Ranieri Polese, Corriere della Sera 9/1/2014, 9 gennaio 2014
LABIRINTI, STORIA DI UN ENIGMA
America, nella provincia profonda un maniaco rapisce sevizia uccide bambine. Nella caccia al mostro — il film è Prisoners di Denis Villeneuve — il primo sospettato è un ragazzo che dipinge ossessivamente i muri della sua casa con labirinti. Ma forse c’è un altro colpevole nell’ombra, uno che porta al collo una medaglia con inciso un labirinto. Dalle remote lontananze dei miti ai tempi di oggi, il labirinto si associa prevalentemente a uno stato di turbamento, di inquietudine. Così fu per Teseo, il figlio del re di Atene, mandato a Creta per uccidere il Minotauro che ogni anno esigeva l’offerta di giovani ateniesi. Il labirinto è una figura che accompagna tutta la cultura occidentale, contagiando poeti e artisti, fino a diventare elemento decorativo di giardini a partire dal Cinquecento. Lo si ritrova in canzoni (da Adamo, con Non voglio nascondermi , a Elisa, con Labyrinth ) e in film (da Pedro Almodóvar, in Labirinto di passioni , 1982, a Il labirinto del fauno di Guillermo Del Toro, 2006).
C’è chi, come Franco Maria Ricci, ha dedicato anni e sforzi copiosi per la costruzione di un labirinto vegetale a Fontanellato in provincia di Parma. Otto ettari di terreno, un percorso di tremila metri, centoventimila bambù di trenta specie diverse, e due complesse costruzioni destinate, una, a ospitare la collezione bibliografica e artistica di Ricci, l’altra adibita a spazi culturali e commerciali per i visitatori. Dedicato a questa impresa, esce ora il libro Labirinti — Rizzoli — con testi di Ricci, Giovanni Mariotti, Luisa Biondetti e una introduzione di Umberto Eco.
Al suo «tardivo esordio da saggista», Giovanni Mariotti, narratore — Storia di Matilde , Il bene che viene dai morti premio Bagutta 2011 — e da oltre quarant’anni collaboratore di Franco Maria Ricci, risponde alle nostre domande. Cominciamo dalla parola, labirinto : «Per qualche tempo si è detto che labirinto derivava da labrus , ascia bipenne, ma questa etimologia non convince più. La mia congettura è che il Labirinto di Creta non sia mai esistito, sia una cosa mentale, come l’Inferno di Dante o la Biblioteca di Babele di Borges. In un dialogo platonico, o pseudoplatonico, il Minosse , Socrate definisce il mito del Labirinto una leggenda attica messa in giro dai tragici. Nella mia interpretazione il Labirinto è una sorta di Bastiglia: a violarlo è Teseo che, conviene ricordarlo, è anche il fondatore mitico della democrazia ateniese. Il 14 luglio a Parigi si balla per le strade, e anche la vittoria sul Labirinto era commemorata con una danza chiamata delia, o danza delle gru».
Qual era la forma del labirinto greco? «Bisogna distinguere il Labirinto come edificio e il Labirinto come motivo grafico. Nessuno — aggiunge Mariotti — ha la minima idea di come fosse fatto l’edificio; quanto al motivo grafico, la versione greca ha sette spire. La spirale in effetti è all’origine del Labirinto; ma un grafico geniale introdusse in quel motivo, già noto agli aruspici babilonesi che lo usavano per rappresentare le viscere compresse degli animali, una variante stupefacente: prima di raggiungere il centro, nei cui pressi chi percorreva un labirinto si trovava sin dal primo momento (quello dell’ingresso), era necessario allontanarsene non una, ma due volte. In quel percorso capzioso, alla Escher, molti nel corso dei secoli avrebbero visto un avvertimento: il mondo era complicato, andare diritti allo scopo non era possibile, per dirla con un verso di Pasternak, vivere una vita non è attraversare un campo. C’era un’altra caratteristica: quel percorso era complicato però unico, nessun rischio di perdersi, niente bivi o vicoli ciechi; se il Labirinto di Creta fosse stato fatto così Teseo non avrebbe avuto alcun bisogno del filo di Arianna. E qui incontriamo la più grande stranezza: si direbbe che per secoli nessuno si sia accorto che il labirinto grafico, quello univiario, non poteva essere quello del mito. Secondo grandi studiosi come il Kern, la differenza sarebbe stata percepita solo nel XX secolo. Però non è vero. Mi faccio un piccolo vanto d’avere scoperto un brano dove il Boccaccio, nel Commento alla Divina Commedia , mostra di esserne perfettamente cosciente».
Più tardi ci saranno labirinti molto meno semplici. «Nell’età del Manierismo, in pieno Cinquecento — continua Mariotti —, si afferma il labirinto multiviario, quello con vicoli ciechi e biforcazioni. Prima occorre fare un cenno a quello romano, con quattro labirinti intercomunicanti. Era un intrico spogliato di ogni connotazione ansiosa; situato all’ingresso delle grandi domus, era destinato a scoraggiare ladri e altri malintenzionati». Anche i cristiani adottano la figura del labirinto. «Che stavolta ha undici spire. Si tratta ancora di un labirinto univiario. Gesù aveva detto: Io sono la Via, e dunque la via era una, non ce ne poteva essere un’altra».
La prima testimonianza di labirinto multiviario, con bivi e vicoli ciechi, è il disegno di un olandese. «Si tratta della copia di un progetto per giardino di Palazzo Te a Mantova — specifica Mariotti —. Quel progetto non fu mai realizzato; ma poco dopo, tra Sei e Settecento, si sarebbero sviluppati da un capo all’altro dell’Europa i grandi labirinti arborei (labirinti da giardino), quasi tutti multiviari. Luoghi di divertimento e piacere per dame e cavalieri, con i loro anfratti offrivano spazi propizi alla solitudine e alla meditazione, ma anche a incontri erotici (quello di Schönbrunn a Vienna fu distrutto nell’Ottocento perché era diventato uno scandaloso ritrovo di coppie). L’arbusto classico è stato per molto tempo il bosso (il recente labirinto dell’Isola di San Giorgio a Venezia, dedicato a Borges, è fatto di siepi di bosso), ma oggi si sperimentano anche altri vegetali; Ricci usa il bambù; in Francia, a Reignac-sur-Indre, esiste un labirinto di mais; il disegno viene cambiato ogni anno».
C’è molta letteratura sui labirinti, a cominciare dagli antichi. Mariotti cita Borges quasi di continuo: «Di labirinti Borges ha parlato per tutta la vita ed è l’ispiratore e un po’ il Santo Patrono di quello di Ricci; cito anche altri autori — Italo Calvino, autore del saggio La sfida al labirinto , Umberto Eco, che ha inventato il labirinto-biblioteca de Il nome della rosa , Julio Cortázar, autore di una pièce teatrale ambientata alla corte di Minosse, Lo reyes … — che sono stati amici di Ricci e hanno contribuito al suo catalogo; ma il personaggio del Minotauro ha offerto materia anche ad altri scrittori, nel secolo scorso: Friedrich Dürrenmatt, la Yourcenar… Retrocedendo nel tempo, una potente esplorazione delle fogne di Parigi considerate come labirinto si trova ne I miserabili di Victor Hugo; e il Verne del Viaggio al centro delle terra ci offre immagini di quelle diramate cavità sotterranee attraverso cui, ne sono convinto, l’idea di labirinto si aprì per la prima volta un varco nella mente degli uomini. Oggi quel varco è mantenuto aperto da molte altre cose: per esempio Internet».
Dunque, per lei cosa significa il labirinto? «Da un lato è il contrario della felicità — risponde Mariotti —, che è legata al fluido. Per Leopardi gli uccelli sono le più liete creature del mondo; il filosofo taoista Zhuang-zi parla della gioia dei pesci… Felicità è potersi muovere in tutte le direzioni, in un ambiente privo di ostacoli. Così almeno ce la rappresentiamo; il labirinto invece propone strade e passaggi obbligati, sovverte i percorsi, ci trasmette una sensazione di incertezza. In un’epoca come la nostra, in cui i navigatori satellitari ci guidano infallibilmente verso la meta prescelta, i nuovi labirinti ripropongono, sotto forma di gioco, un luogo dove ci si può perdere. In un tempo lontano questo metteva paura, oggi no, o di meno; però provoca un piccolo brivido, che i francesi chiamano frisson . Senza frisson , niente labirinto. Senza frisson può esserci felicità, ma non c’è piacere».
Il Minotauro, figlio degli amori tra la regina Pasife e un toro, viveva rinchiuso nel labirinto costruito da Dedalo. Ucciso il mostro, uscito dall’intricato percorso grazie all’aiuto della principessa Arianna, Teseo torna ad Atene (strada facendo però abbandonerà la sua salvatrice sull’isola di Nasso), ma non sarà un ritorno felice: non cambiando il colore delle vele, provocherà la morte del padre Egeo che si uccide pensando che anche il figlio sia stato ucciso dal Minotauro.