Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  gennaio 10 Venerdì calendario

LA GUERRA DEI TRENI

Lenti, scomodi, sporchi. E sempre più rari. Treni e autobus per i pendolari sono mezzi in via d’estinzione. Ogni mattina 8 milioni di persone lottano per salire a bordo. I passeggeri aumentano, perché la crisi obbliga tanti a lasciare l’auto nel parcheggio o a cercare una casa meno cara lontano dalla metropoli. L e corse invece diminuiscono, per scelta o per mancanza di manutenzione, mentre la puntualità è un’utopia. «Ogni anno accumulo 100 ore di ritardo: una punizione perché ho scelto di vivere in provincia», racconta Claudio, lavoro a Milano e appartamento a Cremona. Di chi è la colpa? Come in tutti i mali italiani, le responsabilità sono plurime (vedi box accanto). Trenitalia corre su altri binari e si concentra sui profitti dell’Alta velocità; il governo non ha soldi. E le Regioni, vere padrone del settore, usano soprattutto le forbici: hanno tagliato 700 milioni nell’ultimo triennio. Per molti governatori però non è soltanto una questione di fondi: latitano pulizia, comfort e rispetto degli orari. Per questo, in un clima da tutti contro tutti, i vertici della Toscana e del Veneto tuonano contro il numero uno delle Ferrovie Mauro Moretti. «Ai trasporti serve giustizia ferroviaria», è lo slogan del presidente toscano Enrico Rossi (vedi intervista nell’altra pagina). Mentre per Luca Zaia le linee regionali devono «assomigliare alle ferrovie giapponesi dove un minuto di ritardo significa aver fallito l’obiettivo». Per entrambi il guanto di sfida con il colosso Fs è lanciato: disdire nel 2014 il contratto e mettere il servizio a gara sperando di migliorare le condizioni per chi viaggia. «Noi di Trenitalia non abbiamo competenze dirette», replica il direttore del trasporto regionale Francesco Cioffi: «Sono le Regioni a finanziare il servizio, decidere quante carrozze far viaggiare, dove fermarsi e a che ora. Se Trenitalia nell’Alta velocità ha carta bianca, nel regionale è soltanto il gestore. Noi, in ogni caso, stiamo investendo 3 miliardi per nuovi convogli».
ADDIO ALLE AUTO
La dura realtà del pendolare italiano è però innegabile: poche carrozze e meno pullman, mentre ogni anno 200 mila passeggeri in più affollano stazioni e fermate. «Per la prima volta assistiamo a un cambio di domanda storica e invece di incoraggiare questa tendenza, viene considerata solo una spesa da sfoltire», commenta Marcello Panettoni, presidente di Asstra, l’associazione delle imprese di trasporto pubblico. «L’effetto immediato dei fondi ridotti è la drastica riduzione delle carrozze, a volte soltanto due per treno», dice sconsolato Cesare Carbonari, del comitato Torino-Milano, una delle tratte "maledette" (vedi grafico a pag. 29) che serve 20 mila viaggiatori. «Non si investe, tranne che sull’Alta velocità. A Torino dalle sei del mattino abbiamo 5 mila posti "di lusso" contro 2 mila per noi. Ma l’abbonamento per il Frecciarossa ha costi proibitivi: 300 euro invece di 130». Per i forzati dei vagoni regionali ormai il posto in piedi è una certezza.
I MURI DELLA MACROREGIONE
Tra la Lombardia e il Veneto il braccio di ferro per la soppressione di otto interregionali che collegano Milano e Venezia è durato tre mesi. Gli ultimi "low cost" con il biglietto da 17 euro, contro i 37 dell’Alta velocità, sono stati cancellati con il nuovo orario del 15 dicembre: ora bisogna scendere a Verona e prendere la coincidenza per la Laguna o viceversa per il capoluogo lombardo. I popolosi centri del Nord-Est (Treviglio, Peschiera del Garda, Desenzano insieme a altri 11 comuni dove non fermano le Frecce) sono condannati alle quattro ruote. Mentre il governatore Maroni sogna la Macroregione che abbraccia Piemonte, Lombardia e Veneto a trazione leghista, il suo compagno di partito Zaia chiude le frontiere: oltre 10 milioni di viaggiatori lombardo-veneti all’anno non sono un buon motivo per investire. «Perché dobbiamo tirare fuori noi 4 milioni per i pendolari lombardi?», sostiene l’assessore veneto ai trasporti Renato Chisso. Maroni, intanto, promette meraviglie: 62 nuovi treni in servizio sulle linee regionali. Un miracolo subito ridimensionato dal consigliere lombardo del Pd Agostino Alloni: «Di nuovo c’è ben poco: 40 su 62 erano stati già annunciati dal suo predecessore Formigoni e finora nessuno li ha visti».
C OTA SALVA SOLO LA SUA NOVARA
Non va meglio in Piemonte dove il governatore Roberto Cota ha deciso di depotenziare 28 tratte e allo stesso tempo rincarare le tariffe del 20 per cento. Per la rete locale occorrono 610 milioni di euro ma mancano all’appello 125 milioni. Così si scarica sugli utenti un servizio che arretra senza sosta: la Torre Pellice-Pinerolo chiusa, nonostante sino al 2005 le Fs avessero investito più di 5 milioni per rinnovarla. Inutilmente: ora si è passati agli autobus. Salvata invece la Novara-Varallo, che resterà attiva, ma a servizio ridotto. «I 600 mila euro necessari al suo funzionamento sono stati recuperati "saccheggiando" altri assessorati», spiega il consigliere Pd Davide Gariglio: 400 mila sono arrivati dal budget per la cultura, 100 mila dai "contributi della Provincia di Novara per i servizi su gomma" e altrettanti da quelli destinati al Vercellese. Fondi dirottati sulla città che ha dato i natali al presidente Cota. Mentre a Vercelli, a causa della soppressione delle corse extraurbane del sabato, le scuole superiori sono passate alla settimana corta.
R ISPARMI ALLA BOLOGNESE
Più di 140 mila pendolari emiliani e romagnoli sono costretti alla ritirata a causa dell’Alta velocità. Come sulla Bologna-Prato, la linea per arrivare a Firenze, chi deve varcare gli Appennini o accetta tariffe triplicate o si rassegna a due ore di viaggio a rischio di soppressioni e ritardi. Così anche sulla Modena-Carpi-Mantova e sulla Bologna-Ravenna: manca personale, si guasta una locomotiva e un collegamento viene cancellato. Un’epidemia: nei primi otto mesi del 2013 sono svaniti 7.558 treni, da aggiungere ad altri 10 mila depennati dal 2010. Oltre 17 mila convogli finiti su un binario morto, più di 5 milioni di persone lasciate a terra in nome della spending review. E le soppressioni colpiscono sempre le stesse corse. Quella delle 17.10 da Bologna, cancellata per mancanza di personale, punisce chi fa la spola tra Emilia e Veneto. Poi ci sono i ritardi: a volte superano i 50 minuti, per chi arriva dal Mantovano. Tra bagni rotti, nidi di vespe, assenza di manutenzione, il consorzio che gestisce le linee regionali ha accumulato 13 milioni di sanzioni per "non aver rispettato gli standard di qualità minimi". Andrà avanti così fino alla metà del 2014, quando ci sarà la nuova gara per questo servizio. La giunta di Vasco Errani ha messo sul piatto 153 milioni di base d’asta all’anno. «Assicuriamo 22 anni di gestione ma vincoliamo il contratto a 400 milioni di investimenti per i nuovi convogli», spiega l’assessore ai Trasporti Alfredo Peri. Una montagna di denaro per tentare di arrestare un degrado «provocato da un lato da una mala gestione, dall’altra da vagoni vetusti», ammette Peri. Il conto è semplice: dal governo di Roma arrivano 363 milioni, mentre ne servono 410. La Regione deve tirare fuori la differenza. E comunque non basta perché sono spariti con il nuovo orario i vagoni tra Modena e Sassuolo, Parma e Fornovo, Ferrara e Suzzara, sostituiti con bus. «Le percorrenze si allungano e i pendolari continuano a viaggiare come sardine sui pochi convogli sopravvissuti», dichiara Renato Golini del comitato utenti ferroviari.
S ABOTAGGI AI BUS DI PERUGIA
In Umbria la voragine nel trasporto pubblico ha creato una situazione drammatica. Dalla protesta si è arrivati persino ai sabotaggi: il 16 ottobre a Perugia sono state rubate le chiavi di quasi 70 autobus di linea. «Sicuramente è stato uno di noi», spiega un autista di Umbria Mobilità (l’azienda dei pullman e treni regionali passata da poco sotto il controllo di Trenitalia). Da mesi i 1.300 dipendenti ricevono stipendi a singhiozzo. È la reazione a catena dei tagli: i Comuni di Perugia, Terni, Spoleto non hanno versato i loro contributi, aprendo un buco di 12 milioni nella cassa collettiva. Il risultato? L’ex ferrovia umbra in un decennio è cresciuta di soli quattro chilometri e i tratti elettrificati sono una rarità con 45 motrici su 49 ancora a diesel. Ma anche le rotte dei pullman scompaiono e raggiungere Roma diventa un’avventura da Grand Tour ottocentesco. Filippo, spoletino con contratto alla Rai nella capitale, racconta il suo calvario: «Il tempo di percorrenza è aumentato di mezz’ora, significa perdere 5 ore alla settimana che devo recuperare fermandomi di più la sera».
B ATMAN BATTE I PENDOLARI
Gli investimenti danno la misura del baratro tra politica e vita quotidiana. Nel 2012 la Regione Lazio ha stanziato 32 milioni di euro per l’acquisto di nuove carrozze, contro i 35 milioni destinati alle spese folli dei gruppi consiliari. Mentre Franco Fiorito detto Batman si muoveva sulla Jeep pagata con fondi pubblici, colonne di lavoratori si sono messi in fila all’alba per raggiungere gli uffici nella capitale in un’odissea di ritardi e disservizi. Inutile protestare: con anni di mala gestione e sprechi il trasporto locale ha accumulato debiti per un miliardo di euro. Così ogni mattina 200 mila pendolari marciano lungo tre direttrici con spirito di sacrificio. A Nord c’è la lentissima linea di Viterbo, da poco elettrificata. Tempi di percorrenza estenuanti e treni fantasma: secondo il monitoraggio del comitato pendolari dal 2010 sono state soppresse 18 corse. Ancora peggio la tratta Sud, quella che collega Latina, il litorale romano e la provincia di Frosinone. Lo snodo di Campoleone (alle porte di Aprilia) è l’imbuto dove arrivano le corse da Napoli e Nettuno, una linea affollata da treni a lunga percorrenza, merci, convogli metropolitani ma considerata poco redditizia da quando c’è l’Alta velocità. L’ultima sorpresa è arrivata con il nuovo orario invernale. «Hanno soppresso altre due corse», nota Rosalba Rizzuto del comitato FR8, «e per andare a Roma ci vuole mezz’ora in più. Un disastro». Si viaggia in condizioni da Terzo mondo: «Impossibile trovare un bagno funzionante e immaginate se qualcuno a bordo si sente male».
G AZZELLA NAPOLETANA
Ogni mattina Miriana, 16 anni, si sveglia e sa che deve correre se vuole arrivare in tempo a scuola. Non è una gazzella e non vive nemmeno in Africa ma a Poggiomarino (Napoli) dove i convogli della Circumvesuviana oggi sono un miraggio. Dei 142 treni a disposizione, 92 sono in manutenzione. Il resto dovrebbe garantire spostamenti per 70 mila passeggeri al giorno, tra studenti e lavoratori. Poi ci sono i turisti, in visita a Ercolano e Pompei. Ma i vagoni circolano poco. Tutte le mattine alla stazione di Napoli Porta Nolana un altoparlante annuncia: «Causa assenza materiale rotabile vengono soppresse le corse». Per questo Miriana e i suoi amici sono dovuti correre ai ripari. Per coprire i 10 chilometri che li separa dal liceo di Sarno si sono affidati a un’azienda privata. Un servizio sostitutivo ma regolare: un pulmino con 30 posti e la puntualità garantita. A un costo di 600 euro per tutto l’anno scolastico. «L’abbonamento alla Circumvesuviana costa 170 euro», spiega la ragazza, «ma troppo spesso ci è capitato di dover tornare a casa o chiamare i nostri genitori per raggiungere il liceo». Un caso non isolato, se gli autobus privati della provincia napoletana sono diverse decine. Segno che il trasporto, da queste parti, non è più pubblico. Un nuovo business in tutta l’area vesuviana, dove rispuntano i "pulmini abusivi" proprio come nelle città africane: incassano soldi cash, senza ricevuta, una manna per gli irregolari. Mentre la Eav, la holding pubblica del trasporto campano, ha bisogno di denaro fresco. Con un deficit di oltre 700 milioni ha evitato il fallimento grazie all’intervento del ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi che ha approvato un piano di risanamento da un miliardo di euro.
DUE MILIARDI PER SEI STAZIONI
Per coprire i 100 chilometri che separano Palermo da Trapani i treni impiegano quattro ore. Per arrivare al centro dell’isola ne occorrono oltre otto: più del tempo del volo da Roma a New York. Per gli oltre 70 mila pendolari siciliani la ferrovia è una chimera. Negli ultimi due anni sono stati soppressi 6mila convogli, di cui solo 1.500 sostituiti da bus. Eppure i fondi per portare la Sicilia a livello europeo non sono mancati: nel 2001 arrivarono un miliardo e 900 milioni di euro per il raddoppio della Palermo-Messina e per la Catania-Siracusa. Dodici anni dopo, lavori al rallentatore e binario unico quasi ovunque sono la dura realtà. Invece il sogno di vedere viaggiare il tram di Palermo è costato fino a oggi oltre 210 milioni di euro, ma lieviterà superando 300 milioni. Doveva partire nel 2012, hanno già comprato le carrozze che restano ferme da più di un anno. A Catania la storia della metropolitana è diventata un’epopea. Alla fine degli anni ’80 il progetto era stimato in 1.500 miliardi di lire. Valore raddoppiato sotto il regno di Umberto Scapagnini, sindaco e medico di Berlusconi: il conto finale sfiora i 2 miliardi di euro. Modesti i risultati: i convogli passano ogni quarto d’ora nelle sei stazioni aperte lungo soltanto 3.500 metri di linea funzionanti. Soldi che forse potevano servire per dare risposte concrete al calvario dei pendolari.