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 2014  gennaio 10 Venerdì calendario

CUBA, LIBERO IL MERCATO DELL’AUTO. MA È UNA DELUSIONE

Fino a venerdì scorso a Cuba la ven­dita di auto­mo­bili e altri mezzi di tra­sporto pri­vato era rego­lata dallo Stato. I vei­coli nuovi pote­vano essere ven­duti solo a per­sone auto­riz­zate (ad arti­sti famosi o spor­tivi d’eccellenza o per motivi di lavoro), lo stesso valeva per le auto dismesse dalle agen­zie sta­tali, di rent a car. Di con­se­guenza la gran parte della popo­la­zione è stata esclusa dal pos­sesso e dall’uso di vei­coli pri­vati, si è creato un mer­cato dell’usato dai prezzi folli ed è stato incen­ti­vato il rici­clag­gio di vei­coli eso­tici dal gusto retro, ma peri­co­losi per­ché obso­leti e alta­mente inquinanti.
Per que­sto, la ven­dita libera di vei­coli a motore — nuovi e usati — ini­ziata il 3 gen­naio, in base a un nuovo decreto legge deciso lo scorso dicem­bre, è stata con­si­de­rata una novità sto­rica. Si tratta di una misura richie­sta a gran voce da una popo­la­zione, come dice­vamo, in buona parte esclusa dall’uso di mezzi pri­vati. E seguita da una cocente delu­sione. Il governo infatti ha scelto senza mezzi ter­mini la via impo­si­tiva, sia come freno all’acquisto di nuovi vei­coli, sia per creare nuove entrate per il fisco, met­tendo in secondo piano la pos­si­bi­lità di miglio­rare la vita di una parte dei cit­ta­dini oltre che faci­li­tare lo svi­luppo di nume­rose atti­vità di tra­sporto pri­vate o coo­pe­ra­tive, sus­si­dia­rie del tra­sporto pub­blico, assai deficitario.
I prezzi pra­ti­cati sia per vei­coli nuovi, sia per quelli usati messi a dispo­si­zione dallo Stato hanno cau­sato una vera e pro­pria indi­gna­zione. In un’agenzia de L’Avana una Peu­geot 508 nuova era posta in ven­dita a 262.000 dol­lari (il dol­laro viene equi­pa­rato al peso con­ver­ti­bile, Cuc, una della due monete in cir­co­la­zione nell’isola), una Kia Rio a 42.000 Cuc, con rica­ri­chi da quat­tro a sei volte i prezzi pra­ti­cati nel mer­cato euro­peo. In un’altra agen­zia, nel quar­tiere bene di Mira­mar, dove si ven­dono auto usate — dismesse dal set­tore turi­stico — i prezzi erano altret­tanto stel­lari. Una Renault Clio del 2005 era messa in ven­dita a 25.000 dol­lari. «Incre­di­bile, si tratta di pura fan­ta­scienza», «Sfrut­ta­tori», «È una man­canza di rispetto nei con­fronti della popo­la­zione», i com­menti che si pote­vano rac­co­gliere tra la pic­cola folla rac­colta davanti alla lista dei prezzi appesa di fronte all’agenzia di Mira­mar. Com­menti ampia­mente ripor­tati da tutte le agen­zie di stampa inter­na­zio­nali pre­senti nella capi­tale cubana, che hanno dedi­cato ampi ser­vizi all’inzio della venta libe­rada delle mac­chine. L’indignazione della gente è com­pren­si­bile, visto che lo sti­pen­dio medio di un lavo­ra­tore cubano non arriva ai 20 euro al mese. E con tale dispo­ni­bi­lità, l’acquisto di un vei­colo resta un sogno impos­si­bile. Anche per­ché il governo non ha, fino a oggi, fatto cenno alla pos­si­bi­lità di cre­diti per l’acquisto di auto.
Il “nuovo” mer­cato dell’automobile nasce così met­tendo in mostra la for­bice sociale che esi­ste da tempo a Cuba e che ora il potere cen­trale non nasconde più. Ma si pro­pone di affron­tare, appunto, con un nuovo sistema impo­si­tivo. I prezzi e i rica­ri­chi ven­gono giu­sti­fi­cati sia per­ché, per quanto riguarda l’usato, sono alli­neati con il mer­cato in atto fra pri­vati (distorto dal fatto che da decenni quasi non entrano auto nuove), sia dalla crea­zione di un Fondo di finan­zia­mento del tra­sporto pub­blico, che sarà ali­men­tato dalla tassa sul lusso appli­cata alle auto. In sostanza, secondo il governo, chi a Cuba ha i soldi per com­prarsi una Peu­geot 508, può pagare un’imposta esor­bi­tante allo Stato, il quale poi si inca­ri­cherà di aumen­tare gli auto­bus e ripa­rare le strade, in alcuni quar­tieri della capi­tale ridotte a cola­brodo, e di finan­ziare la ven­dita a prezzo con­trol­lato di bici­clette, come misura di sal­va­guar­dia dell’ambiente. In attesa che una marca cinese apra una fab­brica di mon­tag­gio di sue auto nell’isola, in modo da poter abbas­sare i prezzi delle nuove vet­ture. Solo che, per ora, tale esor­bi­tante quota impo­si­tiva viene appli­cata non solo ai cosid­detti nuovi ric­chi, ma anche a chi vor­rebbe com­prarsi un’utilitaria usata per poter miglio­rare le sue pro­spet­tive di lavoro o sem­pli­ce­mente per vivere meglio. Una tassa simile è già in vigore per alcuni arti­coli con­si­de­rati di lusso, (ali­men­tari, elet­tro­do­me­stici dove il rica­rico è supe­riore al 100%) con la con­se­guenza di gene­rare meno entrate e mag­giore for­bice sociale.
Vi è dun­que da dubi­tare che la pos­si­bi­lità di com­prarsi domani una bici­cletta com­pensi il males­sere odierno di chi ha rea­liz­zato che mai potrà pos­se­dere un’auto o una moto e che vede tran­si­tare nelle strade dell’Avana mac­chine moderne di pro­prietà di per­so­naggi arric­chi­tisi in modo dub­bio, o di buro­crati sta­tali. Males­sere che si esprime in modo pre­oc­cu­pante nei gio­vani: la povertà delle con­di­zioni mate­riali diventa sem­pre più sino­nimo di povertà cul­tu­rale, per non dire spi­ri­tuale. Aumenta la quota di gio­vani che aspira solo a lasciare Cuba e in attesa del viag­gio sal­vi­fico si auto con­danna alla mar­gi­na­lità, rifiu­tando un lavoro che «no sirve» per­ché «no da de vivir» e ogni impe­gno poli­tico o sociale, con i rela­tivi corol­lari, sub­cul­tura, vio­lenza, pro­sti­tu­zione, alco­li­smo e droga. Certo, si tratta di un feno­meno mon­diale e Cuba rimane uno dei paesi con minor vio­lenza nelle strade. Un feno­meno in acce­le­ra­zione che solo fino a pochi anni fa era quasi sco­no­sciuto nell’isola.
Una delle forme più evi­denti è nel campo della musica popo­lare dove ormai detta una legge quasi dit­ta­to­riale — e suscita dure pole­mi­che nei mass media gover­na­tivi — l’onnipresente reguet­tón. «La povertà e la fru­stra­zione hanno la loro musica», che è intrisa di machi­smo, sesso e slang, come afferma un noto musi­co­logo gover­na­tivo. Nel suo discorso del primo gen­naio per com­me­mo­rare i 55 anni della Revo­lu­ción, Raúl Castro ha espresso la pre­oc­cu­pa­zione del governo e del par­tito comu­ni­sta per tale situa­zione. «Siamo in pre­senza di una per­ma­nente cam­pa­gna di sov­ver­sione» diretta soprat­tutto ai gio­vani, ha affer­mato il pre­si­dente, e «si per­ce­pi­scono i ten­ta­tivi di intro­durre con sot­ti­gliezza piat­ta­forme di pen­siero neo­li­be­rale e capi­ta­li­stico… che favo­ri­scono l’individualismo, l’egoismo e il mer­can­ti­li­smo». Que­sta cam­pa­gna ordita dagli Stati Uniti — ha spe­ci­fi­cato Raúl — ha lo scopo di minare la fidu­cia dei gio­vani nella dire­zione poli­tica del paese e di indurre un dif­fuso pes­si­mi­smo sulle pro­spet­tive future di Cuba.
Malu­more della popo­la­zione per le con­di­zioni mate­riali di vita, males­sere e mar­gi­na­lità cre­scente dei gio­vani che non cre­dono negli slo­gan socia­li­sti — con con­se­guente crisi della scuola — sono temi sol­le­vati con abbon­danza da oppo­si­tori e dis­si­denti. Solo che i blog, gli arti­coli e le dichia­ra­zioni di Yoani Sán­chez, Guil­lermo Fariñas, Berta Soler, Eli­zardo Sán­chez — per citare i più noti — sono soprat­tutto rivolte all’estero, ma non hanno pres­so­ché alcun eco all’interno dell’isola. L’anno scorso poi, in seguito alla nuova legge sull’emigrazione, tali oppo­si­tori hanno viag­giato molto all’estero, sono stati rice­vuti con tutti gli onori negli Usa, in Spa­gna, Ita­lia e altri paesi del globo. Ma, per citare la France presse, «a Cuba non vi è pra­ti­ca­mente stata alcuna espres­sione di oppo­si­zione nel 2013, a dif­fe­renza degli anni pre­ce­denti quando scio­peri della fame, occu­pa­zione di chiese e altre pro­te­ste cau­sa­rono un gran mal di testa al governo comunista».
Per­ché tanto atti­vi­smo all’estero non si tra­duce in una mobi­li­ta­zione all’interno di Cuba? «Troppo facile responsa­bi­liz­zare la repres­sione del governo» risponde Arturo Lopez-Levy pro­fes­sore all’Università di Den­ver, legato al movi­mento laico della Chiesa cat­to­lica cubana. La repres­sione nell’anno pas­sato non si è certo fer­mata, anche se si è espressa con forme nuove, ovvero con fermi di poche ore o di qual­che giorno degli oppo­si­tori, o con la disper­sione di mani­fe­sta­zioni, anche vio­lente, di «rifiuto da parte della popo­la­zione» — secondo i ter­mini della stampa gover­na­tiva — di atti­vità di dis­si­denti e difen­sori dei diritti umani. «Ma vi sono altre ragioni che dovreb­bero dar da pen­sare all’opposizione cubana», pro­se­gue Lopez-Levy. Quest ultima infatti, ha espresso cri­ti­che e denunce senza però «pre­sen­tare pro­po­ste cre­di­bili per i pro­blemi del paese». In pra­tica, «sono stati più inte­res­sati al rico­no­sci­mento (e alle sue con­se­guenze mate­riali, ndr) esterno che interno», con­clude il professore.