Federico Corona, Chi 8/1/2014, 8 gennaio 2014
FABRIZIO CORONA LE MIE LETTERE DAL CARCERE
MILANO GENNAIO
Ci sono momenti nella vita in cui devi fare i conti con te stesso. Inevitabilmente. Per quanto si provi a cercare un comodo appiglio non esistono soluzioni alternative, sentieri paralleli, uscite d’emergenza. Ci sei tu e il tuo io più profondo, quello con cui si entra in contatto quando il mondo intorno a te comincia a pesare come un macigno sulla testa. E sono proprio quei momenti, quelli in cui sconforto e angoscia ti divorano le viscere, che si distinguono gli uomini. Chi si lascia demolire e chi, invece, reagisce.
Fabrizio Corona, mio fratello, ha reagito. E lo ha fatto in silenzio, per una volta. Non ha sbraitato davanti a una telecamera con gli occhi infuocati, non ha preso a male parole nemici e accusatori, non ha messo sottosopra la sua piccola e fredda cella, ma ha preso carta e penna e ha iniziato scrivere. Fiumi e fiumi di parole, senza sosta. Un meccanismo automatico di autodifesa per spurgare la propria afflizione, conseguenza di un accanimento giuridico sotto gli occhi di tutti. Fabrizio sentiva il bisogno di raccontare. Voleva descrivere con le parole quello che con le parole è impossibile descrivere dettagliatamente: i sentimenti. Lo ha fatto narrando la quotidianità carceraria e ripercorrendo la sua vita attraverso lettere alle persone care. Dai ricordi di nostro padre, uomo unico ed esemplare, il Virgilio che ci ha indicato la strada giusta e che, come i migliori, ci ha salutato anzitempo. Passando dall’amore con Belen, folle e turbolento, mediatico e riservato, accecante e controverso, ma estremamente carico di passione. Fino ad arrivare alla lettera a Nina, la madre di suo figlio, la persona con la quale, anche a causa dell’opportunismo di alcuni media, le diatribe sembrano non avere fine.
Ogni volta che mi consegnava una pagina, era come se mi stesse consegnando una parte di sé. Erano i suoi occhi a dirmelo e attraverso questi appariva chiaro il suo desiderio di aprirsi al mondo e comunicare. Fabrizio si è voluto spogliare. Via la maschera, via i vestiti da supereroe. Sul piatto, questa volta, solo autenticità. Quella che negli ultimi anni è stata troppo spesso relegata in panchina. Ha riportato i suoi pensieri e le sue pulsioni su quei fogli, senza filtro. Una centrifuga di emozioni che dovevano a ogni costo essere condivise, scongiurando il rischio di rimanere incatenate nell’intimo di Fabrizio, dove in questo momento lo spazio è circoscritto. È stato partorito così Mea culpa – Voglio che mio figlio sia orgoglioso di me. È nato dal grembo dell’anima di un uomo, che si è ritrovato a oscillare sull’orlo di un precipizio, dopo una vita, o meglio, una parte di vita, vissuta a cento all’ora. E, dopo lo schianto, le lacrime e una vita spezzata, Corona vuole reinventarsi, vuole ritrovare se stesso. Vuole essere finalmente Fabrizio.