Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  gennaio 09 Giovedì calendario

L’INFANTA? È LA CRISI DEL MODELLO JUAN CARLOS


BARCELLONA Per la seconda volta, l’infanta Cristina de Borbón, figlia del re e settima nella linea di successione alla corona di Spagna, è stata accusata di frode fiscale e riciclaggio nell’ambito dello scandalo Noos, che coinvolge suo marito Inaki Urdangarin. Da qui nasce la riflessione sulle conseguenze per i reali di Spagna e più in generale sulla democrazia nel Paese iberico. Ne parliamo con Francesc Morata Tierra, professore ordinario di Scienze Politiche alla Università Autònoma de Barcelona.
Che ne pensa come cittadino spagnolo e che conseguenze ne coglie come studioso di sistemi istituzionali?
«Penso che sia un momento importante soprattutto per la giustizia, perché dimostra che, malgrado tutte le pressioni contrarie, questo giudice è stato in grado di imputare una persona che apparentemente godeva di una certa protezione, dal momento che il procuratore, che in Spagna dipende dal ministro della Giustizia, aveva fatto di tutto per impedire questo esito. Per il momento, lei dovrà solo rispondere di ipotetici reati. Ma questo costituisce un fatto molto importante per l’opinione pubblica».
Secondo lei, si può parlare di crisi di consenso, in Spagna, nei confronti dell’istituzione monarchica?
«Sì, e lo confermano anche gli ultimi sondaggi. C’è stato un calo clamoroso di consenso nei confronti dell’istituzione monarchica che, fino a poco tempo fa, resisteva sempre al di là del bene e del male, perché questo monarca veniva visto come una persona simpatica, che non aveva creato problemi particolari. Questo processo di deterioramento è iniziato qualche tempo fa con quel famoso episodio della sua scappatella in Africa... Ma i problemi sono legati soprattutto alla sua famiglia, a sua figlia e a questo Undargarin e ai suoi affari con la politica».
In Europa ci sono monarchie che non vengono messe in discussione in quanto tali: perché in Spagna è diverso?
«Perché in Spagna la monarchia non gode di una vera legittimità democratica. La monarchia è stata imposta nel momento della “Transizione politica”, ma è uno degli elementi di continuità del franchismo. Se abbiamo un re è perché Franco lo aveva già voluto prima e, in quel momento, il re era quello che garantiva che i militari avrebbero accettato il passaggio alla democrazia. Lo stesso re Juan Carlos si presentava come il sostenitore del nuovo regime democratico e perciò si è guadagnato una legittimità legata al processo politico, ma non vi è stato un pronunciamento degli spagnoli su monarchia o repubblica, come è accaduto in Italia».
L’abdicazione del re Juan Carlos in favore del principe Felipe basterebbe a restituire credibilità alla monarchia?
«Potrebbe senz’altro migliorare la situazione, ma il sovrano non sembra intenzionato ad abdicare in favore del figlio».
Quanto il dibattito sulla corona, in Spagna, ha a che vedere con l’esaurirsi della fase della Transizione democratica?
«C’è stato un momento, quello del tentativo di colpo di Stato di Tejero del 1981 in cui il re Juan Carlos, pur non avendo reagito immediatamente, poi ha difeso le istituzioni democratiche. È questo che probabilmente gli ha dato più legittimità. La “Transizione democratica” è finita da un bel po’. Quello che si manifesta oggi è la fine di un modello democratico e, soprattutto, la fine di un sistema di potere. Le istituzioni e la stessa corona non sono state in grado di dare risposte soddisfacenti alla crisi. E poi la monarchia è sempre rimasta poco trasparente nel suo finanziamento. Siamo ad un momento di crisi non solo democratica, ma anche dell’istituzione monarchica».
In Spagna ultimamente si discute molto di modello dello Stato: i socialisti parlano di riforma della Costituzione in senso federale, in Catalogna la maggioranza della popolazione vuole decidere del suo rapporto con lo Stato spagnolo. È una risposta alla crisi del sistema di rappresentanza?
«Per la Catalogna è una risposta soprattutto alla crisi di un modello di Stato, non solo di rappresentanza, che non è stato in grado d’integrare e di gestire le sue diversità. È evidente che c’è un contrasto-molto forte tra quello che la maggioranza della popolazione catalana pensa in questo momento e il funzionamento generale delle istituzioni, dello Stato spagnolo. Se non si ha la percezione che ci siano risposte adeguate alle aspettative, si genera sempre più sfiducia, aprendo probabilmente anche a quelle aspettative che potrebbero concretizzarsi nella dichiarazione d’indipendenza, con la separazione della Catalogna dalla Spagna. E questo è il problema più grande che deve affrontare lo Stato spagnolo in questo momento».
Che differenza vede tra lo scandalo Urdangarin, dove sarebbe almeno in parte coinvolta la corona e quello dell’ex-tesoriere del Partido Popular, Luis Bàrcenas, con la sua presunta doppia contabilità all’interno del partito che vedrebbe implicato, anche il premier Rajoy?
«Penso che si tratti dello stesso processo. Urdangarin, che non è ancora processato, sembra si sia approfittato della sua posizione e di quella di sua moglie per organizzare una rete di affari con governi corrotti, saccheggiando le finanze di alcune Regioni, come Valencia, organizzando un sistema fatto di corruzione e impunità. L’altro caso, quello di Bàrcenas riguarda il finanziamento dei partiti in Spagna. L’ex tesoriere era legato al settore dell’edilizia e per quello che si sa, all’esistenza di una contabilità nera per il finanziamento del partito popolare, con risorse provenienti da imprese che pagavano tangenti, coinvolge il partito al potere, il presidente del governo e quindi la maggioranza politica del paese e questo porta ad una crisi di fiducia che coinvolge l’intero paese. Sono due aspetti di uno stesso problema, alimentato dalla mancanza di controlli democratici nel finanziamento non solo del partito, ma anche di alcuni suoi dirigenti di rilievo».