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 2014  gennaio 09 Giovedì calendario

IL BELPAESE DIVORZIA A DUE VELOCIT


È mai possibile che il più alto numero di separazioni e divorzi in Italia si registri nella cattolicissima provincia di Lodi, là dove nel 1974 in molti comuni vinse il sì al referendum sull’abrogazione del divorzio? Eppure i dati dell’Istat, basati sul censimento del 2011, sono incontestabili: in testa alla classifica c’è proprio lLodi, con 98 matrimoni falliti ogni 10 mila abitanti. In fondo, invece, c’è quella di Crotone: 17 ogni 10 mila. Due province ricche in passato, Lodi per l’agricoltura e Crotone, ribattezzata la «Milano del Sud» negli anni Sessanta perché le sue fabbriche occupavano migliaia di persone, che oggi sentono il peso della crisi. Che ha effetti deflagranti anche sulla vita familiare, ma con risultati diversi. Giudici e avvocati sono concordi: nella maggior parte dei casi è la donna a decidere di troncare il matrimonio. Ma al Nord può trovare lavoro e avere un minimo di indipendenza economica, mentre al Sud spesso la separazione è un lusso che non tutte possono permettersi.
«La fragilità dei rapporti c’è in tutto il paese e Lodi ha avuto un’evoluzione diversa dalla sua storia: era una città agricola e religiosa, oggi vive di pendolarismo, la gente scopre altre realtà» spiega l’avvocato Marina Motta, la più nota matrimonialista lodigiana. «Le donne hanno una disponibilità economica che trent’anni fa non avevano, un fattore determinante nell’incremento delle separazioni. Oggi c’è molta superficialità, sia nel matrimonio che nella separazione, ma la vera novità è che si è abbassato il limite della sopportazione: la donna non accetta più una vita insoddisfacente, al contrario dell’uomo che si adagia in una comoda quotidianità».
«A Lodi è cambiato il tessuto sociale» dice Ferruccio Pallavera, direttore del Cittadino, il quotidiano della Curia: «Quando nel 1995 hanno istituito la provincia, qui c’erano 180 mila abitanti, oggi sono 230 mila. Tolti gli extracomunitari, il 12 per cento della popolazione, i nuovi arrivati si sono trasferiti dall’hinterland milanese perché da noi la vita costa meno: tutta gente che non è cresciuta nella cultura contadina della nostra terra, dove la famiglia era un valore da difendere».

Così cresce il numero dei matrimoni che vanno in frantumi, a cominciare da quelli tra italiani ed extracomunitari, che finiscono presto per la differenza di culture. C’è la signora di mezza età che si innamora del giovane artista di colore, lo sposa e viene tradita il giorno dopo; c’è il matrimonio tra il nordafricano e la bruttina, che dopo qualche mese scopre il lato oscuro del maschilismo islamico: o lui la molla alla prima protesta, o lei va disperata a chiedere aiuto ai centri di assistenza. Altre grane per il sindaco Simone Ugetti, del Pd, che ha istituito una Consulta delle famiglie e cerca fondi per trovare casa alle donne che lasciano i mariti violenti o a quegli uomini che, con la separazione, sono diventati poveri e non possono permettersi l’affitto di un appartamento.
Il presidente del Tribunale di Lodi, Tito Preioni, dà una lettura sociologica del problema: «Molte famiglie qui vivono una terribile solitudine nella quale è facile che lo stress nato dalla crisi economica si rifletta sulla vita domestica. Una volta gli uomini andavano al bar a scaricare le tensioni guardando Inter- Milan, mentre le donne si incontravano in parrocchia. Oggi manca la vita sociale: uno screzio può trasformarsi in crepa insanabile».
Questo forse è uno dei motivi principali della differenza fra Lodi e Crotone: a Nord sposi una persona, a Sud sposi una famiglia intera, pronta a muoversi come una falange armata per salvare un matrimonio in crisi. «Qui c’è ancora la famiglia patriarcale, che genera un doppio effetto» spiega Maria Luisa Mingrone, presidente del Tribunale civile di Crotone: «La donna deve subire le ingerenze dei parenti del marito, e questo diventa un diffuso motivo di separazione, ma la famiglia riesce a tenere sotto controllo tanti potenziali conflitti».
Così alla separazione si arriva di rado, anche se aumenta il numero delle giovani coppie che chiedono la consensuale dopo pochi anni. «Magari» spiega Mingrone «il loro era stato un matrimonio riparatorio, ma sono abbastanza civili: con lo stesso cuor leggero con cui si sono sposati, si separano. Diversa invece è la sofferenza dopo anni di convivenza basata sul maschilismo: ci sono donne che sopportano per 20 o 30 anni, quanto basta per crescere i figli e vederli sistemati, e solo allora chiedono la separazione».
Insomma, a Crotone le donne sopportano di più. Anche perché per una ex moglie non deve essere facile sopravvivere in un ambiente dove la vita sociale ruota attorno a famiglie legate ad altre famiglie: se c’è una cresima non t’invitano perché potrebbe essere un’offesa per la suocera. «Questo discorso vale meno per le donne delle famiglie borghesi: possono andare via o ignorare il disprezzo sociale, ma quando sei povera diventa dura» dice Katia Villirillo, separata con tre figli che ha fondato l’associazione Libere donne di Crotone. «Non c’è tutela per la famiglia monoparentale; ogni giorno continui a morire, piano piano, con la paura che ti tolgano i figli perché non riesci a dargli da mangiare».
A Lodi in tre anni il Centro antiviolenza ha raccolto invece le storie di 197 mogli che sono diventate la base per altrettante cause di separazione. Ma davanti al giudice si finisce per tanti motivi. «Sono molte quelle che, quando scoprono che il marito le tradisce, invece di far finta di niente rinunciano a una vita agiata per separarsi e vanno a fare le pulizie anche se sono laureate» spiegano le avvocate Barbara Pozzoli e Valeria Soffiantini. «Alcune lasciano il marito perché non riesce a garantire più un certo tenore di vita» spiega Pozzoli «altre perché non riescono a vivere con un uomo che non stimano più». Gli aneddoti si sprecano, raccontano: c’è una signora che, dopo la separazione, tutte le mattine si alza alle 4 per andare a lavorare a 60 chilometri da Lodi. Lui aveva perso il lavoro, ciondolava per casa tutto il giorno senza fare niente: alla fine lei ha avuto il coraggio di abbandonarlo e di chiedere una casa al comune per sé e i figli. Fa sacrifici, ma si è conquistata la libertà».
L’85 per cento delle separazioni in Italia è consensuale: dopo l’udienza che fissa i provvedimenti «provvisori e urgenti» su casa, figli e mantenimento, in un paio d’anni si può chiedere il divorzio, mentre per la separazione giudiziale occorre una vera e propria sentenza: in totale l’iter dura in media sei anni. Di solito si arriva al giudiziale, con costose perizie e rinvii all’infinito, solo quando ci sono patrimoni importanti in gioco, ma Pozzoli racconta che le è capitato di arrivare a una giudiziale «per colpa di 50 euro, perché il marito non voleva pagare alla consorte anche l’abbonamento a Sky».
La separazione arriva come una martellata nella vita di una famiglia: «Due stipendi da 1.500 euro a Lodi, dove una bella casa in centro costa 1.000 euro, consentono» dice Pozzoli «uno status da classe medio alta. Ma oggi molti sono oberati dai finanziamenti per la casa, i mobili, la tv, l’auto. Se si separano e bisogna dare anche un contributo per i minori, diventa difficile».

E se è difficile a Lodi, in Calabria dove c’è molto reddito in nero «diventa ancora più complicato ottenere un assegno di mantenimento congruo» sbotta l’avvocato Paola Garofalo. «In altri paesi c’è l’affidavit prima dell’inizio della causa di separazione: ogni coniuge indica il suo reddito e, se viene fuori che ha mentito, la bugia influisce sul giudizio del magistrato».
La pratica degli affidavit a Crotone, famosa oltre che per essere stata la patria di Pitagora per la presenza di potenti famiglie criminali? A proposito, le donne delle cosche si separano? «Difficilmente in quel tipo di famiglie ci si separa. Anche perché la moglie sa molte cose... Se non è proprio partecipe, di sicuro sa troppo» spiega sorridendo il direttore della rivista Il Crotonese, Mimmo Policastrese.

L’ultima posizione nella classifica dei matrimoni falliti non turba il sindaco Peppino Vallone, democristiano confluito nel Pd. A sentire lui, anzi, testimonia «il valore che alla famiglia viene ancora dato al Sud: molti dei nostri emigrati, perso il lavoro al Nord, stanno tornando per ritrovare la solidarietà delle famiglie. Sanno che non c’è lavoro, ma ci sono i genitori pensionati che hanno una stanza per loro». Un’analisi sulla quale concorda la parlamentare calabrese del Pd Enza Bruno Bossio: «Vent’anni fa, quando ero una giovane femminista, avrei parlato di arretratezza culturale. Oggi invece dico che qui al Sud la famiglia ha un valore che va al di là della relazione coniugale e sostituisce lo Stato sociale. Ed è la donna che per prima tutela l’equilibrio che consente la sopravvivenza del sistema».
Insomma l’ultima posizione in classifica per Crotone è un primato o un ritardo? «Da cattolico mi fa piacere che ci siano pochi divorzi, ma non sono sicuro che se ci fosse più lavoro avremmo ancora il primato» commenta Salvatore Iannotta, presidente dell’ordine locale degli avvocati. Mentre don Tommaso Mazzei, vicario episcopale per la pastorale familiare, non usa mezzi termini: «Questo ultimo posto per noi è una medaglia d’oro. Qui da noi si coglie che il divorzio è una sconfitta: chi divorzia è visto male. C’è un travaglio che dura anni. E se il sacerdote viene chiamato a mediare, il matrimonio si può salvare».
Comunque, a Crotone come a Lodi, si è dimezzato negli ultimi anni il numero delle persone che si sposano in chiesa. «È venuta meno la prospettiva del “per sempre”, la dimensione della fede, supporto per superare le difficoltà» sostiene il direttore dell’ufficio famiglia della diocesi di Lodi, don Antonio Peviani: «Non si è coscienti che la scelta del matrimonio va coltivata. Quando arrivano i figli, tutta l’energia viene indirizzata su di loro. E non si cura più la relazione tra i due sposi». Strano: un sacerdote che, in sostanza, sostiene la stessa tesi del ministro norvegese per la famiglia Solveig Horne, che di fronte al 40 per cento di matrimoni finiti con la separazione nel suo paese, ha invitato le coppie a passare almeno una sera alla settimana da giovani innamorati. Un po’ più di passione può salvare il matrimonio a Oslo: che ne diranno a Lodi e a Crotone?