Roberto Turno, Il Sole 24 Ore 9/1/2014, 9 gennaio 2014
PRIMO SÌ DELLA CAMERA AL NUOVO REGOLAMENTO: ALT MAXIEMENDAMENTI
Chissà se i mal di pancia di fine anno per l’ultima scorpacciata di maxi emendamenti e il pasticcio del "salva Roma", sono stati decisivi. E chissà se si riuscirà a farne uso già in questa legislatura, a bicameralismo perfetto ancora intatto. Certo è che, aspettando il monocameralismo nel clima imperante di anti-politica che li circonda, i partiti alla Camera si attrezzano a correre ai ripari. Non tutti, per la verità. E tuttavia, ecco pronte le prove di un Regolamento nuovo di zecca per Montecitorio. Con tanto di addio ai maxi emendamenti del Governo sia in aula che in commissione, un traffico snellito e più rispettoso del procedimento legislativo, nuove regole per porre la fiducia, tempi certi per le leggi, uno statuto dell’opposizione più solido ma che non basta mai a tutti, la trasparenza on line e via cavo dei misteriosi lavori in commissione. Perfino il falò dei costosissimi atti parlamentari su carta.
Se il mondo viaggia via web, perché non dev’essere così anche in Parlamento? E perché il Parlamento non dovrebbe «audire» i manager indicati per le società pubbliche prima di benedirli o acquisire i curricula ad esempio dei candidati alle Authority? È tutto questo che i deputati promettono di voler fare. Non tutti, per carità: gli M5S gridano alla «dittatura», Forza Italia non ha votato. voto. E però è passato il messaggio: un po’ di voglia (e dovere) di trasparenza, un pizzico di spending review che non guasta mai, un tocco di pragmatismo. Et voilà: ecco così che ieri la giunta per il Regolamento della Camera ha acceso le polveri per mettere mano al libro dei sogni (il Regolamento) che ne disciplina i lavori, fermo alla fine del secolo scorso, a 16 anni fa.
Quello che ieri i deputati devono essersi ripetuto, approvando il testo base di una riforma che covava da maggio e dalla quale solo i grillini si sono dissociati giudicando «scellerata» la fretta che gli altri partiti si sono dati – emendamenti entro fine mese – mentre Forza Italia s’è ritirata, e il Pd e la presidente della Camera, Laura Boldrini, ne esaltano le novità.
Ma tant’è, il fronte del dissenso apparentemente non ha fermato la decisione della giunta di andare avanti per cercare di cambiare in parte registro, come caldeggiato da subito dalla Boldrini. E così ora si punta a mettere mano a decine di articoli del Regolamento di Montecitorio. Il perno della svolta dell’attività legislativa sarà la valorizzazione dei lavori in sede referente in commissione, anche con la garanzia di fasce orarie quotidiane (di quale durata? per quanti giorni alla settimana?) e precise scansioni dei tempi per la presentazione degli emendamenti e perfino per il numero massimo di quelli da votare: almeno 2 per gruppo vanno però assicurati.
E già in commissione ecco il grande stop: basta ai mostri dei maxi emendamenti: «irricevibili». Come in aula, del resto. Una tagliola alle voglie di cambiare le cose da un momento all’altro e di ingrassare di commi e di articoli le leggi. Tutto questo, mentre i pareri obbligatori e quelli «rafforzati» delle commissioni non di merito, non potranno essere aggirati facilmente. Con il comitato per la legislazione – praticamente finora un perfetto sconosciuto – vedrà riconosciuto in pieno il suo ruolo: ne va della «qualità». Al tempo stesso sarà codificata l’inammissibilità degli emendamenti spacca conti in contrasto con la legge 400 del 1988, e saranno limitate fortemente le modifiche segnalabili dai gruppi parlamentari. Gruppi sui quali però la giunta ha alzato fin qui bandiera bianca: è una questione troppo «politica», la giustificazione. Anche sul voto di fiducia si cambia: ad esempio come al Senato la si voterà nella stessa giornata, non dopo 24 ore come oggi. E mai su leggi costituzionali ed elettorali: chissà se si farà in tempo già per la riforma in cantiere.
E poi la spending review: la stenografia andrà in pensione, la carta di atti e tante scartoffie pure, salvo rare eccezioni (leggi di bilancio in primis). «Demateralizzare», la parola d’ordine. Rivoluzione che in qualche modo varrà anche per i candidati a nomine governative, che saranno ascoltati ma solo per accertarne i requisiti, non i programmi. Se poi basterà a scongiurare le clientele, è tutt’altra faccenda.