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 2014  gennaio 10 Venerdì calendario

LA LISTA DI BERGOGLIO - PUNTATA N. 7

ontinua in queste pagine la pubblicazione dell’Interrogatorio del Cardinale Jorge Mario Bergoglio nel contesto del Processo del 2010 indetto sui crimini commessi dal regime nell’«Esma» di Buenos Ai­res, durante il periodo della dittatura in Argentina.

GIUDICE PRESIDENTE: Li accompagnò, li aiutò, c’era un rapporto che si manteneva vivo con i padri Jalics e Yorio?

BERGOGLIO: Sì, offrii loro anche di venire a vivere nella curia pro­vinciale, con me, e offrii tale possibilità sia a loro che a Dourron.

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Già si vociferava della possibilità di una retata, almeno fino a che non avessero incontrato un vescovo benevolo. Mi ringraziarono.

[...] ZAMORA: Come lo venne a sapere?

BERGOGLIO: Per telefono, a mezzogiorno, mi chiamò una persona del quartiere, una che non conoscevo. Mi disse che c’era stata una re­tata, che avevano arrestato due sacerdoti e molti laici e che padre Dour­ron stava passando di lì in bicicletta e, non appena aveva visto la re­tata, era scappato lungo calle Varela. ZAMORA: Non chiese al suo interlocutore come si chiamava?

BERGOGLIO: No. Durante uno shock del genere l’ultima cosa che ti viene in mente è di chiedere chi parla.

GIUDICE PRESIDENTE: Si ricorda cosa fece dopo aver ricevuto quel­la notizia? BERGOGLIO: Sì, cominciai a muovermi, a parlare con dei sacerdo­ti che sospettavo avessero contatti con la polizia, con le Forze arma­te. Ci muovemmo immediatamente. GIUDICE PRESIDENTE: Riuscì a ottenere delle informazioni diver­se rispetto a quello che le aveva raccontato il vicino?

BERGOGLIO: Mi diedero conferma della retata, ma ancora non sa­pevano dove li avessero portati. Più avanti si cominciò a dire che e­rano stati membri della Marina. Dopo due o tre giorni. O per lo me­no questo è quello che mi dissero. GIUDICE PRESIDENTE: Mise al corrente dell’accaduto le altre ge­rarchie ecclesiastiche? BERGOGLIO: Tutti i membri della Compagnia di Gesù. E mi rivol­si anche all’arcivescovado. Era una domenica, avvisai il cardinale A­ramburu il lunedì o il martedì, e avvisai anche il nunzio, monsignor Laghi.

ZAMORA: Come venne a sapere che era stata la Marina?

BERGOGLIO: Si diceva, vox populi; quelli che avevano fatto accer­tamenti puntavano in quella direzione. GIUDICE PRESIDENTE: Questo fu motivo di cambiamento di stra­tegia per come fu successivamente gestita la questione?

BERGOGLIO: Sì, infatti incontrai due volte il comandante della Ma­rina, Massera. La prima volta mi ascoltò e disse che avrebbe verifica­to. Gli spiegai che quei padri non erano coinvolti in niente di stra­no, e rimasi che mi avrebbe fatto sapere. Dato che non mi rispose, dopo un paio di mesi, oltre a seguire delle altre piste, chiesi di avere un secondo colloquio. Ero quasi sicuro che fossero loro a tenerli pri­gionieri. Il secondo incontro fu molto spiacevole, non durò neanche dieci minuti. Mi disse: «Guardi, quello che sta succedendo l’ho già spiegato a Tórtolo». Io gli risposi: «Ma mi dirà di più che a monsi­gnor Tórtolo, o no?». «Sì, va bene». Io gli dissi: «Guardi, Massera, io li voglio indietro vivi». Mi alzai e me ne andai.

ZAMORA: Da dove emersero le voci secondo le quali era stata la Ma­rina?

BERGOGLIO: Non lo so, però divenne una vox populi. Le persone con cui si parlava dicevano che erano stati membri della Marina.

ZAMORA: Quali persone?

BERGOGLIO: Le persone influenti, quelli con cui riuscivo a parlare, che avevano legami con i giudici, con la polizia, con qualche milita­re, con il ministero degli Interni, con il governo. E tutti puntavano verso la Marina.

ZAMORA: Ricorda il nome di alcune di queste persone che avevano facile accesso al potere?

BERGOGLIO: No.

ZAMORA: Erano i suoi superiori ecclesiastici, il cardinale?

BERGOGLIO: Tutti quelli a cui ci si poteva rivolgere in quei mo­menti di disperazione, amici, conoscenti. ZAMORA: Il fatto che sapessero che erano stati sequestrati dalla Ma­rina è un dato di enorme importanza. Se potesse fare uno sforzo per ricordarsi chi la informò; e il fatto che lei considerò una notizia tan­to verosimile da essere ripetuta a Massera, doveva essere insomma una fonte seria.

BERGOGLIO: Si dice vox populi, vox Dei: non era una persona, era un unisono di voci. Forse non riuscirono neppure a identificare gli agenti che si erano identificati come un gruppo della Marina.

ZAMORA: Non ricorda chi la chiamò per telefono, non ricorda chi le disse che era stata la Marina....

GIUDICE PRESIDENTE: Furono in molti.

ZAMORA: Per questo gli sto chiedendo che ne identifichi almeno u­no.

GIUDICE PRESIDENTE: Ricorda in che circostanze riuscì ad avere un incontro con Massera?

BERGOGLIO: Perché ero sicuro, mi scusi, quasi sicuro, che fosse lui, perché lo dicevano tutti. Ricordo un sacerdote gesuita che fece un buo­nissimo lavoro per riuscire a confermare questa ipotesi, era padre Fer­nando Storni.

ZAMORA: È ancora vivo?

BERGOGLIO: No. È morto. ZAMORA: Che circostanza curiosa.

BERGOGLIO: Anche con Videla due volte, per lo stesso motivo. (Non ricorda le date esatte, però calcola che il primo colloquio deve esser­gli stato concesso due mesi dopo il sequestro). Fu molto formale, pre­se nota, mi disse che avrebbe verificato. Gli dissi che si vociferava che fosse stata la Marina. La seconda volta, invece, riuscii a scoprire chi era il cappellano militare che celebrava messa a casa sua, nella resi­denza del comandante in capo. Chiesi a questo sacerdote di darsi per malato, perché lo avrei sostituito io. Quel sabato, dopo la messa, chie­si di poter parlare con lui [Videla]. Lì mi diede l’impressione che si sarebbe interessato di più e che avrebbe preso le cose più seriamen­te. Non fu però violento, come l’incontro con Massera.

[...] ZAMORA: Lasciò qualche testimonianza scritta di quei colloqui?

BERGOGLIO: Tenevo sempre informato il padre generale.

ZAMORA: Per iscritto?

BERGOGLIO: No. A quell’epoca non esistevano né email, né fax, c’e­ra solo il telex, quindi, per velocizzare le cose, gli telefonavo diretta­mente. Lo chiamavo da un telefono pubblico sulla calle Corrientes, per non usare il telefono della curia.

ZAMORA: Dopo averlo informato per telefono, lasciava qualcosa di scritto?

BERGOGLIO: No. Lo chiamavo e basta.

ZAMORA: È normale che comunicazioni di tale importanza venis­sero trasmesse oralmente?

BERGOGLIO: Sì e no. Ci sono faccende che seguono un ritmo len­to, tranquillo, dove uno può preparare i memorandum attinenti. Al­tre, come questa che era urgente, e dove c’era un pericolo di vita per qualsiasi cosa venisse detta, dovevano essere sbrigate velocemente.

[...] ZAMORA: Ci furono comunicazioni con i familiari dei padri Yorio e Jalics?

BERGOGLIO: Sì, riguardo a padre Jalics due lettere. Una a sua ma­dre che si trovava negli Stati Uniti, in cui la confortavo raccontandole tutto quello che stavamo facendo, e un’altra a suo fratello, che vive­va a Monaco. Mi ricordo perfettamente l’incontro che ebbi o con il fratello o con il cognato di Yorio. E mi sembra che ci sia stato anche un secondo incontro, ma non lo posso confermare.

ZAMORA: Li informò delle iniziative che stava portando avanti?

BERGOGLIO: Sì.

ZAMORA: Si recò dalle famiglie dei catechisti che furono vittima di quell’azione?

BERGOGLIO: Incontrai il dottor Mignone, non mi ricordo se vi fu una seconda volta.

GIUDICE PRESIDENTE: Perché se lo ricorda, che ruolo aveva?

BERGOGLIO: Primo perché gli era scomparsa una figlia e secondo perché ci eravamo incrociati nell’edificio in cui viveva sulla avenida Santa Fe, dove viveva una mia cugina. E un’altra volta il Giovedì san­to nella sacrestia della cattedrale, però non parlammo. Era venuto a incontrare monsignor Tórtolo, che celebrava messa quel giorno. Ci incrociammo solamente.

ZAMORA: Ricorda di che cosa parlaste durante quell’incontro?

BERGOGLIO: Della preoccupazione comune, della sua per sua figlia e della nostra per i sacerdoti, e vedere che cosa si sarebbe potuto fa­re successivamente.

ZAMORA: Quando venne a sapere che le catechiste sequestrate nel­la stessa retata erano state liberate? BERGOGLIO: Da quello che si diceva in giro in quei giorni.

ZAMORA: Non cercò di mettersi in contatto con le famiglie o con i liberati per sapere che cosa fosse successo, dato che Yorio e Jalics e­rano ancora prigionieri? BERGOGLIO: No. So che altri gesuiti lo fecero e mi riferirono le informazioni che avevano ricevuto. Affermavano che era stato un di­partimento della Marina.

ZAMORA: Perché non cercò un contatto diretto? BERGOGLIO: [...] Siccome ero già in contatto con le persone che sta­vano portando avanti le trattative, mi sembrò che questo fosse il mo­do migliore di procedere. Non è che decisi di escluderli.

ZAMORA: Per essere precisi, sapeva che si trattava di persone che e­rano state sequestrate durante la stessa retata nella quale erano stati sequestrati due sacerdoti molto vicini a lei, e che fino a poco tempo prima dipendevano da lei?

IL GIUDICE PRESIDENTE si oppone.

ZAMORA: Siccome il testimone ha dichiarato che per una dimenti­canza...

GIUDICE PRESIDENTE: In qualsiasi caso deve fare una domanda. Signor Bergoglio, ricorda come venne a sapere che i padri Jalics e Yo­rio erano stati liberati? Si incontrò con loro? Quando?

BERGOGLIO: Mi chiamò padre Yorio direttamente. Gli dissi di non dirmi dove fosse e di non muoversi da lì. Di mandarmi una perso­na che mi potesse comunicare un luogo per il nostro incontro. A quel punto bisognava prendere tutte le precauzioni possibili. Ci siamo riu­niti, abbiamo parlato, il problema era ottenere il passaporto, perché dovevamo farli uscire dal paese. Il signor nunzio [Pio Laghi] si com­portò molto bene e accettò il mio consiglio che fossero accompa­gnati al dipartimento di polizia. Andò il segretario della nunziatura, con la copertura diplomatica perché non potesse succedergli niente lì dentro. Nel caso di Yorio, mi contattò altre volte per discutere del suo futuro. [...] Decidemmo che la cosa migliore sarebbe stata di mandarlo a Roma a studiare diritto canonico. A Roma lo vidi in va­rie occasioni, durante i viaggi che feci. Dopo non lo incontrai mai più. Con Jalics fu tutto più rapido, se ne andò immediatamente ne­gli Stati Uniti dove viveva la madre. GIUDICE PRESIDENTE: Che cosa le raccontarono?

BERGOGLIO: Mi raccontarono tutto. Che li avevano incappucciati, immobilizzati, e dopo un certo periodo li avevano trasferiti in un al­tro luogo, che poteva essere una casa nella stessa zona o in prossi­mità dell’Esma, dove erano convinti di essere stati fino a quel pun­to. Erano sicuri che fosse la stessa zona perché sentivano i rumori di decollo e atterraggio degli aerei. E che li liberarono addormentati in un campo a Cañuelas.

GIUDICE PRESIDENTE: Le raccontarono in che condizioni erano sta­ti detenuti? BERGOGLIO: Sì, abbastanza precarie, dolorose e umilianti.

GIUDICE PRESIDENTE: Quali dettagli ricorda?

BERGOGLIO: Che non li lasciavano andare in bagno. Non ricordo se mi dissero qualcosa riguardo all’alimentazione.

GIUDICE PRESIDENTE: Punizioni corporali dirette?

BERGOGLIO: Non mi dissero niente. Dal loro racconto ebbi l’im­pressione che tutta la loro detenzione fosse stata una grande tortu­ra, però atti specifici di tortura non ne ricordo.

GIUDICE PRESIDENTE: Botte, scariche di corrente elettrica? BERGOGLIO: Non mi dissero niente. Non dico che non ce ne siano state, solo che non me le raccontarono.

GIUDICE PRESIDENTE: Altre cose?

BERGOGLIO: Insulti. Più che insulti, gli dicevano: «Guarda dove sei finito, Gesù Cristo dice beati i poveri, però i poveri di spirito, non quelli con cui lavorate voi!».

ZAMORA: Una volta saputo tutto questo, che iniziative intraprese?

BERGOGLIO: In che senso?

ZAMORA: Mezzi legali, pubblici, interni alla Chiesa, informazioni dalla gerarchia.

BERGOGLIO: Il primo passo fu di proteggere la loro incolumità fi­sica. Per quello raccomandai loro che non dicessero dove si trovava­no. Il secondo passo e mia preoccupazione era di farli uscire dal pae­se. Ovviamente, fu informato il vescovo locale, e telefonammo a Ro­ma. Nel caso di padre Yorio bisognava garantire il suo futuro a Ro­ma, e il suo incardinamento nella diocesi di Quilmes.

GIUDICE PRESIDENTE: Ricorda se fu fatta denuncia alle autorità giu­diziarie?

BERGOGLIO: Non ricordo, e se fu fatta, si optò per la via ecclesia­stica, con l’arcivescovado, o attraverso la Cea, non mi ricordo, affin­ché fosse aggiunta a tutte le altre denunce e fossero presentate tutte insieme.

GIUDICE PRESIDENTE: Ci sarebbe modo di accedere agli archivi?

BERGOGLIO: Sì. Glieli farò cercare.

ZAMORA: I padri Yorio e Jalics le raccontarono se erano stati dete­nuti soli o in un luogo dove c’erano altre persone?

BERGOGLIO: C’erano altre persone, però penso che loro due fosse­ro in una cella da soli, per lo meno da quello che mi raccontarono. Sentivano voci di altre persone, però da quel che mi dissero erano in un posto da soli.

ZAMORA: Cioè, sarebbe a dire che, nel momento in cui uscirono, e­rano sicuri che ci fossero delle altre persone sequestrate in quel po­sto?

BERGOGLIO: Sì, sì.

ZAMORA: Non pensò di fare una denuncia immediata per la vita di quelle persone?

BERGOGLIO: Le facemmo tutte per via ecclesiastica.

ZAMORA: E perché non per vie legali, se era un crimine?

BERGOGLIO: Per autodisciplina preferimmo fare tutte le denunce insieme, passando per la gerarchia ecclesiastica.

GIUDICE PRESIDENTE: Chi aveva la responsabilità di decidere se fare una denuncia oppure no? Lei informava il superiore del suo or­dine?

BERGOGLIO: Sì.

GIUDICE PRESIDENTE: Era il superiore del suo ordine che decide­va se presentarla alla giustizia? BERGOGLIO: Sì.

[…] ZAMORA: Quali furono le reazioni, le opinioni, l’atteggiamento dei padri Yorio e Jalics davanti alla decisione di sciogliere la comunità del quartiere Rivadia?

BERGOGLIO: Fu la reazione normale di seguire il voto di obbe­dienza, che è di presentare al proprio superiore le ragioni per cui la comunità non doveva essere sciolta. Si studiò e si giunse alla con­clusione che [...] sarebbe stata sciolta lo stesso. Dovette intervenire il padre generale. Fu un processo lungo, di quasi un anno e mezzo. Il padre generale disse che o si sarebbe sciolta o si sarebbe dovuta cer­care un’altra strada. Loro stavano rappresentando correttamente co­me funzionavano le regole della Compagnia. IL GIUDICE PRESIDENTE gli chiede di chiarire che cosa significa ’pre­sentare’ in linguaggio non tecnico. BERGOGLIO: Quando danno un ordine a una persona e questa non è d’accordo […] secondo il voto di obbedienza ha il diritto di esporre le sue ragioni sul perché quell’ordine non sia corretto, adducendo motivi e attraverso un buon dialogo.

ZAMORA: Disse che c’era però un’alternativa, di cercare delle altre strade. Quali erano?

BERGOGLIO: Uscire dalla Compagnia ed esercitare il ministero al di fuori di essa, dipendendo da un vescovo.

ZAMORA: Si può stare senza dipendere da alcun vescovo o facendo parte in un’altra congregazione?

BERGOGLIO: Avrebbero dovuto cercarsi un vescovo o entrare a far parte di un’altra congregazione.

ZAMORA: Che cosa successe quando la loro ’presentazione’ venne rifiutata?

BERGOGLIO: Chiesero quindi l’uscita dalla Compagnia.

ZAMORA: Che formalità ci furono e come terminò la pratica delle dimissioni di Yorio e Dourron?

BERGOGLIO: Si trattò, si mandò a Roma e quando arrivò la rispo­sta diceva che erano state accordate loro le dimissioni, e a padre Ja­lics il permesso per iniziare la pratica dell’indulto di secolarizzazio­ne, ossia passare al clero secolare.

ZAMORA: Quando avvenne?

BERGOGLIO: Mi ricordo quando vennero comunicate le dimissio­ni ai padri Dourron e Yorio ed era il 19 marzo del 1976. ZAMORA: Da lì, dovettero cercarsi un...

BERGOGLIO: ... un vescovo. sì.

[...] ZAMORA: Ricorda di aver suggerito ai due sacerdoti di andare a par­lare con il vescovo di Morón, monsignor Miguel Raspanti, o con al­tri?

BERGOGLIO: Gli suggerii vari vescovi, compresi alcuni che loro già conoscevano, come Novak, Zazpe, Raspanti.

ZAMORA: Sostiene che la relazione non era obbligatoria, ma una prassi abituale. Lei presentò qualche relazione a Raspanti?

BERGOGLIO: Mi chiamò per telefono e ne parlammo durante una lunga conversazione nella quale chiese informazioni su ciascuno di loro.

ZAMORA: Intendo dire che era importante il trasferimento dei due sacerdoti, soprattutto perché c’era un conflitto con loro, che aveva­no fatto ricorso alla presentazione. In tal caso, è prassi abituale fare una relazione per iscritto?

BERGOGLIO: Non è necessario, non è prassi abituale. Bisogna for­nirla se viene richiesta, in un modo o nell’altro. In quel caso fu fatta verbalmente e non ricordo se lasciai qualcosa di scritto.

ZAMORA: Nel caso in cui ci fosse qualcosa di scritto, ci sarebbe mo­do di cercare una copia di quel rapporto?

BERGOGLIO: Sì, si può sempre cercare. È possibile. ZAMORA: Sa che cosa successe con le pratiche di Yorio e Jalics, a chi arrivarono e con che risultato?

BERGOGLIO: So che monsignor Raspanti accettò uno dei tre. Sup­pongo che a prescindere da quello che si diceva o dell’uno o dell’al­tro, non volesse accettare un gruppo, solo uno. È una mia interpre­tazione che ho dedotto dalle mie conversazioni telefoniche con lui. ZAMORA: Ricorda se il vescovo Raspanti andò a trovarli al Colegio Máximo come parte dell’accordo? BERGOGLIO: Quando i padri Ja­lics e Yorio uscirono dalla Compagnia, la residenza del provinciale era a Buenos Aires, non nel Colegio Máximo.

ZAMORA: Le conversazioni telefoniche con monsignor Raspanti fu­rono prima o dopo che lasciassero la Compagnia?

BERGOGLIO: Quando arrivarono al suo tavolo, mi chiamò per a­vere il mio parere. [...] ZAMORA: Ci furono altri vescovi che la contattarono come fece Ra­spanti?

BERGOGLIO: No.

ZAMORA: Conosce la teologa Marina Rubino [una delle accusatrici di Bergoglio]?

BERGOGLIO: Era un’alunna della facoltà di teologia, credo di Mo­rale, o altrimenti si iscrisse al corso di laurea di Morale alla facoltà di teologia. Saranno stati gli anni Ottanta.

ZAMORA: Per aiutare la sua memoria, sa o ricorda se Marina Rubi­no si incontrò con monsignor Raspanti nel Colegio Máximo, il qua­le la stava aspettando per discutere di Jalics e Yorio? BERGOGLIO: Non lo sapevo.

ZAMORA: Signor Bergoglio, quale fu la procedura interna che seguì per trasmettere quello che aveva saputo per bocca di Yorio e Jalics?

BERGOGLIO: Oralmente, al signor arcivescovo. Dato che stava per recarsi a Roma, informai dettagliatamente il padre genera­le, la Compagnia di Gesù, e le province argentine nelle distinte riunioni che stavamo tenendo insieme a loro.

ZAMORA: Sa se si decise consapevolmente di non rendere pub­blico quello che sapevano o che avevano sofferto?

BERGOGLIO: Non lo so.

ZAMORA: Sa che cosa fecero le gerarchie dopo che le mise al corrente?

BERGOGLIO: No.

ZAMORA: Incluse lei, nelle sue conversazioni, il fatto di sapere dell’esistenza di un campo di detenzione clandestino nell’Esma e il trattamento a cui furono sottoposti?

BERGOGLIO: Sì.

ZAMORA: Cercò risposte?

IL LEGALE DI BERGOGLIO si oppone: Qui non si stanno met­tendo a processo né Bergoglio né la Chiesa cattolica.

IL GIUDICE PRESIDENTE ammette la domanda ma chiede che Zamora non si dilunghi.

ZAMORA: Dato che lei li aveva informati, era prassi normale far­le sapere che cosa si era fatto o lei si preoccupò di chiederlo?

BERGOGLIO: Non mi informarono.

GIUDICE PRESIDENTE: Non la informarono. E lei si interessò in qualche modo di sapere se c’era stata o no una qualche ri­sposta?

BERGOGLIO: Sì. Qualcosa, in generale. Cercavo risposte, ma molto vagamente. Non ricordo i dettagli.

GIUDICE PRESIDENTE: Riguardo a quella denuncia alla giu­stizia di cui parlavamo prima, si fece o no?

BERGOGLIO: Non mi risulta, ma presumo di sì.

GIUDICE PRESIDENTE: Che cosa si fece?

BERGOGLIO: Presumo di sì. Ma non sono sicuro.

GIUDICE PRESIDENTE: Dipendeva dal padre generale dell’Or­dine?

BERGOGLIO: Dal preposito generale dell’Ordine e dal suo be­nestare [...] GIUDICE PRESIDENTE: E per sapere qualcosa bisognerebbe chiederlo all’attuale preposito generale dell’Ordine, per vedere se ci sono dei registri?

BERGOGLIO: O qui, alla Conferenza episcopale, o all’arcive­scovo, che sono quelli che si occupavano delle pratiche.

ZAMORA: Il preposito generale dell’Ordine non viveva in Ar­gentina?

BERGOGLIO: No.

ZAMORA: Ed era solo quella la persona autorizzata ad occuparsi di questo tipo di pratiche o denunce, che non viveva in Argen­tina, oppure c’era qualcun altro oltre a lei [a Bergoglio]?

BERGOGLIO: Davo di solito il benestare per espletare le prati­che e riguardo a dove farle. ZAMORA: Il fatto che Yorio e Jalics le raccontarono quello che avevano sofferto, e tenendo conto del fatto che lei considera che il lavoro di Yorio e Jalics, come di coloro che svolgevano com­piti simili, era oggetto di critiche e accuse, la spinse a fare qual­cosa per proteggere anche gli altri? BERGOGLIO: Sì, a raccomandare che venissero prese specifiche misure di sicurezza. Fino alle cose più futili, alle volte. Specifi­che misure di sicurezza. ZAMORA: Sa se qualcuno le disse qualcosa di Yorio o Jalics, o lo seppe da altri canali? Che un qualche sacerdote era andato all’Esma a dare la comunione a Jalics e Yorio?

BERGOGLIO: Lo sentii dire. Però non posso giurare sulla veri­dicità della cosa. Ma lo sentii dire.

ZAMORA: Ricorda da chi lo sentì dire? BERGOGLIO: Probabilmente da alcuni gesuiti che stavano fa­cendo delle verifiche. Non ricordo se padre Storni o altri.

ZAMORA: Le persone che stavano facendo le verifiche e a cui lei fa riferimento – e questo è molto importante perché arrivarono a sapere dove si trovassero, nel caso di Storni, oppure a presu­mere dove erano incarcerati – queste persone erano persone a lei vicine?

BERGOGLIO: Alcuni erano gesuiti, altri laici, amici di gesuiti, e­rano persone che si offrivano [di aiutare]. La cosa importante da sapere qui è che bisognava evitare che sparissero definitivamente. ZAMORA: Mi riferisco al fatto che, per aiutarci a proseguire con le indagini, essendo queste persone vicine a lei, non potrebbe i­dentificarne qualcuna, a parte Storni?

GIUDICE PRESIDENTE: Ha già risposto, lo ha già detto.

ZAMORA: No, no. Qui si sta parlando di un’altra situazione.

GIUDICE PRESIDENTE: Quale? Quella seguente?

ZAMORA: Certamente. La domanda era riferita al sacerdote che portò la comunione.

BERGOGLIO: Sì, si diceva, tutti dicevano che Storni fosse uno di questi, però, dicevano che portavano loro la comunione. Que­sto era quello che si diceva, tra gli stessi gesuiti.

ZAMORA: Lei non era un semplice gesuita, lei era il provincia­le. In quanto provinciale, e nel sapere tutto questo, non poteva fare in modo che qualcuno portasse loro la comunione all’E­sma? Un sacerdote, ovviamente. Può dare delle motivazioni per cui lei poteva fare qualcosa in più di quello che stava facendo?

BERGOGLIO: Non capisco.

ZAMORA: Attraverso tutte le persone che la circondavano, laici o membri della Compagnia di Gesù, o della Chiesa, io non so quanta influenza avesse lei, però lei viene a sapere che c’era un sacerdote che, secondo la sua versione, portava la comunione ai due sacerdoti prigionieri e che fino a pochi giorni prima del se­questro dipendevano da lei in quanto provinciale. Sapere tutte queste cose non la portò a voler fare qualcosa in più, scoprire dove si trovassero i sacerdoti, dove potevano essere localizzati, dove liberarli?

BERGOGLIO: Non necessariamente chi porta la comunione de­ve essere un sacerdote. Può essere anche un laico qualsiasi. La cosa è più comune di quanto non si pensi.

[...] ZAMORA: Stiamo parlando di come venne a sapere del luogo in cui erano incarcerati, e di come lei continuò a fare quello che stava facendo.

BERGOGLIO: Non avevo nessuna certezza che si trovassero nel­la Escuela superior de mecánica de la Armada, nessuna certez­za, finché non me lo confermarono loro stessi dopo la libera­zione.

[...] ZAMORA: A posteriori, dopo quanto successo, tra il sequestro e la liberazione dei sacerdoti e di alcuni dei catechisti, fece qual­cosa per la pratica del passaporto di Francisco Jalics davanti le autorità della dittatura militare?

BERGOGLIO: Sì.

ZAMORA: Quando?

BERGOGLIO: Non ricordo la data, però penso nel ’78, è possi­bile. Non ricordo la data esatta.

ZAMORA: In che cosa consistette il suo intervento?

BERGOGLIO: Il padre doveva rinnovare il passaporto. Era un­gherese, cittadino argentino o residente argentino, non ne sono sicuro, però aveva un passaporto argentino. A quei tempi era un rifugiato ungherese, espatriato, in una situazione un po’ di a­polide. L’unico documento per spostarsi, a causa della dittatura in Ungheria, era il passaporto argentino, che gli stava per sca­dere. Poco prima che gli scadesse, sarebbe dovuto venire qui a rinnovarlo. Secondo noi era una cosa pericolosa. Per questo chiesi alle autorità: dietro suo consiglio, mi scrisse lo stesso pa­dre Jalics: che glielo rinnovassero, che dessero istruzioni affin­ché l’ambasciata a Bonn potesse rinnovargli il passaporto. La scu­sa che usai era che il viaggio era molto costoso. ZAMORA: Sa come terminò la faccenda?

BERGOGLIO: Glielo negarono.

ZAMORA: Ne conosce le ragioni?

BERGOGLIO: No.

ZAMORA: Chiese perché, dato che era una pratica sua?

BERGOGLIO: Sì, mi dissero di no, che era necessario rinnovar­lo qui. ZAMORA: E questo chi glielo disse? A quale funzionario fece ri­ferimento per la pratica? BERGOGLIO: A quello che lo prese in consegna alla Cancelle­ria. Non mi ricordo chi fosse, però so che presentai il tutto, spie­gai la situazione, e più avanti mi dissero che non era consuetu­dine, o che non si poteva, qualcosa del genere.

ZAMORA: Era o non era il direttore del Culto cattolico della Can­celleria, Orcoyen?

BERGOGLIO: Non ricordo. ZAMORA: Però era il direttore del Culto cattolico della Cancel­leria?

BERGOGLIO: Era il funzionario che prese in consegna. Io so che fui alla Cancelleria, probabilmente alla sezione Passaporti o Af­fari esteri, però non mi ricordo. ZAMORA: Quindi, se non lo seppe dal funzionario, in seguito lo seppe per altre vie, perché [era stato negato il rinnovo]?

BERGOGLIO: Il perché era ovvio. Lo volevano qui.

GIUDICE PRESIDENTE: E questo è quello che le dissero o è u­na deduzione sua? BERGOGLIO: È una mia ipotesi.

ZAMORA: Nello scambio con questo funzionario che prese in consegna la pratica, vi fu solamente un colloquio o ce ne furo­no degli altri? BERGOGLIO: Fu uno solo. Consegnai la pratica, mi chiese che cosa era successo al padre, gli spiegai che era stato detenuto, che avevano accusato entrambi di essere dei guerriglieri, e che però non avevano niente a che fare, e basta.

ZAMORA: Ricorda qualcos’altro che gli raccontò? A parte che e­ra stato detenuto, gli disse da parte di chi, perché?

BERGOGLIO: Non so se gli dissi che era stato nella Escuela su­perior de mecánica de la Armada. Probabilmente glielo rac­contai, non mi ricordo. Se fosse, non credo che mi avrebbe chie­sto dove era stato detenuto, perché tanto lo sapevano già; non credo che me l’abbia chiesto. Sì, mi ricordo quello che ho sem­pre detto: che furono detenuti, accusati di essere dei guerriglie­ri, e che però non avevano niente a vedere con tutto ciò.

ZAMORA: Perché utilizza l’aggettivo ’detenzione’, quando sa­peva che Yorio e Jalics erano stati sequestrati?

BERGOGLIO: Non so. Era il mio vocabolario… [...] ZAMORA: Lei ha mai sentito parlare della isola El Silencio, nel Tigre?

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BERGOGLIO: No.

ZAMORA: Non ne sentì mai parlare oppure in quel momento non ne aveva ancora sentito parlare?

BERGOGLIO: Non ricordo di averne mai sentito parlare.

ZAMORA: O di un’isola che la Chiesa cattolica possedeva nel Tigre?

BERGOGLIO: Sono quasi sicuro che a quei tempi nel Tigre ci fosse solamente una cappella parrocchiale, ma non un’isola.

ZAMORA: In quel momento, e al tempo della dittatura?

BERGOGLIO: Non so.

ZAMORA: Quando fu la ultima volta che vide Jalics e Yorio?

BERGOGLIO: Ho visto Jalics a Buenos Aires. Viene spesso qui. Mi chiese il permesso di tenere dei corsi, come fanno solita­mente i sacerdoti che vengono da fuori, e io glielo accordai con molto piacere. Una volta venne a parlare con me, mi chiese un appuntamento. Un’altra volta mi ricordo che concelebrammo nella cattedrale, per una celebrazione di un corso di catechesi. L’ultima volta che lo vidi sarà stato due anni e mezzo fa, più o meno, qui a Buenos Aires.

ZAMORA: E Yorio?

BERGOGLIO: L’ultima volta che lo vidi fu a Roma, mentre sta­va studiando. Lo incontrai un paio di volte, forse tre. In seguito tornò e si ordinò. So che più avanti si trasferì e andò a vivere in Uruguay.

ZAMORA: I cardinali possiedono qualche dossier con i suoi pre­cedenti, la sua carriera? Si prepara un dossier? Esiste qualcosa di simile a questo, se questo non è il termine corretto?

BERGOGLIO: Non so, dipende dalla Santa Sede.

ZAMORA: Lei non sa se la Santa Sede li prepara?

BERGOGLIO: Non so.

ZAMORA: Mi riferisco, per esempio, a quando si riunisce il con­clave per l’elezione del nuovo papa.

GIUDICE PRESIDENTE: Non risponda, signor Bergoglio, però finisca, dottor Zamora.

ZAMORA: Se in quel caso si preparano dei dossier su ciascun cardinale con i suoi precedenti e la sua carriera?

LEGALE DI BERGOGLIO: Qui non stiamo sottoponendo a giu­dizio né la Chiesa cattolica, né il cardinal Bergoglio, né se que­sto tema abbia avuto alcuna influenza sull’elezione del ponte­fice che è succeduto a Giovanni Paolo II. Non ha niente a che vedere con la causa in corso.

GIUDICE PRESIDENTE: Non vedo dove vuole arrivare con que­sta domanda, però può riformulare. ZAMORA: Vorrei fargli delle domande riguardo ad alcuni ele­menti...

GIUDICE PRESIDENTE: Perché non gli pone direttamente la do­manda?

ZAMORA: Nel caso in cui esistesse un dossier, il suo include­