Daniele Martini, Il Fatto Quotidiano 10/1/2014, 10 gennaio 2014
FAVORI E POLITICA: IL “SUPREMO” CHE FACEVA INCHINARE DESTRA E SINISTRA
Si è sempre considerato un paesano benefattore di Roma, l’ottantottenne Manlio Cerroni da Pisoniano, comune a 500 metri d’altezza con meno di mille abitanti a una cinquantina di chilometri dalla Capitale. A chi gli rimproverava di aver accumulato una fortuna immensa sulle disgrazie di una metropoli sventata, incapace di un minimo di programmazione per i rifiuti, replicava che senza di lui la Città eterna sarebbe già affogata da un pezzo nella merda. E qualche ragione ce l’aveva. Se non altro perché dell’affare monnezza è un intenditore. Partito nel dopoguerra con una bici Wolsit e un carrettino su cui sbatteva gli scarti dei mercati e degli ortolani che poi rivendeva alle porcilaie, aveva intuito prima di tutti che il pattume era un tesoro e ne aveva approfittato diventandone il Re con il suo gruppo Colari, decine e decine di società, miliardi di euro di fatturato e impianti in Australia, Brasile, Norvegia, Giappone, Canada, Francia. E in Italia a Milano, Brescia, Perugia, Viterbo, Foligno, Cassino. Ora che il Tribunale di Roma l’ha messo ai domiciliari indicandolo come “Il Supremo”, il deus ex machina di un sistema ritenuto truffaldino, la domanda è: Cerroni con la sua discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa, 260 ettari di rifiuti tra la periferia nord-ovest e il mare di Fregene, ha tolto per decenni a buon prezzo le castagne dal fuoco alla politica romana incapace di guardare in faccia la grana dell’immondizia? Oppure ha brigato perché non si trovasse una soluzione o almeno l’ha rallentata corrompendo qua e là? Forse sono in parte vere entrambe le cose. Ma se Cerroni è colpevole, la politica è incapace e probabilmente pure smazzettata lo è più di lui. Forse non è un caso che l’abbiano beccato proprio ora che Malagrotta è chiusa e gli attuali amministratori stanno faticosamente cercando un rimedio. La discarica è stata sbarrata per decisione dello stesso Cerroni in autunno, ma da allora il gigantesco affaraccio della monnezza romana è tutt’altro che risolto, anzi, rischia di esplodere.
UNA BELLA PARTE dei rifiuti viene spedita in Piemonte, Emilia, Abruzzo, durerà 18 mesi e costa un occhio della testa: 120 euro a tonnellata, esattamente il doppio del prezzo pagato finora a Cerroni. E poi? L’azienda comunale dei rifiuti, l’Ama, che da ieri ha finalmente un nuovo vertice, riesce a raccogliere la spazzatura più o meno bene più o meno diligentemente, ma non la tratta. E in tutti questi decenni né un sindaco né un presidente di Regione sono stati capaci di approntare un piano alternativo a Malagrotta. Le rarissime volte che ha accettato di parlare con qualche giornalista negli uffici della bella villa tra i pini di viale Poggio Fiorito all’Eur, in faccia a quella dell’ex sindaco Francesco Rutelli, Cerroni, l’eterno cappelletto a falde spioventi in testa, ha fatto capire di non poter fare a meno dei politici, tutti i politici, da quelli di destra a quelli di sinistra, senza amarli, però. “Sapeste quanti manifesti ho pagato ai democristiani, ai comunisti, ai missini, fino a quelli di oggi...” buttava lì, quasi soprappensiero con quei pochissimi di cui si fidava. L’unico con cui aveva stretto un rapporto di amicizia vera era Mario Di Carlo, ex presidente dell’Ama, poi assessore Pd alla Regione Lazio, morto nel 2011. In gioventù anche lui, Cerroni, aveva fatto politica, sindaco democristiano di Pisoniano per tre legislature con una forte predilezione per la corrente andreottiana. Fu proprio con quelle credenziali che entrò in relazione con Amerigo Petrucci, l’andreottiano sindaco romano storico di metà degli anni Sessanta. Fu lui a spalancargli le porte della Capitale. E fu un altro democristiano, Giuseppe Togni, ministro dei Lavori pubblici, che a Malagrotta aveva fatto scavare ghiaia per costruire le piste di Fiumicino, a consigliare a Cerroni di comprare quella terra perché lì sotto c’era uno strato di argilla di almeno 100 metri. L’ideale per una discarica. Cerroni comprò e si incoronò Ottavo Re di Roma.