Carlo Bertini, La Stampa 9/1/2014, 9 gennaio 2014
IL JOB ACT DI RENZI: ENTRO 8 MESI MENO TASSE E NUOVO CODICE DEL LAVORO
Preceduto da una sventagliata di colpi di avvertimento a più livelli, dalla sinistra del suo partito fino al sindacato già sulle barricate, in serata prende corpo il famoso «job act» di Matteo Renzi. Arriva con la e-news del segretario, che reagisce ai dati drammatici sulla disoccupazione diffusi dall’istat, preannunciando la bozza del piano lavoro che la direzione Pd discuterà il 16 gennaio.
Una bozza che introduce una piccola rivoluzione, caldeggiata fin dalla Leopolda: l’abolizione di fatto delle camere di commercio, «un segnale contro le corporazioni», oltre cento in tutta Italia, che tengono il registro delle imprese e gestiscono iniziative di promozione e formazione, considerate alla stregua di enti inutili. Ma ci sono pure le misure evocate in questi giorni: dal contratto unico all’indennità di disoccupazione, dall’obbligo di rendicontazione on line delle spese di formazione professionale ad altre novità, come l’agenzia unica federale che coordini i centri di impiego, fino alla legge sulla rappresentatività sindacale.
Insomma, è la sfida che Renzi intende trasformare nel tratto identitario della sua leadership riformista, che sarà oggetto di un incontro previsto oggi con il premier Letta e che preoccupa i suoi compagni di partito; tanto che Cuperlo avverte di esser disposto a discutere di contratto unico a tutele progressive a patto che si mantenga l’articolo 18 anche nella fase di inserimento.
Per «fermare l’emorragia dei posti di lavoro», Renzi propone un piano aperto a contributi. Il primo capitolo è l’energia: bisogna ridurre del 10% il costo per le aziende, soprattutto per le piccole. Tasse: chi produce lavoro paga di meno, chi si muove in ambito finanziario paga di più, consentendo una riduzione del 10% dell’IRAP per le aziende. «Segnale di equità oltre che concreto aiuto a chi investe». Revisione della spesa: vincolo di ogni risparmio di spesa corrente che arriverà dalla revisione della spesa alla corrispettiva riduzione fiscale sul reddito da lavoro. Si arriva all’eliminazione dell’obbligo di iscrizione alle Camere di Commercio: le loro funzioni vanno assegnate a Enti territoriali pubblici. Altra piccola rivoluzione: «Eliminazione della figura del dirigente a tempo indeterminato nel settore pubblico. Un dipendente pubblico è a tempo indeterminato se vince concorso. Un dirigente no. Stop allo strapotere delle burocrazie ministeriali». C’è poi al capitolo Burocrazia, la semplificazione amministrativa sulla procedura di spesa pubblica e l’Adozione dell’obbligo di trasparenza: amministrazioni pubbliche, partiti, sindacati hanno il dovere di pubblicare online ogni entrata e ogni uscita, in modo chiaro e circostanziato.
Il piano individua poi sette settori che saranno oggetto nel vero e proprio «jobs act» di singoli e dettagliati piani industriali: cultura, turismo, agricoltura e cibo, accorpati insieme. Made in Italy, dalla moda al design, Ict, Green economy, nuovo welfare, edilizia e manifattura. Alla fine si arriva allo spinoso tema delle regole: entro otto mesi nuovo codice del lavoro per semplificare tutte le norme esistenti. Riduzione delle varie forme contrattuali, oltre 40, verso un contratto di inserimento a tempo indeterminato e a tutele crescenti. Assegno universale per chi perde il posto di lavoro, anche per chi oggi non ne avrebbe diritto, con l’obbligo di seguire un corso di formazione e di non rifiutare una nuova proposta di lavoro.