Giovanni Bignami*, L’Espresso 9/1/2014, 9 gennaio 2014
E ADESSO COSTRUIAMO A GRAVITÀ ZERO
Aveva cominciato Stalin, naturalmente. Gli odiati capitalisti accerchiavano da vicino l’Urss, dalla Turchia alla Germania, e potevano colpire Mosca con le nuove bombe nucleari anche usando razzi relativamente piccoli. Rispondere agli Usa richiedeva invece un viaggio ben più lungo, soprattutto partendo da un luogo sicuro come le steppe dell’Asia Centrale. Così nacque Baikonur, e il potentissimo R-7, creato da Sergei Korolev - il più celebre e prolifico ingegnere progettatore di razzi per l’Unione Sovietica - per portare le bombe a New York e oltre. Morto Stalin, nel 1957 Korolev chiese a Krusciov di lasciare che provasse a mettere in orbita un satellite, usando R-7 da Baikonur. Per Krusciov era un futile gioco di scienziati, ma il Soviet acconsentì, e da Baikonur partì subito Sputnik. Nacque l’era spaziale, aperta all’uomo con il volo di Gagarin in soli quattro anni.
Sessant’anni dopo, Baikonur è diventata kazacha ed è messa in vendita. Sic transit gloria mundi. Il posto è davvero glorioso: la base che ha fatto partire più razzi e più astronauti al mondo. Ma, eccellente base militare, è scarsa dal punto di vista astronomico. La sua latitudine siberiana (quasi 50°), ottima per scavalcare il polo, è poco adatta a missioni sul piano dell’eclittica, cioè il pezzo di cielo dove si trovano i pianeti e, più o meno, anche la Luna. Per arrivarci, da Baikonur bisogna buttar via molta energia, ovvero massa di carburante. No, una buona base futura per l’esplorazione di asteroidi e pianeti, e anche della Luna, dovrà essere vicino all’equatore. Cape Canaveral (+28°) andrebbe benissimo. Non a caso, un secolo prima del Progetto Apollo Jules Verne fece partire i suoi eroi proprio da lì vicino, in Florida. Andrebbe altrettanto bene la base Esa di Kourou, nella Guyana francese, anzi meglio perché è in zona poco abitata. Ma il vero spazioporto/cantiere del futuro sarà in orbita. Per andare al di là della Luna, anche solo agli asteroidi vicini, è necessario prevedere il montaggio in orbita di una nave interplanetaria, che parta da un punto a gravità zero e vi ritorni, senza partire da Terra ogni volta. Lo spazioporto ideale è nel punto di “librazione” tra la Terra e la Luna, dove le masse e i moti dei due pianeti creano una magica isola senza gravità, che Jules Verne chiamava sonde soyuz parcheggiate in un hangar. a destra: i locali della base kazaka 16 gennaio 2014 | | 91 effettuate anche in loco. Un fatto impensabile fino a qualche anno fa, in uno dei luoghi più segreti della terra, dove anche il nome era un falso (la vera città di Baikonur dista 300 km) nel tentativo di depistare gli 007 occidentali. Il cosmodromo di Tyuratam (vero nome della città che ospita l’impianto) nasce come base missilistica il 2 giugno 1955 e solo successivamente è diventato il centro del programma spaziale sovietico, in grado di supportare la più ampia gamma di razzi: Soyuz, Proton, Tsyklon, Dnepr e Zenit. Altri tempi. Oggi ci arriva anche il turismo. Astana ha appena svelato il progetto di Space Harbour: 10 ettari di nuove costruzioni per ospitare visitatori da tutto il mondo. Al momento non ci sono voli commerciali tra Baikonur e la Russia. La base ancora oggi è sotto lo stretto controllo militare. Ci si arriva con voli privati oppure via terra, lungo strade non asfaltate, e con la necessità di procurarsi un doppio visto. Ma i tour operator cominciano a offrire pacchetti di viaggio, anche se piuttosto salati. C’è un solo albergo a Baikonur, si chiama Sputnik Hotel ed è gestito dalla società italiana Renchi di Pesaro, grazie ai buoni rapporti tra il nostro paese, il Kazakistan e la Russia: oltre 300 euro per la stanza. Nella cittadina abitata da 36 mila anime, il 70 per cento di etnia kazaka, tutto richiama lo spazio e le lande lunari. I giochi pubblici per bambini evocano l’esplorazione spaziale con gli scivoli a forma di razzo; ristoranti e night club si ispirano nel design alle galassie e sono addobbati di ritratti di astronauti. Ma il pezzo forte è il museo dello spazio dedicato a Gagarin, tutta l’epopea sovietica alla conquista delle stelle racchiusa in una trentina di sale con reperti d’epoca, attrezzature e le prime navicelle spaziali. Compreso un esemplare del vecchio Buran, il progetto di shuttle sovietico abortito nei giorni del collasso dell’Unione. La stazione di Baikonur sconta anche il fattore geografico, trovandosi a 46 gradi di latitudine, quando per il lancio di satelliti molte orbite risultano più convenienti le basi sull’equatore come quella europea di Kouros o la nuova base cinese di Hainan. «La corsa allo spazio», spiega Maria Amalia Ercoli Finzi che si occupa di dinamica del volo spaziale da oltre 25 anni, professore onorario alla Scuola di Ingegneria Industriale del Politecnico di Milano e coordinatrice del Team Italia per la missione lunare “Amalia”, «vede nuove potenze protagoniste come l’India che ha appena lanciato la sua sonda su Marte, il Giappone, la Cina e ovviamente l’Europa nelle basi di Kourou. Ma ricordiamo anche tutti i successi italiani e la nostra base di Malindi. Credo che per raggiungere nuovi grandi traguardi nell’esplorazione spaziale ci vorrà una volontà comune di tutti i Paesi per creare una base spaziale congiunta». n “point neutre”. Inutile dire che una base sulla Luna sarebbe un grave errore: bisogna spendere energia per frenare e poi anche per ripartire, mentre nel punto di librazione tutto è gratis. L’altra ragione per una base lontano dalla Terra è che le astronavi del futuro saranno a energia nucleare. La fisica ci dice che è la sola forma di energia che permetterà davvero l’esplorazione umana del sistema solare, ma che non si devono fare partire da Terra cose potenzialmente pericolose. Quindi, andremo e torneremo con la chimica, cioè con i nipotini dello Shuttle, portando i pezzi inerti della nave nucleare fino al cantiere a gravità zero, dove potremo montare tutto in sicurezza.
E qui entra in gioco la politica. La cosa più importante (forse l’unica) che ci ha insegnato la Stazione Spaziale Internazionale (Iss) è che siamo stati capaci di costruirla. Cioè le potenze spaziali, escluse purtroppo Cina e India, hanno collaborato con successo ad un programma da cento miliardi e venti anni. Che la Iss esista è la prova che collaborare si può.
E allora proviamo a immaginare una collaborazione veramente mondiale, fatta perchè stavolta c’è anche un obiettivo vero, per esempio Marte, capace di far sognare. Sun, le Nazioni Unite dello Spazio, cioè una Agenzia operativa per il coordinamento mondiale, discendente dell’attuale Cospar, potrebbe sfruttare l’eredità della Iss e farci davvero decollare. Il Cospar c’è già, Sun dobbiamo avere il coraggio di inventarla: non abbiamo da perdere che le nostre catene terrestri.
*Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica