Luca Piana, l’Espresso 10/1/2014, 10 gennaio 2014
MR ESSELUNGA E I COMPRATORI MISTERIOSI
Un padre-padrone che a 88 anni di età ha infine annunciato di voler andare in pensione, lasciando le cariche operative. Due figli in guerra con lui. E un grande rebus sul futuro di Esselunga, il colosso dei supermercati che, con ricavi per 6,7 miliardi di euro, in Italia è s uperato solo da Coop e da Conad .
Nelle ultime settimane la saga di Bernardo Caprotti e della sua famiglia si è arricchita di un nuovo colpo di scena. Dopo 62 anni di lavoro, l’anziano imprenditore ha infatti dichiarato di aver lasciato gli impegni quotidiani nell’azienda che ha fatto la sua fortuna. «Non crediate di liberarvi tanto facilmente di me», ha scritto ai 20 mila dipendenti, ribadendo che continuerà a vigilare che tutto fili liscio. E cercando di fugare il dubbio che lo scontro in tribunale sulla proprietà delle quote azionarie del gruppo con i primi due figli, Giuseppe e Violetta, possa spingerlo a mollare: «L’Esselunga rimane in famiglia. Se fosse in vendita, lo sarebbe solo perché in Italia non si può più fare impresa», ha fatto sapere.
«Non venderò mai» è un ritornello che, in questi anni, Caprotti ha ripetuto spesso, almeno in pubblico. Nel 2006 bocciò come «spericolata» l’idea dell’allora premier Romano Prodi di tentare un matrimonio con la Coop per difendere l’italianità della grande distribuzione e, quindi, dei prodotti che finiscono sugli scaffali. E da allora, in conferenze stampa e interviste, ha sempre respinto ogni ipotesi di voler cedere tutto. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, però, i timori che l’Esselunga possa prima o poi finire sul mercato non sembrano campati in aria. Anche perché, come dimostrano alcuni documenti inediti, negli ultimi anni la grande catena milanese ha già rischiato più volte di finire in mani straniere. E se questo non è accaduto, lo si deve forse a un motivo diverso dal semplice orgoglio imprenditoriale del suo creatore: il prezzo non era quello giusto.
A raccontare questa verità è una lettera scritta da Bernardo alla figlia Violetta nel giugno 2010, un momento cruciale per l’origine dei dissidi fra i due. Nel documento, Caprotti rivela che da alcuni mesi ha preso personalmente contatto con i vertici del gruppo belga Delhaize e che, per i giorni successivi, è riuscito a fissare un incontro con il numero uno Pierre-Olivier Beckers. Si mostra però scettico sull’esito: «Non se ne farà niente, non hanno i mezzi», scrive. Così come pare ugualmente pessimista sulle prospettive dell’abboccamento con un altro compratore, che si prepara a incontrare un mese più tardi a Amsterdam. Il nome del secondo possibile acquirente non lo fa ma il luogo del rendez-vous è rivelatore: nella capitale olandese ha infatti sede la Ahold, una multinazionale grande quattro volte l’Esselunga. Il momento, però, non appare propizio per chi deve vendere l’azienda costruita in una vita. A causa della recessione, che morde i consumi degli italiani e limita le capacità d’investimento dei gruppi internazionali, è infatti difficilissimo strappare una valutazione attraente: «Purtroppo non c’è denaro. Grandi cifre, per queste operazioni, non ci sono», dice Caprotti. Parole che suonano come una giustificazione, forse perché solo una parte della famiglia premeva per vendere.
Un ulteriore passaggio della lettera svela un altro fatto importante. E cioè che, negli anni precedenti, c’erano stati ben quattro tentativi «tutti documentati» di portare a termine la cessione. Bernardo riferisce che in alcuni casi si è visto costretto a «subire delle pesanti umiliazioni», forse perché il prezzo che immaginava di spuntare era lontano da quanto gli aspiranti compratori erano disposti a offrire. Anche qui, niente dettagli sull’identità dei gruppi che si erano ritrovati al tavolo di negoziazione. L’identikit non è però difficile, sulla base sia di indiscrezioni dell’epoca sia di altre fonti.
Un primo nome è quello dell’americana WalMart, che tenta il colpo nel 2004; un secondo è l’inglese Tesco, che un anno più tardi, al termine di una serie di colloqui in cui vengono affrontati i diversi nodi dell’operazione, invia a Caprotti un’offerta d’acquisto confidenziale, nella quale valuta l’Esselunga tra i 2,2 e i 2,6 miliardi di euro. Il valore definitivo dovrà essere fissato alla luce di una verifica più dettagliata dei conti. «Spero sinceramente che accettiate la nostra proposta, e non vedo l’ora di lavorare con lei e con la sua squadra», scrive l’allora capo del gruppo britannico, Terry Leahy. Ma la speranza si rivelerà vana.
Chi sembra arrivare a un passo da concludere l’affare è la spagnola Mercadona. Nel gennaio 2008, secondo quanto "l’Espresso" ha potuto ricostruire, Bernardo, Violetta e l’amministratore delegato di Esselunga, Carlo Salza, si recano a Madrid per incontrare il proprietario, Juan Roig Alfonso. Vengono caricati su un pullman che li porta in giro per visitare i vari negozi. Alla fine Caprotti si alza, impugna il microfono e si lancia: «Benvenuti in Italia!». Rientrati a Milano, però, l’operazione sfuma, probabilmente a causa della crisi finanziaria che si scatena nei mesi successivi. Anche se gli spagnoli ci mettono un bel po’ ad abbandonare la preda, visto che hanno mantenuto un ufficio nella metropoli lombarda fino a metà 2013, con lo scopo dichiarato di valutare possibili acquisizioni.
Stando ai documenti, dunque, nel 2010 l’Esselunga era in vendita. O, almeno, in quel periodo Bernardo si comportava come se lo fosse, pur mantenendo verso l’esterno il riserbo necessario. Difficile dire quanto fosse però convinto di questa opzione. Mentre le varie trattative vanno dissolvendosi, nella sua testa sembra infatti prendere forma un’altra idea. La proprietà degli edifici dove hanno sede alcuni dei supermercati (per la precisione 82 su 143) viene trasferita in una società immobiliare, battezzata Villata. Dal punto di vista formale, poco cambia: Giuseppe, Violetta e Marina Sylvia, la figlia che Bernardo ha avuto dalla seconda moglie, restano i proprietari di entrambe le società, divise su per giù un terzo ciascuno. Così facendo, però, il padre crea i presupposti per modificare la spartizione ereditaria che aveva pensato fin dal 1996. Come lui stesso ha raccontato di recente, va infatti da Violetta e le offre di trasferirle il controllo della Villata, se la figlia si impegna a restituirgli le quote nell’Esselunga.
Violetta rifiuta. E lo fa con due solide ragioni, come ha spiegato in un’intervista al "Corriere della Sera". In primo luogo sospetta che nello scambio ci perderebbe. Ma, soprattutto, teme che accettando metterebbe in una posizione di estrema debolezza il fratello Giuseppe. Il primogenito, che da anni ha rotto con il padre, si ritroverebbe infatti nella scomoda posizione di chi possiede una quota di minoranza in due società dove c’è un unico altro socio forte, Bernardo in Esselunga e Violetta nella Villata. «Non potevo fare questo a Giuseppe e ai miei nipoti», ha detto Violetta.
Sta di fatto che, mentre ancora cerca di convincere la figlia, Bernardo si riprende le azioni Esselunga che aveva intestato a lei e a Giuseppe. E lo fa senza neppure avvisarli. Scattano così i ricorsi al Tribunale di Milano, dove nei prossimi giorni si terrà una nuova udienza della causa promossa dai due. Ma, soprattutto, nascono interrogativi che per ora restano di risposta: Bernardo aveva un acquirente a sorpresa? Voleva far entrare in azienda nuovi soci, mai emersi in precedenza? Oppure, più semplicemente, la decisione è il frutto della frantumazione dei rapporti familiari, che lo ha spinto a cambiare gli assetti decisi nel passato? Lui, nel giorno della pensione, ha voluto rassicurare i dipendenti: «Abbiamo predisposto un futuro che mi lascia tranquillo», ha scritto. Ma i dubbi restano.