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 2014  gennaio 09 Giovedì calendario

L’ITALIA, GRANDE ENIGMA DELLA RIPRESA EUROPEA


Il 2013 non è stato pessimo per l’Unione Europea, come molti pensavano, piuttosto è stato un anno in cui l’attenzione dei mercati è rimasta concentrata sulla lotta politica tra democratici e repubblicani negli Stati Uniti per alzare il tetto del debito pubblico, e sui problemi delle economie emergenti. Così, la crisi economica europea è passata in second’ordine. Ciò non vuol dire che siamo fuori dal tunnel.
Nel 2013, grazie ai modesti accenni di ripresa, gli investitori hanno immesso nel mercato azionario europeo 15 miliardi di euro. E vediamo questi miglioramenti: le esportazioni spagnole sono aumentate; la disoccupazione irlandese è scesa del 2,6 per cento dall’apice raggiunto; i prezzi delle abitazioni a Dublino sono saliti del 10 per cento; l’Irlanda è uscita dalla fase di «salvataggio» europeo e il Portogallo è prossimo a farlo. Unico problema ancora irrisolto, l’economia italiana.
Allo scoppio della crisi del 2010 il debito pubblico italiano era pari al 120 per cento del Pil e l’economia era statica da almeno 20 anni. Oggi quel rapporto è superiore al 130 per cento e le prospettive di ripresa scarsissime. La miscela di alto debito e bassa produttività strangola l’economia. Se aggiungiamo l’immobilismo politico, dovuto alla struttura partitica e alla legge elettorale, e una disoccupazione giovanile da terzo mondo, è facile capire perché molti percepiscono il problema Italia come una minaccia seria per la ripresa di tutta Eurolandia nel 2014.
Altro grosso interrogativo è la ristrutturazione del sistema bancario: chi paga? I contribuenti europei, cioè i governi degli Stati membri, come vuole Mario Draghi, o il sistema finanziario, cioè chi ha acquistato obbligazioni delle banche, come suggerisce la Germania?