Stefano Zurlo, il Giornale 10/1/2014, 10 gennaio 2014
MORTO SANDALO, IL PENTITO ROSSO CHE MISE NEI GUAI PURE COSSIGA
Pareva uscito dalla preistoria e invece aveva solo 57 anni. Consumati a velocità forsennata.
Roberto Sandalo, un nome inciso nella storia sanguinosa del terrorismo italiano, è morto nel carcere di Parma per cause naturali. Non era un capo ma di Prima linea conosceva organigramma, covi e segreti. E quando fu arrestato, nel 1980, mise a disposizione dell’allora giudiceistruttore Gian Carlo Caselli, la sua prodigiosa memoria.
Ricorda Caselli, in pensione da pochi giorni: «Patrizio Peci, il primo grande pentito degli anni di piombo che con le sue confessioni provocò lo smantellamento delle Brigate rosse, ci aveva parlato di un piellino che voleva passare con le Br. Il piellino fu identificato in Roberto Sandalo e Sandalo innescò a sua volta la distruzione di Prima linea ».
Trent’anni dopo,le nuove generazioni non distinguono più le sigle che riempirono di morte le strade del Paese, ma Prima linea, nata da una costola di Lotta continua fra Milano e Sesto San Giovanni, si macchiò di omicidi atroci, come quelli del giudice Emilio Alessandrini, avvenuto a Milano il 29 gennaio 1979, e del dirigente Fiat Carlo Ghiglieno, abbattuto a Torino il 21 settembre 1979.
Sandalo, di origini astigiane, faceva parte proprio del gruppo di fuoco torinese, responsabile di un’interminabile serie di massacri e azioni di guerra: la più spettacolare l’occupazione per 45 minuti della Scuola di Formazione aziendale, conclusa con la gambizzazione di ben 10 persone, cinque professori e altrettanti studenti, feriti con due colpi a testa.
La cattura di Sandalo è un colpo mortale per l’organizzazione che, a differenza delle Br, non aveva un capo riconosciuto, come Mario Moretti o prima di lui Renato Curcio, ma leader sul campo. Figure carismatiche come Sergio Segio o Maurice Bignami che firmano in coppia un’altra terribile impresa: l’eliminazione,dentro l’Università statale di Milano, del giudice Guido Galli. Non solo: le rivelazioni di Sandalo provocano un terremoto nel governo e si arriva ad un passo dall’incriminazione del premier Francesco Cossiga.
Sandalo infatti ha fatto anche il nome di Marco Donat Cattin, rampollo del ministro del lavoro Carlo, dc di lungo corso, e Cossiga informa in tempo reale Donat Cattin perchè metta in guardia il figlio.
La magistratura torinese spedisce le carte del caso al parlamento ma la richiesta di mettere in stato d’accusa Cossiga viene respinta. Quella vicenda segna comunque il declino politico di Donat Cattin. Prima linea scompare dai radar della cronaca: capi e gregari finiscono in cella, in una serie di successive operazioni gestite dalla polizia che recupera così sui carabinieri. È stato infatti il generale dell’Arma Carlo Alberto Dalla Chiesa a gestire Peci e la disarticolazione delle Brigate rosse.
Sandalo, che ha personalmente ucciso il vigile urbano Bartolomeo Mana, freddato il 13 luglio 1979 nel corso di una rapina alla Cassa di risparmio di Druento (Torino), esce in fretta: nel 1982 è già fuori. Lo chiamavano, ai tempi della militanza terroristica, Roby il pazzo, e anche nella vita successiva la routine non fa per lui. Si sposta progressivamente su posizioni islamofobe e razziste, si proclama alla sua maniera difensore della civiltà cristiana e occidentale. Risultato: nel 2008 è di nuovo in prima pagina. Lo arrestano per aver piazzato alcune bombe contro centri culturali islamici e moschee. Torna in cella protestando per la presunta sproporzione fra gli attentati compiuti - «le mie bombe erano petardi o poco più» - e la pena subita, 9 anni, e manifesta sempre il rimorso per la morte del vigile: «Non avrei dovuto sparare quel colpo, non avrei dovuto..».
Sandalo è sempre un vulcano: concede interviste incendiarie, rievoca gli anni di piombo mettendo in fila gli uomini e le imprese dei guerriglieri. Invece il suo tempo è scaduto: del resto a soli 57 anni aveva vissuto, a modo suo da protagonista, stagioni lontane e fra loro slegate.
Un peso eccessivo per una persona sola.