Sergio Romano, Corriere della Sera 9/1/2014, 9 gennaio 2014
TIROLESI DI BOLZANO E PROVINCIA QUEL DOPPIO VIAGGIO BUROCRATICO
Lei ha scritto che «i suoi ospiti avevano scelto, come la maggioranza dei loro corregionali, di partire per la Germania». Ma quanti poi sono effettivamente partiti? Come potevano infatti pensare «che avrebbero vissuto in cittadine e villaggi in tutto simili a quelli in cui erano nati»? Sarebbero forse stati sloggiati i residenti di quelle cittadine per fare posto a degli estranei? Ridicolo. In tanti l’hanno capita in tempo.
Anna Glauber
glauber.lisa@libero.it
Cara Signora,
I votanti, nel referendum previsto dall’accordo Ciano-Ribbentrop del 1939, furono circa 270.000 e coloro che scelsero di andare nel Reich tedesco furono circa 185.000 (esistono cifre leggermente discordanti). Quelli che decisero di restare in Italia furono quindi più o meno ottantamila e fecero quella scelta soprattutto per ragioni pratiche. Ma non intendevano lasciarsi assimilare dalla società italiana e costituirono una lega che li avrebbe aiutati a conservare la lingua, le tradizioni, i costumi. Le partenze per la Germania cominciarono agli inizi del 1940 e interessarono circa 70.000 persone. Ma l’esodo s’interruppe non appena la guerra assorbì tutte le energie dello Stato tedesco. Dei 70.000 che si erano affrettati a partire, più o meno 40.000, dopo la fine della guerra, tornarono in Italia dove le condizioni materiali erano infinitamente migliori di quelle tedesche.
Nessuno dei villaggi promessi fu costruito, ma l’impegno assunto dalle autorità del Reich era realizzabile. Occorre ricordare, cara Signora, che molti altri Paesi europei, fra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, fecero ambiziose operazioni di ingegneria demografica. Penso alle numerose città del regime fascista, da Littoria a Carbonia, ai nuclei abitativi resi necessari dai grandi lavori pubblici del New Deal negli Stati Uniti, alle New Towns (nuove città) della Gran Bretagna dopo la Seconda guerra mondiale.
Paradossalmente la fase più complicata della questione altoatesina cominciò dopo l’accordo De Gasperi-Gruber del 1946. I due uomini di Stato si erano accordati per consentire la revoca dell’opzione a coloro che nel 1939 avevano scelto il Reich. L’offerta fu colta da quasi tutti quelli che non erano riusciti a partire e cominciò così da quel momento una laboriosa operazione. Occorreva «istruire la pratica», come si dice in gergo, allegando alla domanda tutti i certificati concepiti dalla divinità maliziosa e sospettosa dei burocrati. Una volta «istruita», la pratica approdava al ministero italiano degli Interni che restituiva al questuante la nazionalità perduta. I due uffici italiani maggiormente impegnati erano la prefettura di Bolzano e il Consolato generale di Innsbruck. Quando diventai viceconsole, nel 1955, l’operazione, grazie al Cielo, era finita. Ma vi era ancora un salone pieno di fascicoli dal pavimento al soffitto. Chissà dove sono finiti.