Massimo Vincenzi, la Repubblica 10/1/2014, 10 gennaio 2014
CHIUSE UN PONTE PER VENDETTA BUFERA SUL GOVERNATORE CHRISTIE
Chris Christie, il governatore “bullo” del New Jersey, il gigante che ignora le buone maniere e abbatte i guai a manate, finisce incastrato nell’ingorgo del ponte e rischia di veder finire prima ancora di iniziare la sua corsa verso la Casa Bianca. L’accusa è letale: aver fatto chiudere il Washington Bridge, George come lo chiamano affettuosamente qui, che collega il suo Stato a Manhattan per una vendetta politica contro il sindaco di Fort Lee, la cittadina da dove passa il traffico per New York.
Quando appare in conferenza stampa l’astro nascente dei Repubblicani, che piace anche a Obama, è smarrito, prova a farsi piccolo piccolo. Lui, abituato a condurre gli incontri con i giornalisti a suon di “fuck”, ripete “grazie” e “prego” decine di volte. Invece che la consueta camicia stropicciata con le maniche tirate su sino ai gomiti indossa una giacca blu istituzionale con tanto di cravatta, che odia. Prima del suo intervento, i commentatori si chiedono se reagirà come Nixon dimettendosi o come Clinton mentendo. Sceglie la terza via, quella del compromesso: chiede scusa e licenzia la sua collaboratrice coinvolta nello scandalo. «Sono imbarazzato e umiliato per quello che ho saputo. Non c’è alcuna giustificazione che possa spiegare il comportamento di qualche membro del mio staff: non dormo da due notti, ho il cuore spezzato per essere stato tradito da chi mi è stata vicino negli ultimi anni». La “traditrice”, o il capro espiatorio, si chiama Bridge Anne Kelly, è lei a dare il via alla valanga che travolge il governatore. A metà agosto scrive una email al capo della Port Authority David Wildstein, compagno di liceo e grande sostenitore di Chris, il cui contenuto non ha bisogno di essere decriptato: «È tempo di creare un po’ di traffico a Fort Lee». L’amico risponde: «Fatto». Il nemico da punire è Mark Sokolich, il sindaco democratico che in novembre respinge il corteggiamento e rifiuta l’endorsement nella rielezione di Christie. Un mese dopo, il 9 settembre, arriva la decisione di chiudere alcune corsie del Washington Bridge senza alcun preavviso: «Stiamo provando nuove soluzioni di viabilità» è la versione ufficiale. Nella città che sta ai piedi del ponte si crea l’inferno, migliaia di macchine passano da lì ogni giorno, per l’esercito dei pendolari che vanno dal New Jersey a Manhattan è un incubo, vigili del fuoco, polizia e ambulanze bloccate, con una donna che muore per un infarto, tanto che i vertici della Port Authority saranno costretti a dare le dimissioni a dicembre. E il Dipartimento di Giustizia adesso apre un’inchiesta federale.
A inguaiare Christie arrivano le email contenute nel dossier consegnato ai giudici da Wildstein dove appare evidente la ritorsione politica. È un colpo duro da sopportare: si spegne l’entusiasmo degli ultimi sondaggi che lo davano a due punti di vantaggio sulla Clinton in un’ipotetica sfida nel 2016 e soprattutto lo indicavano come il preferito degli indipendenti e degli indecisi, quelli in grado di determinare il risultato elettorale. A piacere è il suo stile diretto, ai confini del maleducato: «Non mi interessa essere gentile ma governare bene». E per il suo New Jersey flagellato da Sandy non esita a diventare alleato e sostenitore di Obama, attirandosi le critiche di molti repubblicani: «Urlino pure, prima viene la mia gente», ripete. E alla fine una larga parte del partito gli spalanca le porte. Arrivano consensi soprattutto nell’ala delle colombe che vuole contrastare il Tea Party. Ma ora proprio questa narrazione, che lui stesso ha alimentato, rischia di azzopparlo. Dice in conferenza stampa: «Sono stupito del tono delle email» e subito sul sito del New York Times appaiono decine di commenti: «Stupito? Ma se è il tuo modo di fare». Parla per quasi due ore provando a rintuzzare gli attacchi: «Chiedo scusa a tutti, a Fort Lee e al suo sindaco: andrò presto da loro e mi scuserò di persona. Non sono in alcun modo coinvolto nello scandalo, che è un’eccezione e non la regola della mia amministrazione. Ho sempre cercato di governare per il bene collettivo, non di una sola parte». Poi deve ammettere: «Ero all’oscuro di tutto, ho parlato per ore con il mio staff e prometto che farò chiarezza ma la colpa è mia, non ho capito cosa stava accadendo. Non sono un bullo, sono solo un politico che non segue i sondaggi, ci ho messo 12 anni a costruirmi una reputazione onesta ».
Ora Christie sulla sua voglia presidenziale si limita a dire: «Io faccio il governatore, penso solo a questo». Ma i giornali del New Jersey titolano: «Una bomba ammacca la candidatura per la Casa Bianca», la maggioranza degli analisti boccia la sua difesa: non è ancora scritta la parola fine ma i titoli di coda stanno già scorrendo. E Hillary Clinton tira un sospiro di sollievo.