Federico Fubini, la Repubblica 9/1/2014, 9 gennaio 2014
LA SINDROME GIAPPONESE
I BANCHIERI centrali che si riuniscono oggi a Francoforte per il vertice della Bce hanno di fronte a sé un problema che non figurerà all’ordine del giorno: stanno fallendo. O rischiano seriamente di farlo, con conseguenze tragiche per decine di milioni di lavoratori e milioni di imprese nell’area euro.
FALLIMENTO è un concetto elusivo in un sistema ricco di opinioni diverse come l’Europa: ogni volta che la Bce prende una decisione, o la evita, immancabilmente piovono fischi e applausi da campi diversi. Il Sud Europa chiede più sostegno dall’Eurotower, mentre molti in Germania diffidano del suo presidente e lo criticano ferocemente ogni volta che presenta un taglio dei tassi o una scelta che può ridurre gli spread per l’Italia o la Spagna. Su questo punto Mario Draghi, incalzato dal settimanale tedesco Der Spiegel, si è lasciato andare a uno sfogo un paio di settimane fa: «Di cosa non ci hanno accusato? Quando abbiamo dato liquidità supplementare alle banche europee è stato detto che ci sarebbe stato un tasso di inflazione elevato. Non è successo nulla», ha ricordato Draghi. Per poi continuare: «Ogni volta si è detto: per la miseria, questo italiano sta rovinando la Germania. C’è un’ansia perversa che le cose vadano male».
In un campo minato del genere il solo modo sicuro di misurare un successo o un fallimento resta dunque quello delle regole. Nero su bianco, nei testi di legge costituzionale. L’unione monetaria è fondata su quelle e, al suo interno, lo è anche la Bce perché il suo compito è definito all’articolo 127, comma 1 del Trattato: «L’obiettivo primario del Sistema Europeo delle Banche Centrali è mantenere la stabilità dei prezzi». Quest’ultima viene legalmente definita dalla stessa banca centrale come «il mantenimento di tassi annuali d’inflazione inferiori ma vicini al 2% nel medio termine».
Se questo è il criterio con forza legale, la banca centrale lo manca in pieno e in misura crescente. È appena il caso di ricordare perché: il tasso d’inflazione nell’area euro a dicembre è sceso allo 0,8% e addirittura allo 0,7%, se si guarda ai beni e servizi più stabili che costituiscono lo zoccolo dei prezzi. Oggi nell’area euro nove paesi, Italia inclusa, presentano ritmi di aumento del carovita sotto all’1%; Spagna, Portogallo e Irlanda viaggiano vicinissime allo zero; Grecia e Cipro versano già in deflazione, cioè sono soggette a una contrazione dei prezzi. E le sole economie che più o meno centrano l’obiettivo della Bce (“vicino al 2%”) restano Finlandia e Estonia, che insieme pesano per lo 0,6% del paniere totale di Eurolandia.
L’economia europea viaggia sempre più lontano dalla rotta che i governi e i parlamenti eletti avevano incaricato la Bce di assicurare. Invece di stabilità dei prezzi, una maggioranza dei Paesi assiste a una loro progressiva erosione. Restasse qualche dubbio in proposito, lo dissipa un’occhiata al secondo criterioguida della banca centrale, quello della liquidità. Il credito alle imprese è in contrazione in quasi tutti i Paesi, Germania inclusa, mentre per l’Italia o la Spagna cade a velocità senza precedenti. La massa di moneta circolante viaggia ad appena la metà del livello che la Bce stessa dichiara di volere. Alla vigilia degli esami europei sulle banche, su gran parte del continente sta scendendo una gelata finanziaria e dei prezzi.
A prima vista ciò non sarebbe in sé un male, visto che un andamento del genere equivale a un maggiore potere d’acquisto per le famiglie. L’esperienza del Giappone negli anni ’90 rivela però tutti i rischi di una depressione dei prezzi, che diventa difficile da sradicare quando mette le radici. Le famiglie prevedono sconti maggiori in futuro, dunque rinviano gli acquisti e paralizzano i consumi. Le imprese rinunciano a investire perché temono di vendere i loro beni e servizi domani a prezzi più bassi del costo di produrli oggi. La domanda crolla e le economie si contraggono. Di conseguenza, i debiti pubblici e privati diventano sempre più pesanti rispetto al fatturato. E senza inflazione che erode il valore reale degli oneri da ripagare, il peso degli interessi passivi è sempre maggiore: lo spread Bund-Btp a 200 punti oggi risulta più pesante da sostenere per il governo rispetto a come fosse solo due anni fa.
Nella primavera-estate del ’94 il Giappone scivolò in deflazione quasi all’improvviso. Poiché la psicologia umana incide sui prezzi e notoriamente può sterzare di colpo, la caduta in deflazione di solito non avviene in modo graduale. Il tuffo sottozero è subitaneo. Nelle economie più deboli di Eurolandia ciò distruggerebbe imprese, lavoro e metterebbe a rischio la tenuta del debito.
Per ora però la Bce però esita a reagire con forza: l’Eurotower vuole evitare nuove accuse in Germania prima che la Corte costituzionale tedesca si pronunci sulla legalità del suo piano di acquisto di bond sovrani che salvò l’euro nel 2012. In piena contraddizione con la sua indipendenza, la Bce dà l’impressione di essere ostaggio dei malumori dell’opinione pubblica tedesca e dei suoi giudici costituzionali. Nel 2012 Draghi dichiarò che la banca avrebbe fatto “qualunque cosa” per preservare l’euro. Oggi è tempo che dica che lo farà anche per evitare la deflazione: legalmente, è il suo compito.