Maurizio Gallo, Il Tempo 8/1/2014, 8 gennaio 2014
STUPRI, RISSE, BABY GANG E OMICIDI IL BIENNIO PEGGIORE DI «TORBELLA»
Un deserto di cemento grigio a venti chilometri dal centro della Capitale. Un quartiere residenziale pubblico, secondo la definizione di sociologi e urbanisti, che ha tradito l’idea fondante di «integrazione totale» per diventare un’«isola dormitorio» che fornisce invisibilità e immunità alla criminalità. Anche se i «cattivi» sono pochi e i «buoni» subiscono in silenzio, pur rappresentando la stragrande maggioranza dei 28 mila abitanti. E così, fra le torri di quindici piani con gli ascensori perennemente rotti, grattacieli inumani che sembrano fatti apposta per isolare ed emargininare, i citofoni bruciati e fatti a pezzi per dispetto, a Tor Bella Monaca la delinquenza fiorisce indisturbata. Da decenni. Solo a tratti, quando la violenza offre alla cronaca cruenti episodi di sangue, le condizioni dell’agglomerato urbano sul lato nord della Casilina finiscono sotto i riflettori di stampa e televisione. Per poi tornare velocemente regno del buio, dell’indifferenza e della paura.
Accade in queste ore, dopo il ferimento del diciassettenne in via di Villa Abate, ed è accaduto più volte negli ultimi anni. Episodi spesso feroci, come quello dell’11 gennaio 2011, quando un’ottantenne invalida al 100% («Torbella», come la chiamano i romani, ha la più alta incidenza di residenti disabili della città) venne massacrata con una mazza di baseball per beghe familiari. O quando, era il 4 aprile dello stesso anno, due bande di nigeriani si affrontarono per strada a colpi di machete. Erano di «Tbm» due dei picchiatori che spedirono in coma a giugno il musicista Alberto Bonanni e avvenne sempre lì, era il 17 settembre, il ferimento di una ragazzina di dieci anni durante una sparatoria tra pregiudicati a largo Mengaroni. Nell’arco di quei 12 mesi si registrarono ancora ferimenti, gambizzazioni, rapine in serie che causarono anche la serrata dei commercianti, arresti per spaccio su una piazza paragonata per molti versi alla famigerata Scampia partenopea, con tanto di «vedette» per dare l’allarme all’arrivo di polizia o carabinieri. Molti dei «fattacci» di nera, infatti, hanno come movente il controllo delle piazze dello spaccio, contese fra gang di trafficanti che una volta si limitavano al pestaggio e oggi non esitano a premere il grilletto di una calibro 9. Ma a Torbella si spara anche per meno, come successe il primo novembre 2011 a un pugile e «buttafuori» di 31 anni, Massimiliano Cogliano, ferito da in via Aspertini da alcuni dei nove proiettili esplosi contro di lui (dietro, probabilmente, c’era una lite davanti alla discoteca). O il 24 dicembre, giornata che vide il ferimento di un pregiudicato cinquantenne sempre a pistolettate. E ancora: in via dell’Archeologia, il 6 aprile del 2012, fu colpito da una pallottola un ventenne. E operava anche nel «quartiere delle torri» la banda camorrista di narcotrafficanti sgominata lo stesso anno. Neanche nel 2013 «Tbm» si è fatta mancare gambizzazioni (il 28 febbraio toccò a un 25enne, il primo marzo ad altri due giovani), aggressioni e arresti per spaccio di stupefacenti.
I periodici blitz di polizia, carabinieri e fiamme gialle hanno spedito in galera decine di persone. Ma la violenza e il traffico di droga sembrano non avere fine. Perchè il semplice approccio repressivo non è sufficiente, manca una politica socio-urbanistica che riqualifichi la zona e le permetta di uscire dall’isolamento. «A differenza di altri quartieri, come ad esempio Centocelle - spiega il sociologo Maurizio Fiasco - è fallito il tentativo di creare un tessuto connettivo, di creare luoghi di ritrovo, aprire cinema, negozi, biblioteche, lasciando che restasse una zona puramente residenziale e non vissuta, quindi abortendo il senso di appartenenza al territorio che spinge a un controllo da parte degli abitanti. Questo facilita forme di invisibilità della criminalità, tanto è vero che molti malavitosi meridionali si sono insediati nelle periferie romane. L’idea iniziale di una quartiere integrato che avesse tutto il necessario per viverci e per stabilire relazioni con gli altri non era sbagliata - continua Fiasco - Ma poi il progetto è stato smantellato, trasferendo molte attività sul Raccordo anulare e privando Tor Bella Monaca di questa opportunità. Il risultato è sotto gli occhi di tutti».