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 2014  gennaio 10 Venerdì calendario

ITALIA, IL PAESE DEI GENI


LA RICERCA
Cosa hanno in Comune gli abitanti di Benetutti in Sardegna e quelli di Sappada in Veneto? Quasi niente, a occhio e croce. E in effetti, quello che li accomuna è proprio la diversità. Sono geneticamente più lontani tra loro, di quanto non lo siano popolazioni di luoghi molto più distanti d’Europa, come per esempio portoghesi e ungheresi. L’Italia, ha avuto nei secoli un primato che ancora conserva: ospita popolazioni, minoranze, piccoli gruppi, che sono come mondi lontanissimi tra loro. Per raggiungerli non serve un’astronave, ma può essere altrettanto difficile incontrarli e conoscerli: non solo hanno un patrimonio genetico unico, ma spesso hanno conservato cultura, tradizioni e, cosa più vistosa, una lingua diversa.
Se serviva una prova che migrazioni di gente diverse e accoglienza fanno parte della nostra storia, antica e recente, ce la dà lo studio svolto da un gruppo di 34 ricercatori, provenienti da quattro università (La Sapienza, Bologna, Pisa e Cagliari) e coordinato da un biologo-antropologo, Giovanni Destro Bisol. Sotto osservazione per 7 anni differenze genetiche e caratteristiche culturali, che si sono conservate perché questi gruppi hanno condotto per secoli una vita isolata. Quindi, non i cittadini di lingua tedesca dell’Alto Adige, di cui conosciamo bene le origini e che non si possono definire una comunità chiusa, ma, appunto, i germanofoni di Sappada in Veneto, un analogo gruppo in Cadore, i più celebri albanesi (60 mila persone) distribuiti in varie comunità tra Calabria e in Sicilia, i 400 abitanti di Sauris in Friuli: in tutto quasi il 5% della popolazione italiana. Un gruppo consistente, nel quale la maggioranza è composta da sardi e friulani, ma dove anche la piccola comunità di poche decine di persone ha il valore di una ”nazione”. Comunità tutelate dalla Costituzione Italiana che li riconosce, li protegge e li sovvenziona.

IL RATTO DELLE TUNISINE
«Per ognuno di questi gruppi noi abbiamo svolto un lungo lavoro di approfondimento - spiega Destro Bisol - Ci interessava studiare il materiale genetico ma anche approfondire gli aspetti sociali. Non è stato sempre facile». Infatti c’è chi ha collaborato con entusiasmo, prestandosi non solo ai prelievi per gli studi del Dna, ma accettando anche incontri e colloqui. E c’è chi invece ha preferito mantenere un aureo isolamento: per diffidenza, forse. O magari per il timore che lo studio potesse svelare chissà quale ”segreto” o magari far crollare una leggenda.
Quando si sono formate queste enclaves, che hanno mantenuto la propria diversità e la propria identità rispetto al mondo circostante? Tra il Medioevo e i secoli successivi. Gli Albanesi, ”Arbareshe”, per esempio, sono arrivati scappando dall’impero Ottomano che tra il 400 e il 500 occupò i Balcani. La cosa più sorprendente poi, è che gli studi genetici hanno anche rivelato differenze tra gli albanesi di Calabria e quelli di Sicilia, con questi ultimi che si sono mescolati di più con il resto della popolazione. In Sardegna invece si potrebbe fantasticare a lungo sugli abitanti di Carloforte e quelli di Benetutti. Questi ultimi sono rimasti più isolati di tutti e, anche geneticamente, dimostrano di aver tenuto a distanza gli estranei per secoli. Gli abitanti di Carloforte invece, sembrano essere il risultato di un incontro fatale (una specie di ratto delle Sabine?) tra maschi locali e donne tunisine.

I SOLDATI IN FUGA
La storia delle comunità delle Alpi orientali, invece, parte certamente dai tempi dell’impero romano, quando furono costretti a ”latinizzarsi” (6000 persone in Val di Fassa fanno parte DI sette comuni dove si parla Ladino) e successivamente subirono scorrerie di popolazioni germaniche. La leggenda di Sauris dice il paese fu fondato da due soldati di lingua tedesca in fuga da chissà che cosa nel 1200, e certamente la realtà non deve essere troppo diversa. Quello che è certo è che sono rimasti una comunità relativamente isolata fino a tempi molto recenti.
Il momento di svolta per tutti è stato l’inizio del Novecento, quando c’è stata la «rottura degli isolati», come la definisce Bisol: il mondo ha cominciato a fare irruzione nella vita della maggior parte di queste comunità. Tuttavia la maggior parte di esse sono sopravvissute: «Sono persone molto consapevoli della propria identità», sottolinea l’antropologo, il quale spera che parlarne risvegli una nuova consapevolezza anche nel resto degli italiani. In tempi in cui ci sembra di essere improvvisamente venuti a contatto con migranti e popoli apparentemente tanto diversi dagli abitanti dell’Italia, così come ce li eravamo rappresentati per un po’, anche la conoscenza di questi italiani-stranieri, potrebbe aiutare la reciproca comprensione. In fondo, i più diversi di tutti, ora lo sappiamo, siamo noi italiani.
Angela Padrone