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 2014  gennaio 10 Venerdì calendario

DUE O TRE COSE CHE SO SU KHODORKOVSKY

Di Mikhail Khodorkovsky ho un ritratto controcorrente rispetto a quelli idealizzati forniti dalla stampa dopo la sua recente liberazione. Lo conobbi nel 2001, pochi mesi dopo aver incontrato per la prima volta Vladimir Putin. Al tempo, il contrasto tra i due personaggi fu sorprendente. Nell’incontro al Principe di Savoia di Milano (era il 6 giugno) con una ristretta delegazione dell’Eni, Putin, accompagnato dal ministro degli esteri Ivanov, dall’allora capo di Gazprom, Viakhirev, e dall’ambasciatore russo in Italia, apparve quasi timido e dimesso. Era la prima volta che lo incontravamo e non era ancora il Putin della conquista, del potere assoluto. Gli esperti di Russia lo descrivevano come uno dei tanti leader di paglia che Boris Eltsin selezionava a sorpresa per poi sacrificare rapidamente. Durante quel primo incontro, tutto sembrò indicare che avessero ragione. Putin parlava con voce flebile e affatto assertiva; non guardava mai l’interlocutore diretto, tenendo sempre gli occhi bassi puntati su una matita che rigirava tra le mani. Tuttavia, quando parlavano gli altri, il suo sguardo si posava furtivamente sui presenti, per pochi istanti: ed era uno sguardo di ghiaccio, inquietante, che sembrava rivelare ben più di quanto i cremlinologi non immaginassero dell’uomo.
KHODORKOVSKY SI PRESENTÒ come l’esatto contrario. Aveva appena 38 anni, ma su di lui già circolavano voci allarmanti, simili a quelle che ammantavano altri oligarchi russi che, come lui, in pochi anni avevano conquistato le leve del potere economico grazie all’assurda svendita dei beni dello stato voluta da Eltsin. Voci di corruzione, di omicidi (almeno due), di regolamenti di conti tra bande rivali, riciclaggio di denaro, e altro ancora. Cresciuto nell’organizzazione giovanile del Partito comunista, Khodorkovsky era diventato dal niente capo e principale azionista di una banca (Menatep) a meno di 30 anni. Attraverso la Menatep aveva poi acquistato la maggioranza assoluta di una grande società petrolifera, la Yukos, per poco più di 300 milioni di dollari. Quando lo incontrai si sentiva già uno dei padroni della nuova Russia: la società che aveva comprato per un tozzo di pane adesso valeva miliardi di dollari, e al momento del suo arresto (2003) lo avrebbe reso l’uomo più ricco di tutta la Russia.
Durante l’incontro riservato fu arrogante e scostante, in alcuni momenti intimidatorio. L’unico commento che concesse fuori argomento fu proprio su Putin: «Abbiamo avuto tanti presidenti, non sarà l’ultimo, né il più importante». Tutto in lui trasudava ebbrezza di potere senza limiti. Non ci vedemmo più. Prima di essere arrestato, manifestò la stessa protervia in più occasioni. Per esempio, quando Chrystia Freeland (giornalista del "Financial Times" che lo intervistò per un bel libro sugli oligarchi russi), gli domandò come si sentisse ad aver sottratto per niente risorse tante importanti per la Russia, le rispose brutalmente "lei ha un intelletto mediocre", aggiungendo: "se uno non è un oligarca in Russia oggi, vuol dire che ha qualche problema", intendendo che era uno stupido.
DOPO LA SUA CONDANNA ricorse alla Corte europea per i diritti umani di Strasburgo, che analizzò a fondo il suo caso. La conclusione della Corte, però, fu che il suo processo non aveva motivazioni politiche e che le accuse contro di lui erano fondate su «ragionevoli sospetti». Come per altri oligarchi russi, le accuse di essere il mandante di omicidi e altri reati non furono mai provate, anche se vari giornalisti d’inchiesta russi e occidentali, e perfino un ex-consigliere della Casa Bianca, sostengono che ci fossero indizi così lampanti da imporre che fosse sottoposto almeno a giudizio.
AVEVO VISTO UN’ARROGANZA SIMILE a quella di Khodorkovsky in altri due personaggi di opposta estrazione, incontrati più volte all’apice del loro successo, che proprio in quel periodo stavano piombando dalle stelle alle stalle: parlo di Kenneth Lay e Jeffrey Skilling. Il primo era stato il fondatore della Enron, il secondo l’amministratore delegato della stessa società per la quale, da ex-manager di McKinsey, aveva concepito un modello di business che aveva definito "il lavoro di Dio". Invece era stato il lavoro del diavolo: Enron fu il più grande fallimento e la più grande truffa industriale della storia americana.
Oggi Khodorkovsky appare nelle vesti della vittima di un tiranno. Nel frattempo, Lay è morto d’infarto (2006), poco dopo essere stato ritenuto colpevole di 10 capi di imputazione su 11 contestati e aver subito la confisca di tutti i beni; Skilling è stato condannato a 24 anni di galera, poi ridotti a 14 (che sta scontando). Anche lui ha perso tutto.
Certo, parte dell’immagine eroica e sacrificale che la stampa ha fornito di Khodorkovsky scaturisce da quello che è apparso un confronto impari tra Caino e Abele, in cui Putin-Caino ha sfruttato le falle (molte) del giovane oligarca per eliminare uno dei pochi uomini che potevano fargli ombra. Ma se Putin è Caino, Khodorkovsky non è certo Abele: lui, Lay e Skilling rimangono dei semplici Caino che hanno avuto la sventura di trovare sul loro cammino o altri Caino più forti e accorti di loro, o - semplicemente - la giustizia.