Massimo Vincenzi, la Repubblica 9/1/2014, 9 gennaio 2014
SEGNALI DI FUMO – [LIBERA ERBA IN LIBERO STATO]
Kathie ha un piccolo negozio di profumi e incensi nel Village nella parte bassa di Manhattan, tra gli scaffali colpisce una bomboletta spray con stampato sull’etichetta l’inconfondibile foglia di marijuana, la scritta aiuta anche i più distratti a capire: “L’ideale per coprire certi aromi”. Impensabile sino a qualche mese fa, impossibile sino a qualche anno fa: le valanghe iniziano dai granelli, le rivoluzioni dai dettagli ed è uno smottamento sociale quello che sta avvenendo in America con la droga leggera che passa da “nemico pubblico numero uno”, secondo la definizione di Nixon e degli amanti della tolleranza zero, a piacevole svago “meno nocivo dell’alcol e del tabacco”. Ventuno Stati ne legalizzano l’uso terapeutico, New York è l’ultimo arrivato, Colorado e Washington ne autorizzano la vendita a livello ricreativo (altri quattro, dalla California all’Arizona stanno per fare lo stesso a breve) e il fumo arriva sino in Uruguay dove l’erba è diventata di proprietà del governo (con tanto di voglie antiproibizioniste anche in Italia).
Negli Stati Uniti i sondaggi non lasciano dubbi, l’ultimo è della Cnn: il 55% degli americani è a favore della completa legalizzazione, solo il 44% rimane contrario, ma tra i giovani i numeri salgono ancora con i sì che arrivano al 67% e sono al 64% se si rimane sotto la soglia dei 49 anni. Il dato più significativo è che meno di uno su tre degli intervistati la considera moralmente sbagliata, nel 1987 il verdetto era l’opposto con il 70% pronto a condannarne l’uso.
In più per la maggioranza non ha effetti nocivi sulla salute e non conduce alle droghe più pesanti. Ma altre rilevazioni hanno cifre ancora più chiare con punte di consenso che arrivano a sfiorare il 60%. «L’atteggiamento nei confronti dell’erba è completamente cambiato: non è più un tabù, fa parte del costume»: spiega nel suo programma Keating Holland, che dirige i sondaggi per la Cnn. Si fuma dopo cena, si fuma fuori dai bar facendo solo attenzione che non ci sia un poliziotto troppo vicino, fumano studenti e professori universitari: nei corridoi dei palazzi l’odore acre si mischia con quello dei cibi etnici. Attori e cantanti sono i primi ad intercettare il cambio di immagine: Rihanna batte tutti con i suoi tatuaggi espliciti e la collezione di foto su Instagram dove si concede uno spinello dopo l’altro. Ma iniziano a muoversi anche i politici, quelli democratici in testa: per la prima volta nel prossimo anno saranno molti i candidati a varie cariche che scendono in campo usando come cavallo di battaglia il loro appoggio alla legalizzazione delle droghe leggere. Non un generico sì a quella medica (per il quale ormai oltre l’80% è a favore) e nemmeno la richiesta di attutire le pene per i consumatori, ma proprio una totale e radicale modifica della legge in senso antiproibizionista. «Non ho mai visto una cosa del genere, il mio telefono suona di continuo: tutti vogliono il nostro endorsement, ci chiedono consigli, ci vogliono ingaggiare. E’ una svolta epocale, entusiasmante»: spiega Erik Altieri, il direttore della comunicazione della Norml, l’organizzazione che lotta per la riforma della legge sulla marijuana. Poi aggiunge quasi incredulo: «I progressisti sono ovviamente in prima fila, ormai fanno a gara per superarsi a sinistra con le proposte più liberiste». I candidati in corsa per il posto da governatore nel Maryland e in Pennsylvania sono stati tra i primi ad avere il via libera dalla lobby che diventa ogni giorno più potente. «Non sono affatto quattro studenti universitari che sognano il fumo libero, ma sono esperti, avvocati, ricercatori che studiano il problema, hanno un approccio razionale e valutano i pro e i contro con grande intelligenza», racconta un’inchiesta di The Atlantic. E la loro azione in effetti rifiuta gesti clamorosi: niente canne in strada, niente magliette o altre uscite ad effetto, ma un vero lavoro di lobbying. «Abbiamo imparato dai nostri errori e copiamo quello che hanno fatto i nostri colleghi delle associazioni per i matrimoni gay: presto vinceremo anche noi la battaglia», dice ancora Altieri.
Un cambio culturale profondo: Sanjay Gupta, il medico star della Cnn, pubblica un documentario dove chiede scusa per la sua passata opposizione all’uso medico dell’erba: «Per oltre 70 anni ci hanno raccontato bugie, anch’io sono stato colpevole di crederci e le ho diffuse. Adesso dopo aver studiato a fondo il problema devo fare ammenda: la marijuana è spesso l’unico vero rimedio per chi soffre». E subito lo applaude il professore Carl Hart della Columbia University che spopola nei talk show: «E’ stato coraggioso e onesto. Io stesso ho analizzato per vent’anni il problema: vengo dal ghetto e pensavo la droga fosse l’origine di tutti i mali. Non è così: i mali sono la disoccupazione, la povertà e le politiche sbagliate sugli stupefacenti».
L’onda travolge le voci contrarie. David Brooks, editorialista del New York Times, prova a dissentire: «Deve rimanere illegale, lo Stato deve avere altri obiettivi, altri scopi. I ragazzi che fumano hanno problemi cognitivi, rischiano la vita in auto e vanno incontro a pessime esperienze». Sul sito del giornale è un pioggia di commenti negativi ai confini dell’insulto: «Non hai capito niente. E che dici del fallimento della guerra alla droga? Sei fuori dal mondo» è il tenore dei lettori, poche le voci in sua difesa. E non importa se molti esperti lanciano l’allarme. L’ultima statistica indica che il consumo è in continuo aumento tra i giovani: il 36% dei liceali fuma, il 60% è sicuro che male non fa. «Questo sdoganamento provoca un danno pesantissimo, passa un messaggio sbagliato che non provochi danni e che sia normale usarla. E con il via libera all’uso ricreativo andrà sempre peggio», scrive nel suo rapporto annuale Nora Volkow che dirige il National Institute on Drug Abuse.
Ma niente può fermare la rivoluzione, soprattutto se fa rima con affari. Nella prima settimana di spinello libero in Colorado i 37 negozi che hanno ricevuto la licenza incassano 5 milioni di dollari. Tim è proprietario di uno dei più grandi, al telefono fatica a trattenere la gioia: «Ogni giorno ho la fila davanti alle mie vetrine, nemmeno adesso con il freddo glaciale i clienti diminuiscono. E’ una festa». Il fatturato previsto per la fine del 2014 sarà di 600 mil ioni, un affluente di un oceano in continua crescita: l’anno scorso, con in vendita solo quella per uso medico, l’industria della marijuana valeva 1,43 miliardi di dollari, tra dodici mesi la cifra crescerà del 64% per arrivare a oltre 3 miliardi. «E’ il mercato più in espansione negli Stati Uniti, presto supererà quello degli smartphone» rivela l’Huffington Postcitando un rapporto segreto di analisti finanziari. E con la legalizzazione totale in arrivo in almeno altri 14 Stati, il volume di affari arriverà nel 2018 a superare quota 10 miliardi. Tanto che il Dipartimento del Tesoro e quello della Giustizia stanno già studiando come cambiare la legge per consentire alle banche di maneggiare questa enorme quantità di denaro senza incappare nell’accusa di riciclaggio, prevista oggi per chi tocca soldi provenienti dal commercio di droga: «In questo settore stanno confluendo investitori da tutti gli altri campi dell’economia, serve al più presto un regolamento che ci tuteli: produciamo reddito, posti di lavoro, paghiamo le tasse e dunque vogliamo essere trattati come tutti gli altri. Vogliamo poter svolgere il nostro lavoro senza problemi»: spiega al Wall Street Journal, Aaron Smith, presidente della National Cannabis Industry Association. Oltre alla vendita e alla coltivazione cresce l’indotto, nascono start up che creano nuovi prodotti: dalle pipe elettroniche a fornelletti vari, design ultramoderno e niente nostalgie hippie per questi imprenditori che, come i colleghi della Silicon Valley, vanno a caccia di fondi per realizzare le loro idee e sempre più spesso li trovano: «Siamo seduti su geyser, bisogna essere pronti a sfruttare l’esplosione» racconta a Forbes uno di loro.
Eric Altieri fa fatica a rispondere a tutte le e-mail che riceve: «Il 2014 sarà un grande anno, l’anno in cui diventeremo ancora più grandi», giura. Kathie prende altre bombolette con la foglia e le piazza sullo scaffale: «Dicono che presto la legalizzeranno anche a New York come a Denver, dicono che si fanno un sacco di soldi, io e mio marito stiamo pensando di investire in questa attività: alla gente piace da matti fumare». Non andrà proprio così, non subito almeno, ma tra le volate di fumo aspro è impossibile distinguere i sogni dalla realtà.