Andrea Carugati, L’Unità 9/01/2014, 9 gennaio 2014
RESA DEI CONTI A 5 STELLE. SE NE VA IL «FEDE» DI GRILLO
Improvvise come un fulmine a del sereno, sulla truppa dei Cinquestelle ieri sono piovute anche le dimissioni della voce della Cosa, la web tv stile Vremya che dall’inizio del 2013 ha cantato le magnifiche sorti della parabola grillina. Matteo Ponzano, l’Emilio Fede di Grillo, il buttadentro che dai palchi della manifestazioni galvanizzava i militanti, citando gli striscioni uno per uno da Cantù a Caltanissetta, ha detto basta. «Ho rinunciato a parte della mia carriera artistica per costruire un canale innovativo come “La Cosa” fatto dalla gente per la gente, un modo per fare “contro-informazione” dal basso», ha scritto ieri in una lettera pubblicata su Facebook da Nik il Nero (uno dei comunicatori del Senato). «Pian piano però, per restare sostenibile economicamente, si è trasformato in qualcosa d’altro. E non mi sembrava più giusto restarci senza condividerle».
Ponzano non spiega nel dettaglio il perché della sua scelta, ma sembra riferirsi all’introduzione della pubblicità nelle dirette streaming. Troppo per un duro e puro come lui che sogna la decrescita. Un’altra piccola tegola che si abbatte su un movimento già lacerato da mille tensioni, reduce da una debacle politica e comunicativa come il fallimento della lista per le regionali in Sardegna. Una decisione di Grillo, quella di non concedere il simbolo, che è arrivata dopo mesi tensioni e divisioni tra i gruppi locali. Del resto, anche il nuovo simbolo con cinque asterischi («Nuovo movimento Sardegna»), presentato da un gruppo di grillini delusi, è stato ricusato dalla corte d’Appello di Cagliari. Una ferita, quella sarda, che continua a sanguinare. «Per me il Movimento 5 stelle è morto», ha scritto il deputato Nicola Bianchi in una chat con alcuni colleghi, una delle tante in cui in questi giorni si sta sfogando il malessere dei Cinquestelle. «Game over», aveva scritto pochi giorni fa. Al di là delle divisioni, infatti, nella debacle ha pesato la disorganizzazione: non sono state organizzate per tempo le “regionarie” per scegliere i candidati, sono mancate regole certe per dirimere controversie che possono nascere in qualsiasi forza politica alla vigilia di un appuntamento elettorale. Questa volta, l’accusa a Grillo e Casaleggio è di non essere intervenuti per tempo con dei criteri precisi, e di aver lasciato incancrenire la situazione. Forse col retropensiero di evitare la competizione, nel timore di un nuovo flop come quello recente in Basilicata (8,9%). E pensare che nello scorso febbraio il MS5 era risultato il primo partito in Sardegna. Non ci sono le crepe locali a creare problemi ai grillini. La sfida di Renzi sulla legge elettorale ha scatenato il caos: da un alto c’è Grillo che punta sul ritorno al Mattarellum, giudica questa Parlamento «abusivo», pensa di invitare i suoi alle dimissioni di massa e si vuole tenere alla larga da qualsiasi discussione sulla nuova legge. Dall’altro ci sono svariati parlamentari che invece vorrebbero almeno discutere, sulla base del Mattarellum o anche del sistema spagnolo, non condividono l’idea che le Camere siano illegittime e vedono evaporare questa stagione «in una serie di continui no a tutto che ci condannano all’irrilevanza». Nel mezzo Casaleggio, per una volta pompiere, scettico sulle dimissioni di massa. Tra i cosiddetti dialoganti sembra prevalere lo scoramento. Oggi però, a sorpresa, uno di loro, il medico e senatore fiorentino Maurizio Romani, potrebbe invertire la rotta: è infatti in ballottaggio per la carica di capogruppo in Senato con Maurizio Santangelo. Una sua elezione rappresenterebbe una svolta. E potrebbe galvanizzare i dissidenti, allontanando lo spettro di una scissione.
A questo si sommano le intemperanza di Alessandro Di Battista, che su Facebook profetizza l’abbandono di alcuni parlamentari «nei prossimi mesi». «Lo faranno per soldi», taglia corto. «Non sono parole buttate lì per un bicchiere di troppo», replica Francesco Campanella. «Siamo diventati preda della cultura del sospetto e del timore delle infiltrazioni. Moltissime volte mi hanno-accusato di essere filo Pd, di voler rovinare il M5S, di volerlo lasciare. Con quali elementi? Nessuno. A che scopo? Depotenziare le mie critiche, farle diventare le parole di una persona inaffidabile, di un “verme”».
Di Battista, dal canto suo, ieri è stato protagonista di un siparietto con il Cavaliere. Il grillino, su Facebook, ha raccontato di aver ricevuto delle avances da parte di alcuni colleghe/i di Forza Italia: «Al presidente piacerebbe incontrarti, ti stima...». «Dopo i servizi sociali può godersi i nipoti», è stata la replica del grillino. Jole Santelli lo smentisce con l’ormai famoso «chi?». «Berlusconi non sa neppure chi sia Di Battista». Ma il deputato insiste e pubblica un sms di una collega: «Ale sono a cena da Berlusconi e parliamo bene di te...». Fine della telenovela?