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 2014  gennaio 09 Giovedì calendario

E ADESSO TUTTI DICONO: “CHI?”


LA COMUNICAZIONE politica ha già in sé qualcosa di pappagallesco, per cui tutti si copiano e si ripetono senza alcun ritegno.

MA NELLA stagione del pensiero corto e del tempo breve, per non dire del perpetuo carnevale che impreziosisce le cronache social e di Palazzo, certe parole, certe espressioni, certe sincopate insolenze tipo «Fassina chi?» vanno a tal punto per la maggiore da sfuggire all’utilizzatore iniziale, e allora diventano contagiose, anzi virali.
Matteo Renzi può considerarsi fiero di questa epidemia che in qualche modo attesta l’energetico primato della sua popolarità ricreativa. Così ieri era tutto un fiorire di «Questo chi?» e »Quello chi?», e seppure la vignetta pubblicata lunedì scorso da Staino sull’Unità faceva sorridere indicando i vari componenti della nuova segreteria renziana, non proprio conosciutissimi - «Morani chi?», «Bonaccini chi?», «Taddei chi?» - per il resto il contagio suonava sconsolatamente prevedibile, a partire dall’hashtag #SaccomanniChi? fino all’assessore leghista al Turismo e Sport di Monza, Andrea Monti, che ha preso di petto il regista del «Capitale umano» con uno scontatissimo «Paolo Virzì chi?».
Più spassosa, pur nella sua stralunata irrilevanza, l’avventura o forse lo scherzo che ha coinvolto un parlamentare grillino piuttosto aitante, il cittadino Di Battista, al quale è stato fatto credere che Berlusconi lo volesse incontrare. Il cinquestelle deve aver abboccato, o forse il Cavaliere, che resta il Signore della Meraviglia, per interposta persona gli aveva offerto qualche disponibilità. I passaggi della vicenda sono ancora controversi, non si è purtroppo in grado di appurare la verità, ma se non altro l’aneddoto illustra il modo in cui i rappresentanti delle assemblee elettive passano il loro tempo. Sia come sia, rispetto a qualsiasi apertura o chiusura, Berlusconi, o chi per lui (nel caso specifico l’ex sottosegretaria alla Giustizia Jole Santelli, in sede Facebook) ha colto al volo l’opportunità per rispondere: «Di Battista chi?». E chi lo conosce?
La faccenda esula ovviamente dal «Carneade, chi era costui?» con cui si apre il VII capitolo dei Promessi sposi, ma è impossibile ricostruire genealogie o primogeniture del «Chi?». A parte il «Michele chi?» con cui il presidente Rai Enzo Siciliano incautamente liquidò Santoro, e che in seguito divenne il titolo dell’acerba autobiografia del conduttore (Baldini&Castoldi, 1996), vale qui ricordare l’ex governatore di Bankitalia Fazio, che a Francoforte, nel 2004, seccato per le critiche dell’allora presidente del Senato sull’impiccio Parmalat, replicò: «Pera chi?». Ancora più significativa, tuttavia, la reazione di un maestro del tele-discredito come Emilio Fede che una sera, stuzzicato da Nichi Vendola, si affacciò dallo schermo e con aria schifata: «Vendola chi? Quello con l’orecchino sul coso che pendola, sul pendolo?» Pausa: «E’ un poveretto ».
Dal che si è portati a ritenere che il motore neanche troppo segreto del «Chi?» è il fastidio. Ma per essere innescato al meglio, tale stato d’animo deve combinarsi con una grande considerazione di sé, leggi pure narcisistica e carburarsi con una spontanea vocazione al dileggio, sia pure del genere affabile-autoritario in voga nel XXI secolo (vedi: «Homo comicus. O l’integralismo della buffoneria» di Francois L’Yvonnet). In questo senso merita senz’altro maggiore attenzione il risolino compiaciuto che Renzi si è lasciato sfuggire dopo la battuta su Fassina, e la velocità con cui si è rivolto al giornalista quasi intimandogli di passare ad un altro argomento.
Ciò detto, il «giochino», motto superbamente matteiano, colpisce, ha successo e si propaga perché va dritto al cuore di quest’epoca post-ideologica che, fertilizzata a colpi di talk-show e di reality, consuma, digerisce e volge in scarti comunicativi e bulleschi qualunque opinione, sentimento o virtù. In altre parole: chi si sente ormai arrivato, popolare, superiore, ha il diritto non solo e non tanto di maltrattare gli avversari, ma li dichiara del tutto sconosciuti, quindi inesistenti, e per taluni addirittura morti.
Anni e anni di agognata visibilità hanno dunque prodotto una arcaica evoluzione e una turboregressione del vecchio e oggi ridicolo «Lei non sa chi sono io!». La più spericolata mancanza di cultura e umiltà facilita senz’altro il disastroso processo nel potere; e come si dice in questi casi, purtroppo il bello deve ancora venire.