mentre mette zucchero nel caffè, e ti aspetti che dalla tazzina esca un coniglio.
«TUTTO È COMINCIATO IN SEMINARIO»
Tutto è cominciato in un seminario di Salesiani a Torino: «Mio padre voleva che diventassi prete, visto che lui non c’era riuscito». La storia è nota, almeno in Francia: incontra don Silvio Mantelli, prete ma soprattutto grande illusionista, con una stanza piena di giochi di prestigio. Il tredicenne Arturo «brufoloso, bruttino, una sega a calcio», nella stanza del prete («eh no, non fate ironia, io in seminario ci sono stato benissimo, e i preti si sono sempre comportati bene») ci passa l’adolescenza. «Mi travestivo perché ero timidissimo, ho cominciato a cambiare d’abito sempre più velocemente, con vestiti confezionati da mia madre. Un giorno don Mantelli mi dice: sei come Fregoli. Non sapevo chi fosse Fregoli, e lui mi regalò un libro. Meraviglia: avevo trovato il mio idolo e la mia strada».
Poi tutto è andato di corsa come i suoi cambi d’abito: a 19 anni vince un concorso a Saint Vincent, a 22 lo prendono a Parigi, al famoso Paradis Latin, storica sala di music hall. «Non mi hanno preso perché ero il più grande trasformista del mondo. Mi hanno preso perché ero l’unico. Dal 1922, quando Fregoli aveva smesso di lavorare, non c’era stato più nessuno. Io nemmeno lo sapevo». Parla, e di nuovo ti chiedi se non c’è il trucco, se è tutto falso, se è davvero lui: «Ma sì, sono io, sono io. Per fare questo lavoro però devi essere un po’ perverso, ci vuole una dose di schizofrenia e l’adrenalina a mille. Ma soprattutto, devi saper illudere, mentire. Ho lavorato con Ugo Tognazzi. A teatro, mentre Tognazzi “moriva” tra le mie braccia e in sala il pubblico piangeva, lui mi sussurrava: “Ma dobbiamo andare proprio a mangiare alla stessa pizzeria di ieri sera?” Questo lavoro è un gioco, fantastico nel suo delirio».
In Italia, Arturo non si sente incompreso, ma a Parigi lo hanno capito subito, perché «è la patria del cabaret, del varietà, del café chantant». Ha una casa nel centro di Torino che gli somiglia: passaggi segreti, librerie che girano, porte nascoste. «Sono fatto così. A pagare le tasse ci pensa mio fratello, lui invecchia al posto mio». Per passare da una bionda in tailleur a un cinese in tre secondi netti, si allena ogni giorno.
STA PREPARANDO UNA TOURNÉE IN ITALIA
Fa una vita da asceta («la carbonara la mangio una volta all’anno. Se mi viene voglia m’illudo di gustarla; d’altra parte non viviamo d’illusioni?»), fa ginnastica («ogni notte, verso le due, quando torno a casa»), e quando prepara nuovi travestimenti prova fino a 15 ore al giorno: «Se ho le chiavi del teatro, torno anche di notte. I miei colleghi ventenni non mi stanno dietro, sono stanchi, hanno male alla schiena».
A Parigi Brachetti porta in scena con lui un gruppo di maghi e loro devono far passare l’esame a un apprendista, il giovane Luca Bono, promettente allievo di Arturo e già vincitore di numerosi premi.
Un’ora e mezzo per 23 numeri tra illusionismo, comicità, giochi di prestigio con carte e laser. Brachetti, intanto, sta preparando anche una tournée in Italia, con un giro di prova a Bologna, Napoli e Bari.
Se il maestro dell’illusionismo è Fregoli, Brachetti a Harry Potter preferisce il fonatissimo Silvan: «Un‘icona, un mito vivente», dice di lui. Il suo sogno ora è conquistare New York prima che arrivi un americano che «copi, male, quello che faccio io». Nel suo cuore c’è l’Italia, «un Paese che continua a specchiarsi nelle sue pietre romane», riflette. E ride quando gli si fa notare che i nostri politici sono capaci di cambiare d’abito più velocemente di lui a teatro. A Brachetti cosa ha insegnato la magia? «Che per andare da A a B non esiste solo la linea retta, c’è sempre un’altra strada, magari contorta. È un trucco da tener presente: credetemi, può aiutare a vivere meglio».
Francesca Pierantozzi