Tim Small, GQ Dicembre 2013, 10 gennaio 2014
LA FORTUNA DI EIKE BATISTA
Tim Small
Eike Batista, l’anno scorso, era classificato al settimo posto nella lista degli uomini più ricchi del mondo di Forbes, il valore dei suoi asset societari e personali calcolato in 34,5 miliardi di dollari. Aveva una Mercedes-Benz SLR McLaren in salotto, di fianco a una Lamborghini. Aveva fatto piangere Madonna donando ben 7 milioni di dollari alla sua fondazione, aveva comprato una maglia di Ronaldo per 550 mila dollari a un’asta di beneficenza.
Era sposato con una delle regine del carnevale di Rio. Voleva comprarsi lo stadio Maracanà e partecipare ai preparativi per l’Olimpiadi del 2016. Era un eroe nazionale. Amato sia da Lula che dalle banche, sia dal popolo che dall’establishment. I grandi fondi di investimenti internazionali, come BlackRock e Pimco, e le grandi compagnie minerarie, come la Anglo American, facevano a gara per lavorare con lui. Aveva più di due milioni di follower su Twitter. Aveva dichiarato a Bloomberg News che sarebbe diventato «l’uomo più ricco del mondo entro l’anno» e che rappresentava «il nuovo sogno brasiliano»: successo, denaro, sfrontatezza, egoismo.
Era la personificazione del capitalismo: volgare, aggressivo, schifosamente ricco. Il suo gruppo, Ebx, si occupava principalmente di infrastrutture, energia, attività minerarie, commercio marittimo e, in una scelta che dice molto del tipo di persona di cui stiamo parlando, la “X” che stava nel nome di ogni sua compagnia (per esempio: Ebx, la holding principale, sta per Eike Batista X, ma contiene anche la divisione gas e petrolio Ogx, la divisione entertainment Idx, e così via) rappresentava la moltiplicazione dei profitti. La X stava per la “crescita esponenziale di ricchezza”, secondo Eike.
La Ebx rubava executive e manager a grandi gruppi come la Petrobras, offrendo loro stipendi assurdi e ottime stock-option. Era un gigante nascente, un capitalista/magnate vecchia maniera che centralizzava tutta l’attenzione degli investitori sulla sua figura, trasmettendo forza, successo ed efficienza.
Poi, verso la fine dell’estate, alcune cose hanno iniziato a scricchiolare. Oggi, di tutte le attività di Ebx, di tutte quelle X, di tutte quelle McLaren in salotto, di tutti quei 34,5 miliardi di dollari di valutazione, non è rimasto quasi niente. I suoi giacimenti di petrolio off-shore, definiti da lui stesso come un investimento «a prova di idiota», l’asset centrale della sua holding, quello più vecchio e quello da cui è partito tutto... Be’, si sono rivelati molto più miseri di quello che si pensasse.
Dopo mesi di lavoro continuavano a produrre solo 17 mila barili al giorno, meno di un terzo di quanto avrebbero dovuto produrre.
Ma, più importante, si trattava di meno di un terzo di quanto Eike Batista avesse promesso ai suoi partner internazionali. E quindi gli investitori —malesi, americani, arabi hanno iniziato a chiedersi: un terzo di quanto promesso? E questo il suo investimento «a prova di idiota»? E se fosse tutto così? Non è che questo cialtrone ci ha presi tutti in giro con le sue presentazioni in PowerPoint e i suoi elicotteri privati e i suoi figli chiamati Olin e Thor? E come sono arrivati, sono spariti. Puff. Via. In appena due mesi. Alla fine di ottobre la Ebx ha dichiarato bancarotta.
Oggi Eike Batista vale poche centinaia di milioni. Ha 33 miliardi di dollari in meno di un anno fa. Che suona incredibile se vogliamo, ma in realtà non lo è, se ci rendiamo conto che quegli X miliardi di dollari di patrimonio non erano soldi veri. Erano le solite proiezioni e illusioni che stanno alla base del capitalismo finanziario di oggi, le stesse proiezioni che hanno permesso a Enron di fare quello che ha fatto e a Parmalat e Cirio di farlo ancor prima degli americani: soldi invisibili, soldi inesistenti, soldi potenziali, soldi futuri. La X che moltiplica i profitti, investi 300 milioni e io tè ne tiro fuori 4 miliardi dalla terra e 6 miliardi amalgamando dei mutui. I sogni del capitalismo da Far West, i soldi facili e i profitti «a prova di idiota», le pozioni miracolose vendute ai contadini.
Ora lo sappiamo. La X di Batista è il simbolo dei dieci anni di crescita che hanno portato il Brasile tra le nuove potenze economiche. Un decennio che è finito un anno fa, quando nel Paese l’inflazione è salita al 6%, la crescita è scesa al 3%, e l’indice di Borsa locale, l’Ibovespa, ha perso il 27% rispetto all’anno scorso, diventando la piazza d’affari con la seconda peggior performance al mondo nel 2013. Un decennio che è finito con Eike Batista, simbolo del nuovo capitalismo sudamericano, in bancarotta, con pochi miseri milioni di dollari con cui pianificare una pensione anticipata. Poverino.