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 2014  gennaio 10 Venerdì calendario

GRAZIANO DELRIO


Magro nel fisico, elegante nell’eloquio, una laurea in Medicina con specializzazione in Endocrinologia, sposato e con nove figli (esatto, non è un refuso: nove figli), già sindaco di Reggio Emilia (un seguace del monaco democristiano Giuseppe Dossetti nell’ex città più rossa d’Italia), Graziano Deirio – detto Cido dagli amici – a 53 anni è il ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie con delega allo Sport.
Ministro, cominciamo da Matteo Renzi, visto che lei fu anche tra i primi a salire sul palco della Leopolda. Che stagione politica si è aperta con l’elezione del nuovo segretario del Pd?
In questo Paese che soffre, sale chiara la richiesta alla politica di fare, e di fare presto. Nessuno ha più alibi. Matteo Renzi, un sindaco di 38 anni, si ritrova a guidare il Pd, il più grande partito italiano, con Berlusconi decaduto e un governo di servizio con una maggioranza diversa da prima, politicamente meno complessa. Ecco, da come lo conosco, Renzi non sprecherà un minuto senza sostenerci e senza spronarci. Nei suoi primi passi l’ho visto entusiasta con una segreteria giovane, concreto e pacato con i parlamentari, rispettoso con le istituzioni. Per me è partito con il piede giusto.
Non pochi osservatori temono che, prima o poi. Renzi possa mettere a rischio la tenuta del governo.
Esiste l’ipotesi che governo e parlamento vengano mandati a casa dagli elettori se non riuscissero a mantenere la parola data su riforme e crisi economica. Ma dando credito agli impegni assunti credo che la prossima estate saremo ancora qui a lavorare.
Riforme a parte, qual è l’obiettivo prioritario dell’azione del governo nei prossimi mesi?
Da tempo dicevo che avremmo avuto un autunno e un inverno complicato. Abbiamo stabilizzato il quadro di finanza pubblica, raggiunto gli obiettivi fissati dall’Europa e aggiunto segnali nuovi come l’allentamento del patto di stabilità, frenato i tagli ai servizi e alla salute, avviato sia il pagamento dei debiti da parte della pubblica amministrazione, sia un iniziale investimento in settori strategici come cultura, ricerca e università. Poi, sì, è vero che il Pil nel 2014 avrà un piccolo segno positivo ma senza determinate aumento di occupazione. La priorità è perciò scrivere una chiara agenda per il lavoro, che offra occupazione, pensando soprattutto ai giovani.
Abolizione delle province: il premier parla di un disegno di legge costituzionale, lei sta lavorando a uno ordinario in cui le province sopravvivono. Verso quale soluzione stiamo andando?
Il disegno di legge è parallelo all’abolizione costituzionale, e fa il grosso del lavoro perché cancella subito, con l’entrata in vigore, il personale elettivo, circa cinque mila persone tra presidenti, giunte, consigli provinciali e loro staff; e riassegna molti compiti delle province a comuni e regioni rendendo l’ente più leggero. Finché non c’è l’abolizione costituzionale, le province restano guidate solo da politici già eletti, che agiscono a titolo gratuito e si occupano di poche cose: pianificare la rete scolastica e dei trasporti, costruire le strade. L’ente non si occuperà più di cultura, sport, tempo libero e così via, cioè di compiti già assegnati ad altri. La duplicazione delle funzioni, il fatto che tutti si occupino degli stessi settori, è una delle cause del cattivo federalismo italiano. Il giorno in cui la parola province verrà cancellata dalla Costituzione, anche queste funzioni verranno regolate dalle regioni. Se il ddl, invece, non andasse in porto, nel 2014 ci troveremo a eleggere almeno 56 amministrazioni provinciali che vanno al rinnovo, e allora l’abolizione sarà molto più complicata e continueranno le duplicazioni.
La Corte dei Conti ha obiettato che i risparmi sono poco quantificabili...
Il risparmio certo e immediato è di circa 160 milioni di euro. Dal riordino delle funzioni di amministrazione e controllo diversi studi ipotizzano almeno un miliardo d’euro di risparmi. La stessa Corte, lo scorso aprile, parlò di 750 milioni. Altri risparmi si avranno poi dalla ristrutturazione degli enti regionali: elimineremo quelli impropri, altri tre mila verranno messi sotto la lente. Il maggior vantaggio di questa riforma sta però nella creazione delle città metropolitane, che possono essere un motore per la crescita e la rinascita del Paese. Una riforma attesa dal 1990. Per dieci province (Milano, Roma capitale. Napoli, Torino e così via) i sindaci si riuniscono con il sindaco del capoluogo, sempre a titolo gratuito, per mettere a punto le scelte economiche, strategiche, infrastrutturali e con la possibilità di accedere ai fondi europei 2014 per le aree urbane. Con il ddl, la città metropolitana sarà un ente rafforzato per competere con le grandi città europee, come Marsiglia, Barcellona, Francoforte.
C’è sempre l’idea di fondere i piccoli comuni?
Certo, è il terzo pilastro della riforma. In Italia, il 75 per cento dei circa otto mila comuni hanno meno di cinque mila abitanti, e la maggior parte (ben quattro mila) vanno addirittura al di sotto dei 2.500... Si tratta di un prezioso presidio del territorio, però noi dobbiamo tenere conto che i sindaci, ormai, sono in grave difficoltà e quasi non riescono più a rispondere alle richieste di servizi da parte delle cittadinanze.
Regioni, il pozzo nero degli sprechi italiani: con il ministro Beatrice Lorenzin lei ha finalmente sbloccato il meccanismo per la definizione dei costi standard per la sanità. Cos’altro contate di fare?
Il premier ha prefigurato la riforma del Titolo V della Costituzione. Intanto, con le regioni stiamo lavorando su molti temi: scuola, trasporti, servizi pubblici e, appunto, salute. Occorre distinguere però. Vi sono sprechi nei costi della politica, che meritano sdegno e inchieste della magistratura, ma ci sono anche gli investimenti per la salute dei cittadini. Almeno cinque o sei regioni italiane vantano un sistema sanitario pubblico di qualità e di livello europeo. La sfida è che tutte le regioni si allineino come costi e livello dei servizi alle migliori. E lo stesso dovrà accadere nei trasporti e in altri settori. Lei ha anche la delega allo Sport e questo significa doversi interessare della legge per la costruzione di nuovi stadi e anche di violenza a razzismo. Per me lo sport è un’infrastruttura culturale. Stadi e palazzetti debbono essere utili a questo. Purtroppo, il nostro «parco impianti» è ormai obsoleto e il sistema pubblico non ha risorse per rigenerarlo. Quindi occorre mettere i privati nelle condizioni di intervenire. Quanto ai fenomeni di violenza, è ormai chiaro ,. che nelle tifoserie ci sono persone che non hanno più nulla a che vedere con lo sport e di cui si può fare a meno. L’ultima domanda riguarda la sua vita privata. Lei ha nove figli e mi chiedo cosa... Cosa pensano di me? Oh beh, sono sicuramente i miei fan più convinti e i miei giudici più severi.