Gigi Vesigna, Oggi 8/1/2014, 8 gennaio 2014
E CANZONISSIMA CAMBIÒ LA TV
[due puntate, vedi appunti]
• Prima puntata
Milano, gennaio
3 gennaio 1954. Non sono ancora le otto di sera e che ci faccio io a 20 metri dal suolo, sul soffitto di uno studio televisivo? Tra meno di un mese compio 22 anni e sono lì, in bilico, cercando di guardare in basso il meno possibile. Ma il rischio vale le candela: stasera nasce ufficialmente la tv in Italia...
L’Italia del 1954 conta 2 milioni di disoccupati; il reddito medio pro capite è di 258 mila lire; le automobili che non riempiono ancora le strade sono 600 mila. Un televisore da 14 pollici costa 160 mila lire, ma l’impianto con l’indispensabile antenna viene 250 mila lire. Nel 1953 i teleabbonati sono solo 178 ma nel febbraio 1954 diventano 24 mila e a fine anno arrivano a 77 mila 760.
Per la cronaca mio padre era titolare di una piccola azienda che forniva strumenti elettrici di misura proprio alla Rai e quindi la tv “abitava” con noi. Ogni sera c’era una specie di riunione di condominio con i vicini che venivano “a dare un’occhiata”. Mia mamma in poltrona, gli altri attorno e Schizzo, il mio gatto nero che dormicchiava indifferente (salvo una volta, nelle immagini cadde un albero e lui si spaventò credendo che gli piombasse addosso). Fu lui nel 1961 a ispirare la nascita del Telegatto, la statuetta i cui baffi troppo appuntiti ferivano i premiati. Divenne però tanto ambita che miti del cinema come Stallone, Schwarzenegger, Gregory Peck, Sharon Stone e Sophia Loren venivano fin da Hollywood.
Quella sera del ’54, dunque, ero lassù, ma avevo seguito attraverso i teleschermi tutta la liturgia di preparazione del fatidico giorno dell’inaugurazione - già allora mi impicciavo di televisione collaborando a Settimana Radio Tv - e quindi sono in grado di descrivere quella prima giornata di programmazione annunciata da Fulvia Colombo, primo volto ad apparire sul teleschermo di casa. Gentile, anzi soave, la prima “signorina buonasera” abitava a due passi da corso Sempione ed era la figlia di un alto dirigente della Fiera di Milano. La sua storia è drammatica perché, caduta in un esaurimento nervoso dopo pochi anni di carriera, era stata dimessa dalla Rai e se n’è andata, in miseria.
«RAGAZZINO, SEI MATTO»
Brevissima cronaca di quella prima volta: discorsi di ministri, vescovi, giornalisti (tre) che presentavano il palazzo della Rai in corso Sempione; poi un concerto, un film, un documentario, il primo tg condotto da Furio Caccia da Milano e da Roma da Riccardo Paladini, diventato famoso per le sue orecchie a sventola. Erano le 20.45. Poi un garbato talk show, tradotto maldestramente in «intrattenimento con parola», e finalmente la prima vera produzione, L’Osteria della Posta, atto unico di Carlo Goldoni con Isa Barzizza, la soubrette che in guêpiere aveva reso ancora più famosa e appetitosa una famosa scenetta di Totò ambientata in un vagone letto.
Bene, quel 3 gennaio, sospeso a 20 metri da terra, ho avuto l’occasione - unica direi - di veder girare L’Osteria della Posta in diretta perché Sante Giola (un fotografo della Rai, mio amico) mi aveva fatto salire di nascosto sino alle paratie del soffitto dello studio dove si realizzava quello che sarebbe rimasto il primo lavoro di prosa della nostra tv. A vederlo da lassù, praticamente in asse, sembrava di assistere a una partita a scacchi dove da una parte c’erano le telecamere e dall’altra gli attori che si muovevano praticamente in sincrono. Naturalmente da lassù non ho sentito neanche una parola. Quando l’ho raccontato alla Barzizza ha scosso la testa e mi ha detto: «Ragazzino, sei matto, hai corso il rischio di caderci addosso o di essere arrestato».
Nata e battezzata, la tv trovò subito il suo primo mentore, un giornalista italoamericano miope e gentile, Michael Bongiorno detto Mike, che conobbi perché era la star dei fotoromanzi di Bolero film, un giornale per il quale ho lavorato dopo la chiusura di Teletutto, che pubblicava il palinsesto del Programma Nazionale (così allora si chiamava Rai 1). Con Mike - cosa normalmente assai difficile - entrammo subito in confidenza e lui mi raccontò, tra l’altro, di quando, arrestato come presunta spia americana e minacciato di fucilazione, si ritrovò nella stessa cella con un altro grande comunicatore, Indro Montanelli.
Poco tempo dopo Mike mi invitò a collaborare con lui: si trattava di andare a intervistare i suoi futuri concorrenti, capire i loro gusti e preparare una scheda che poi lui usava per le trasmissioni. Una specie di ghostwriter, come si dice oggi (allora lo chamavano più brutalmente “negro”). E anche quando andò per la prima volta a Sanremo, mi chiese di scrivere le presentazioni delle canzoni con i cenni biografici dei cantanti. Era divertente e per di più io ero sempre “dentro” la notizia.
In Rai il grande successo di Bongiorno suscitava pericolose allergie tanto che fecero di tutto per non assegnargli mai il Festival. Prima ci mandarono un compassato Armando Picco, poi Fausto Tommei, Enza Sampò, Paolo Ferrari, Lilly Lembo, Giuliana Calandra, Renato Tagliani e Laura Efrikian. Poi, finalmente, chiamarono lui. Era il 1963 e Mike volle celebrare l’evento chiamando accanto a sé le quattro vallette che lo avevano accompagnato nella sua carriera, Rosanna Armani (sorella di Giorgio, che era stata al suo fianco alla radio), Maria Giovannini (che, dopo alcune puntate di Lascia o raddoppia se ne era andata allettata dal richiamo di un cinema che l’aveva subito ripudiata), Edy Campagnoli (la soave compagna del quiz più famoso della tv) e Giuliana Copreni (una giovante modella-aspirante attrice che Mike aveva fatto debuttare nella trasmissione Caccia al numero, forse l’unica prova opaca di Mike ma che comunque era stata scelta nel ’62 per inaugurare l’era del quiz).
MIKE ERA UN PO’ TIRCHIO
Nacque subito l’idea di una copertina e così loro quattro, io, un fotografo e una bottiglia di champagne lo raggiungemmo nel suo attico in piazza San Babila. Tutto andò per il meglio finché nel momento dell’inevitabile brindisi, apparve un’altra bottiglia di bollicine, ma stavolta dentro c’era acqua: «Tanto», sentenziò Mike, «nelle foto non si vede». Quando scendemmo, Rosanna Armani entrò nel bar sottostante e ordinò sette cappuccini con brioche: «Mi raccomando», disse, «le porti subito al signor Bongiorno che ha ospiti».
Mike nell’ambiente era soprannominato «L’uomo dal braccio corto» per la sua esagerata parsimonia. Ma una volta mi sorprese. Eravamo nel bar degli studi della fiera in Rai (ora smantellati) e mi invitò a bere un caffè. Ordinò e, nel prendere il resto, una monetina gli cadde nel cestino sotto la cassa. Cercò un po’ sul pavimento, poi afferrò il grande cestino di metallo e lo rovesciò in terra, cercando col piede tra i tovagliolini e, quando trovò la sua moneta, si rialzò tranquillo e bevemmo il caffè.
Parecchi anni dopo, in una puntata di Porta a porta dove ero con Sabina Ciuffini, ospite di Vespa proprio per celebrare Mike, Bruno mi chiese se conoscessi almeno un difetto di Bongiorno: raccontai l’episodio del bar e Mike, subito: «Però il caffè l’ho pagato io!».
A volte Mike si divertiva a fare il talent-scout. L’ultima volta fu durante le registrazioni di una puntata di La ruota della fortuna: mi parlò di un giovanotto dai capelli un po’ troppo lunghi e dagli occhiali un po’ troppo grandi. «Viene da Firenze e mi sembra un possibile conduttore televisivo, potrebbe diventare un mio rivale con in più una parlantina toscana che lo rende simpatico al pubblico». Non gli diedi retta. Ricordo però le parole di Mike: «È garbato e spiritoso, mi ricorda Odoardo Spadaro, quello di La porti un bacione a Firenze. Questo, si chiama Matteo, Matteo Renzi».
LO SCOPONE CON CORRADO E LA CARRÀ
La popolarità, per molti anni, se la sono contesa Mike e Corrado, i due più famosi conduttori radiofonici dell’epoca: Bongiorno con Il motivo in maschera (1954-1955), Corrado con La Corrida - Dilettanti allo sbaraglio (1968-1979) una trasmissione che poi lo trasformò in una star tv su Canale 5. All’inizio Corrado faceva vita riservata in famiglia a Roma. A un certo punto mi chiese se fossi interessato a un servizio fotografico durante una festa per celebrare non so quale anniversario di matrimonio con moglie e figlio. Certo che mi interessava. Il servizio fu pubblicato ma di lì a poco uscì anche la notizia che quel matrimonio era andato infrantumi e Corrado aveva ufficializzato la sua relazione con Marina Donato, sua inseparabile assistente e donna di grande polso. Con l’arrivo di Marina, se ero a Roma, ero invitato a cena a casa loro. Marina cucinava bene e spesso dopo cena ci raggiungeva Raffaella Carrà per una partita a scopone.
Burrascoso e meraviglioso il feeling che legava Sandra Mondaini e Raimondo Vianello. Una volta ipotizzai una scappatella di Raimondo (vera) e Sandrina mi fece una telefonata di fuoco. La loro Casa Vianello esisteva veramente: quella in cui abitavano occupava l’attico e il superattico di una grande palazzina di Milano 2, lui viveva nel superattico praticamente davanti a un televisore guardando ogni tipo di sport e lei se ne stava nell’attico disturbandolo il più possibile col telefono. «Tanto», mi spiegò lui, «io stacco il telefono e non ho il cellulare!». Una coppia d’amore vero, la loro. Ma Sandrina non dimenticava di essere come la gente si immaginava fosse. Una volta a una cerimonia alla Provincia di Milano eravamo entrambi tra i premiati e quando si veniva chiamati si leggevano le motivazioni e brevi note biografiche tralasciando, ovviamente, di rammentare l’età delle signore. Quando toccò a me, appena tornato al posto, mi disse sibilando: «Hai un anno meno di me, ma sai che li porti proprio male».
IL MISTERO DELLA FINE DI NOSCHESE
Volenti o nolenti ci si innamorava delle coppie televisive: chi non ha preso una cotta per quei due quasi adolescenti protagonisti di La freccia nera? Lui Sergio Reggiani, lei una Loretta Goggi vestita da uomo; cappa e spada, duelli, intrighi tratti da un romanzo di Stevenson. La Goggi è anche una grande imitatrice. Ma degli imitatori il re era Alighiero Noschese. La natura l’aveva dotato di superpoteri camaleontici per cui se parlava con te, dopo dieci minuti usava proprio la tua voce. Alighiero era una persona perbene e amava scherzare. Al Cantagiro un giorno ne combinò una grossa. Sapeva che il patron Ezio Radaelli amava entrare per primo in piedi sulla spider ammiraglia nel luogo sede di tappa. Ebbene Alighiero, imitando la voce del capo del servizio di scorta, indicò un altro itinerario e quando il Patron arrivò non c’era nessuno: erano andati tutti nella destinazione indicata da quella voce perfettamente imitata. Un giorno arrivò la notizia che Noschese era stato trovato morto nel giardino di una clinica romana dove era ricoverato e tutto faceva pensare a un suicidio, c’era persino la sua pistola. Pochi giorni prima Noschese mi aveva telefonato dicendosi preoccupato per una telefonata ricevuta, insomma sembrava in uno stato di confusione, ma il medico diceva che tutto andava bene anche se c’era stato un peggioramento nello stato depressivo. Voci incontrollate sussurrarono, poi, che qualcuno avesse “costretto” Noschese a fare alcune telefonate, con la voce di un politico, ad altri politici. Nella stessa clinica era ricoverato anche Giulio Andreotti. Finì lì, ma quella pistola com’era entrata in clinica?
Ma quella tv era davvero ben fatta? Per chi la guardava aveva un effetto ipnotizzante. Una cosa è certa: aveva dato agli italiani la grande opportunità di conoscere meglio la lingua del Paese. L’Italia, si disse, non l’ha unificata Garibaldi, ma la tv. E piano piano anche in Italia si cominciò a parlare di tv a colori. Il 1° gennaio 1971 Rosanna Vaudetti annunciò l’inizio delle trasmissioni a colori in via sperimentale, ma ci vollero due anni perché tutti potessimo vederla davvero. C’erano due sistemi per trasmettere a colori, il Secam adottato solo dalla Francia, e il Pal, inventato dai tedeschi e adottato in tutta l’Europa: la scelta sembrava facile, ma ci complicammo la vita e cominciammo a discutere. Solo dopo due anni, il 15 dicembre 1979, la tv a colori arrivò nelle nostre case con il Pal (a quella data debuttò la Rai 3. La tv a colori è del 1977 - nota GdA).
IL PROCESSO DI ARBORE
Ma quella del colore non fu una rivoluzione come quella che il 3 gennaio 1957 portò nelle nostre case la réclame di Carosello. In qualche modo certe abitudini cambiarono: i bambini, per esempio, impararono che dovevano andare a letto dopo Carosello, che si concludeva quasi alle 21. Quella sigla incalzante, «tatatatttatatatà», ci restò appiccicata per una decina d’anni. Assieme ai messaggi che diventarono slogan. A una ragazza si diceva: «Con quella bocca puoi dire ciò che vuoi», come a Virna Lisi smagliante protagonista di una réclame su un dentifricio; «Sempre più in alto!», si esultava per una vittoria sportiva, imitando Mike sul Cervino con la bottiglia di grappa in mano; e Calimero così piccolo e nero, e ancora «Non sono mica Jo Condor!». Be’, questa l’ha usata anche in una recente intervista il nostro premier Enrico Letta. Solo in pochi sapevano che quella ossessiva musichetta era la versione strumentale di una tarantella napoletana del 1825 intitolata I pagliacci.
Renzo Arbore inventò una tv davvero alternativa. Era “l’altra”. Come L’Altra domenica che contrastava quella rassicurante di Corrado e che lanciava personaggi come Roberto Benigni, anomalo critico cinematografico, Isabella Rossellini, pungente opinionista, e Milly Carlucci che era ancora e solo un’atletica vamp acqua e sapone. Arrivarono Quelli della notte e fu subito tendenza, e poi Indietro tutta, Marisa Laurito, Nino Frassica. Tra il ’69 e il ’71 organizzò Speciale per voi, una specie di tribunale dove i giovani fruitori di musica potevano chiedere ai loro cantanti preferiti quel che volevano. Un processo spietato che un giorno fece uscire dallo studio in lacrime Caterina Caselli.
Non c’erano ancora le fiction, ma intanto pescando nella nostra letteratura “guardammo” i romanzi classici italiani, da Il mulino del Po, un vero capolavoro realizzato da Sandro Bolchi, a Piccolo mondo antico e I promessi sposi; mentre la voce di Alberto Lupo, protagonista di La cittadella, secondo un critico, aveva sulle signore di una certa età l’effetto di un orgasmo. Era popolarissimo e quando duettò con Mina in Parole, Parole, Parole quella popolarità divenne un plebiscito.
Alice ed Ellen Kessler arrivavano da Monaco di Baviera: gambe lunghissime, sincronismo perfetto, fecero esplodere i benpensanti della tv che le obbligarono a coprirsi con calze nere spessissime che le resero ancora più sexy. Anche con loro ho avuto una specie di amicizia: quando nel 1974 i Mondiali di calcio si svolsero in Germania, organizzammo un servizio fotografico con Gigi Riva e le gemellissime che “fingevano” di giocare al pallone con lui.
LE CASE GEMELLE DELLE KESSLER
Alice ed Ellen avevano una dote piuttosto rara tra le star: la simpatia. La loro casa di Monaco era unica, ma doppia. Nel senso che, entrando da due cancelli simili e percorrendo due sentieri simili, ognuna arrivava alla propria casa e così, sempre unite dalla professione, potevano godersi in pace la loro privacy quando ne avevano voglia. «Tanto al pallone vinciamo noi...», dissero all’unisono le gemelle e ci presero alla grande: la Germania nella finalissima battè l’Olanda per 2 a 1.
Qualche tempo dopo avevo un appuntamento con loro per un’intervista al Teatro delle Vittorie, il tempio del varietà televisivo, ma c’erano le prove e bisognava entrare dall’ingresso degli artisti: niente da fare. Insistetti e chiesi che almeno qualcuno domandasse se e quando potevo entrare. Un amen e loro fanno capolino, mi prendono sottobraccio e mi fanno entrare come una star. Mentre varcavo la sacra soglia dentro di me cantavo La notte è piccola per noi troppo piccolina e mi sentivo come Alberto Sordi quando nell’episodio Il dentone nel film I complessi entrava trionfalmente proprio come me al Delle Vittorie. Da poco ero diventato direttore, ma a loro poco importava: con la memoria di un elefante moltiplicato per due mi ricordarono che avevano visto giusto ed erano loro i campioni del mondo in carica.
Gigi Vesigna
•Seconda puntata
Milano, gennaio
Canzonissima è stato un momento magico della nostra televisione. Una gara di canzoni che si votavano acquistando un biglietto della Lotteria dove si indicava il nome del cantante preferito. Canzonissima ha lanciato più cantanti del Festival di Sanremo, ha sempre fatto vendere milioni di dischi (soprattutto con quelle sigle un po’ semplici come Zum zum zum), ma ha anche fornito occasioni di imbrogli che soltanto l’avvento del famigerato televoto ha fatto dimenticare: le persone normali spedivano una cartolina, ma qualcuno tra i cantanti in gara (non tutti, naturalmente) consegnava direttamente i sacchi pieni di voti in via Arsenale 21, Torino. Sacchi pieni fino all’orlo e controllati sommariamente, solo in superficie (e anche questo succedeva difficilmente perché le consegne erano fatte di proposito poco prima della chiusura della votazione). Un sacco colmo pesava l’equivalente di un certo numero di cartoline-voto. In realtà, quei sacchi contenevano spesso barrette di piombo. Così si superava il turno, si arrivava in finale, magari si vinceva anche. E ne valeva la pena. Chi spendeva quelle non poche lire aveva concerti pieni e pioggia di dischi venduti.
Pochi sanno com’è nato il famoso Tacco 12. Tra i tanti sabato sera di questi primi Anni 60, il varietà più famoso, chiacchierato e celebrato è stato Milleluci. Una sera mi telefona Alfredo Cerruti, un simpaticissimo guaglione napoletano da un bel po’ compagno di Mina: «Gi’, se stasera vieni a Lugano in via Monte Generoso vedrai che ne vale la pena. Ah, porta un fotografo, ma non prima delle dieci...». Certo che ci vado e quasi faccio un frontale con due coppie che tranquillamente passeggiano per la Lugano deserta: erano Mina con Cerruti e Raffaella Carrà con Gianni Boncompagni. Sorpresa! Viene fuori che stanno preparando il nuovo show del sabato sera, Milleluci, che vedrà per la prima volta insieme le due prime donne della nostra tv.
LA GARA DEI TRAMPOLI
I problemi che hanno dato ai giornali quelle due superstar sono stati infiniti: Raffa era più piccina di Mina e allora si issava su tacchi altissimi. Ma il problema si riproponeva perché se li metteva pure Mina. I tecnici provarono con quegli obiettivi che allungano, come certi specchi nei negozi di moda che ti “sfilano” e l’abito che provi ti sembra perfetto. Macché, sempre tacchi più alti e le figure delle due star diventavano affusolate come lunghe candele. Andò avanti così per tutte le puntate e nacque una specie di gara tra le due: alla fine di quella corsa sui trampoli nella simpatia delle gente, vinse per pochissimo Raffaella Carrà, proprio come ai tempi di Coppi e Bartali o Gina Lollobrigida e Sophia Loren. Raffaella è stata per anni come una sorella per me, quando ero a Roma andare a cena a casa sua in Via Nemea era un imperativo. Ottimo cibo romagnolo, poi si guardava la tv da uno schermo cinematografico che calava dal soffitto. E con noi c’era quasi sempre Gianni Boncompagni.
Incontrastata regina del sabato sera televisivo, icona gay, dal 3 ottobre 1983 grazie a una trovata di Gianni Boncompagni (e probabilmente anche di Giancarlo Magalli), Raffaella viene eletta “regina dei fagioli”. Con Pronto Raffaella, un programma che va in onda a mezzogiorno, ora in cui, prima, sui nostri teleschermi c’era soltanto il monoscopio. Pronto Raffaella divenne popolarissimo per un gioco che vedeva accanto a Raffa un enorme vaso pieno di fagioli e la gente da casa doveva indovinare - con montepremi crescente - quanti fossero quei fagioli. L’idea - me l’ha rivelato proprio Gianni - l’aveva avuta da un gioco identico in onda su una tv privata, TeleLibera Firenze condotta da Cesara Buonamici, una delle giornaliste più famose del Tg5.
C’era timore perché a quell’ora non si sapeva se ci sarebbe stata gente davanti al video. Inizia la trasmissione, arriva la prima telefonata ma, senza che Raffa faccia la domanda, dall’altra parte del filo parte un vaffa. Raffaella non fa una piega e dice: «Passiamo alla prossima». Quel vaffa è stato pilotato? Gianni Boncompagni ha sempre smentito. Lui, infatti, non ha mai voluto ammettere di essere l’artefice di qual “lancio” inconsueto, ma chiunque abbia mai telefonato in Rai, sa benissimo che ci sono severi filtri: prima si richiede il tuo recapito, quindi se risulti “abile e arruolato” è la Rai stessa che ti richiama a casa.
Pronto Raffaella segna anche il debutto come imitatore (faceva Minà e Sandro Paternostro) di Fabio Fazio, ora líder máximo di quella Rai 3 quasi sempre “rosso-di-sera” inaugurata nel 1977. Tornando a quel «vaffa», peggio di così è andata quando fu annunciato in “diretta” a Sandra Milo la morte del figlio Ciro. Una vera bufala del dolore, che fece recitare a Sandra una scena madre come ai tempi in cui era la preferita di Fellini. Gianni Boncompagni e e Raffaella Carrà hanno costituito per anni una coppia che non viveva forse la passione, ma un amore tranquillo sì, di quelli che sembrano non finire mai. Così quando un fotografo mi porta un servizio sulla cui cartelletta c’è scritto «Raffa e il tricheco», la cosa mi incuriosisce.
Il reportage mostrava Raffaella e uno sconosciuto non proprio bello e con grandi baffi mentre facevano la spesa in un supermercato. Poi andavano alla macchina e, una volta dentro, si scambiavano un bacio. Qualche ricerca e si scopre che “il tricheco” è un ballerino che si chiama Sergio Japino. Chiamo subito Raffaella e lei ci fa una bella risata: «Vieni a Roma che assieme a Gianni ti raccontiamo la verità». Roma, ristorante Il Bolognese in Piazza del Popolo. Gianni e Raffa tentano di rassicurami: «Tra noi va tutto bene, credici, e se vuoi pubblica pure le foto, ma non scrivere di un nuovo amore». Pubblico il servizio e già la settimana successiva vien fuori che tra il “tricheco” e la Carrà «è nato un flirt». Morale: quel flirt è durato un bel po’ di anni e ancora oggi Raffaella è amica sincera sia di Gianni sia di Japino e quando lavora continua a farlo con loro.
UN’AMICIZIA QUASI “GIOCATA”
Sul mio rapporto con Raffa potrei scrivere un dossier: purtroppo, per una telefonata ci siamo quasi giocata l’amicizia. Dunque la chiamo per celebrare il successo planetario di Carramba! Che sorpresa. Una chiacchierata amichevole. Poi mi scappa la domanda che tutti probabilmente si fanno: «Raffa, ma non temi che a quelle persone spesso anziane che si trovano improvvisamente davanti un parente che non vedono da anni venga un coccolone?». Un attimo di silenzio e con un cinismo che non le riconosco mi risponde: «Sai, dietro le quinte abbiamo uno staff medico eccezionale». Scrivo il tutto e cala il silenzio. Ci rivediamo quando presenta un non memorabile festival di Sanremo. La mia camera è proprio di fronte alla sua suite e davanti c’è sempre un armadio che fa da guardia del corpo. Solo qualche giorno dopo, dal palcoscenico, viene verso la platea e mi chiama per salutarmi. Amici come prima? Io mi auguro di sì.
In quegli anni d’oro della tv nasce anche un’altra star: si chiama Enzo Tortora, è un giornalista che ha condotto La domenica sportiva ha litigato con la Rai, ma poi s’è inventato un programma anomalo con un gruppo di telefoniste, un pappagallo, e tante novità. Si intitola Portobello come il famoso mercatino di Londra e come il pappagallo che i concorrenti devono cercare di far parlare, o almeno di fargli dire il suo nome. Con Enzo rapporti amichevoli, ma mai molta confidenza. Non si tira indietro quando sente che chi lo contatta è gente seria e accetta addirittura di posare per una copertina con Mike e Pippo Baudo, tutti e tre col pallone in mano, in occasione dei mondiali di calcio tenuti in Italia. La bella Renée Longarini è la responsabile del “centralino” al quale arrivano centinaia di telefonate che chiedono di partecipare ai vari giochi (alcuni ispireranno altri programmi come I Cervelloni, Chi l’ha visto, Agenzia matrimoniale, persino Carramba che sorpresa, perché, che piacesse o no, in Portobello c’erano più idee di tutto il palinsesto Rai della stagione.
Accanto a Renée Longarini si alternano - vado a memoria, Paola Ferrari (oggi a La domenica sportiva nonché nuora di Carlo De Benedetti), Gabriella Carlucci, Eleonora Brigliadori, Susanna Messaggio, Gabriella Carlucci e Federica Panicucci. Decidiamo di dedicare a queste belle telefoniste (ne ho citato solo qualcuna) un servizio. Le fotografiamo, le intervistiamo e ne vien fuori un ritratto professionalmente ineccepibile, persino un po’ noioso. Così esce il servizio con il titolo rigorosamente virgolettato: «Ecco le “Ragazze squillo” di Portobello». Apriti cielo, le dolci fanciulle si sentono violate professionalmente e querelano. Enzo, che sa a cosa servono le virgolette, fa di tutto per convincerle che non c’è proprio malizia in quelle pagine. Un avvocato, per tagliarla lì, decide di trovare un accordo. Il povero Enzo dovrà subire ben altro nella vita, perseguitato dalla giustizia italiana che solo dopo molto, troppo tempo, ne riconoscerà l’innocenza.
IL SUCCESSO NATO PER CASO
Un passo indietro. Questi sessant’anni della Rai vedono nascere, professionalmente, Giuseppe Vittorio Raimondo Baudo da Militello, Catania. Avvocato, classe 1936, alto un metro e 88, da anni scalpitava per avere il suo posto al sole delle telecamere. Come pianista e cantante aveva già partecipato a La conchiglia d’oro presentato da Enzo Tortora, poi un paio di dimenticabili Festival di Napoli, finché il 6 febbraio 1968, una domenica, scatta l’imprevedibile. Per un disguido non arriva la puntata del telefilm Rin Tin Tin. Panico. Non c’è niente da mandare in onda quando qualcuno si ricorda che da qualche parte giace il numero zero di una puntata di Settevoci, un programma proposto da Pippo Baudo, ma giudicato inadatto a essere trasmesso. È una gara di cantanti e il successo è assoluto tanto che il programma va avanti per anni e lancia Baudo nell’Olimpo degli dei di Viale Mazzini. Cosa non ha fatto Pippo Baudo da quella domenica del ’64... Da Sanremo a giochini vari come La freccia d’oro con Loretta Goggi, fino a diventare “Mister sabato sera” perché in un amen si impossessò di quell’ambìto spazio televisivo. Baudo sa come trattare con i media: si sposa con Angela Lippi, dalla quale ha una figlia, Tiziana (che l’ha reso nonno di due gemelli, Nicholas e Nicole) e che ora gli fa da assistente. Ma addentrarsi tra le compagne di Baudo è un cammino impervio. Da Mirella Adinolfi ha avuto un figlio, Alessandro, nato nel 1962 e riconosciuto nel 1996, che l’ha reso bisnonno. Flirt a gogò, una lunga relazione con Alida Chelli, ex di Walter Chiari, con Adriana Russo e il matrimonio con Katia Ricciarelli. Nozze fiabesche aperte a tutti, ressa di reporter e partenza per la luna di miele in Unione Sovietica.
«L’ho scoperto io!»: la frase è di quelle che appartengono al lessico abituale di Baudo che, in verità, un po’ di gente dello spettacolo gli deve parecchio. A cominciare da Beppe Grillo che Baudo è andato a seguire a Milano, in un cabaret che quella sera era deserto. C’era solo Pippo, spettatore unico e non pagante, ma Grillo si offrì di fare lo spettacolo solo per lui. Poco dopo il futuro re dei “grillini” era nel cast di Fantastico. Poi Lorella Cuccarini, notata come ballerina di fila sul palcoscenico di una convention. E fu subito colpo di fulmine. Ma non sentimentale: Pippo provava autentica gioia quando si sentiva un pigmalione.
Una volta gli ho involontariamente tirato un colpo basso, ma è stata colpa del mestiere che faccio da sempre, il giornalista che chiede per sapere. Sabato 6 gennaio 1978, con praticamente tutti i direttori dei settimanali più importanti, vengo invitato alla finale di Fantastico, quello della rivalità accesa tra Lorella Cuccarini e Alessandra Martines e di un Pippo Baudo trionfante con i suoi 20 milioni di telespettatori.
PIPPO RISPONDE PER LE RIME
La mattina i quotidiani pubblicano un’intervista di Enrico Manca, direttore della Rai, che critica ferocemente la trasmissione definendola «nazional popolare e non lo dico come un complimento». Seguono altre considerazioni sullo stesso tono. Tra l’altro Baudo ha sempre collaborato con Manca andando persino a presentare Umbria Fiction un inutile e dispendioso festival che si occupava, appunto, delle fiction.
La sera, in diretta, comincia un giro di domande ai protagonisti dello show. Io, sorteggiato per ultimo, mi chiedo come mai nessuno dei miei colleghi abbia posto “quella domanda”. Quando è il mio turno chiedo a Baudo cosa ne pensa delle dichiarazioni di Manca. E casca il mondo: Pippo si inalbera e risponde per le rime: «Sarebbe opportuno», dice con le vene del collo tirate, «che il direttore della Rai rilasciasse meno interviste. Dal canto mio prendo atto del suo parere. Da ora in poi realizzerò solo trasmissioni provinciali e impopolari». Dire che al Delle Vittorie il casìno è totale, è minimizzare: Baudo ha praticamente mandato al diavolo il massimo dirigente. Sono sequestrato da Gigi Proietti che mi trascina a cena nel suo ristorante, mi guardano tutti come un marziano ma io ho semplicemente fatto la domanda che ogni buon giornalista “doveva” fare. Ma scatta la dietrologia. Silvio Berlusconi ha acquistato da poco azioni del mio giornale e, allora, la certezza: ho fatto quella domanda per far sì che Baudo si liberasse della Rai. Eh sì, il nostro ambiente a volte pratica il bizantinismo della malafede.
LE MANDÒ UN CAMION DI GERANI
Che Berlusconi fosse diventato una realtà in campo televisivo, lo si sapeva da tempo. Io stesso ero incuriosito da quell’uomo che aveva creato Telemilano, una piccola tv che trasmetteva via cavo solo per i residenti a Milano 2 e i programmi venivano realizzati in un seminterrato tanto basso che persino il microfono cattura-suoni strusciava sul soffitto. Mi incuriosiva conoscere Berlusconi dopo che Sergio Bernardini (forse l’uomo di spettacolo più sincero e onesto che abbia mai conosciuto) mi aveva raccontato che aveva avuto la richiesta di spostare la sua mitica Bussola di Viareggio proprio a Milano 2. Naturalmente aveva rifiutato.
Così, quando una sera il factotum Vittorio Moccagatta mi aveva invitato a una serata ad Arcore, mi ritrovai in mezzo a direttori di quotidiani, industriali di marchi famosi e tanta gente dello spettacolo. Salutai la gentile signora Carla Dall’Oglio, allora moglie di Berlusconi che, da buona padrona di casa, accoglieva gli ospiti sulla porta, e poi mi rifugiai in un piccolo studio dove c’era Carlo Alberto Rossi, un vacchio amico, autore di canzoni bellissime. Parlammo tutta la sera, ma Berlusconi non lo vidi proprio.
L’indomani telefonata di Moccagatta: «Come mai non sei venuto?». Gli raccontai com’era andata e così la montagna venne da Maometto. Berlusconi era certamente una persona affascinante, volle sapere tutto sul mondo della tv, disse che avrebbe fatto di tutto per acquistare il giornale che dirigevo e mi chiese se potevo metterlo in contatto con Raffaella Carrà. Combinai la serata e Raffa sembrava affascinata dal grande affabulatore mentre Boncompagni remava contro. Finì che dopo dieci anni ripresi a fumare, che non si concluse nulla, e l’indomani a casa della Carrà, arrivò un camion carico di gerani per abbellire i grandi balconi.
Quel che è successo dopo è noto: Mister Canale 5 scritturò Baudo, la Carrà, Enrica Bonaccorti, che andarono ad aggiungersi a Corrado, Maurizio Costanzo, Sandra e Raimondo e Marco Columbro, garbato conduttore e voce ufficiale di Five, il simbolo del Biscione. «Vieni a casa in tutta fretta, c’è un biscione che ti aspetta», era l’ossessivo slogan di Canale 5. Pubblicità che a Berlusconi non piaceva: «Mi sembra che dica che c’è un piscione che ti aspetta», mi confidò. Ma di tv se ne intendeva, ficcava il naso dappertutto.
Enzo Biagi, amico vero che collaborava al mio giornale senza voler esser pagato (ma appena me ne andai presentò un conto salato per continuare a tenere la sua rubrica), osservò: «Se Berlusconi avesse le tette, farebbe anche l’annunciatrice!». Pensai che avesse ragione. Comunque da Canale 5 e da Mediaset non è arrivato tutto il male di cui li si accusa: basterebbe ricordare il fenomeno Drive in che 30 anni fa ci regalava una comicità molto “avanti”. O l’altro fenomeno Striscia la notizia creata da un altro transfuga della Rai, Antonio Ricci.
IL SEGRETO DELLE PAUSE DI CELENTANO
Sessanta anni della Rai: cosa possiamo aspettarci adesso? Speriamo in un ritorno di Fiorello, show che sembra in cantiere, possiamo anche fare a meno di un ritorno di Celentano... A proposito, ecco la verità sulle sue “pause/riflessioni” nate quando nella prima puntata di Fantastico si dimenticò il copione e furono silenzi imbarazzanti. Subito riunione del Clan in una suite dell’Hilton di Roma. Pensa che ti ripensa, si decise che l’unica era lasciare che Adriano non tenesse troppo conto del copione ma, sornione al punto da sembrare pensante, facesse della mancanza di memoria il suo cavallo di battaglia. E lui quel cavallo lo inforca ancora.
Per finire, vale la pena di rendere giustizia alla verità: la nostra Rai è nata in America. Le prime trasmissioni di successo erano format americani. Lascia o raddoppia? nasceva come Quitte ou double?, versione francese del famoso quiz americano The 64 million question; mentre Il Musichiere una gara-indovinello di canzoni condotto da Mario Riva era la versione italiana dell’americano Name that tune.
Oggi l’unica trasmissione inventata in Italia è Avanti un altro! di Paolo Bonolis, e anche è italiano è il gioco della ghigliottina, che conclude la trasmissione di Carlo Conti L’Eredità. Anche se la trasmissione è di origine argentina, dove s’intitola El legado. Il mondo è proprio piccolo. Almeno in tv.
Gigi Vesigna