Enrico Franceschini, La Repubblica 8/1/2014, 8 gennaio 2014
EREDITÀ DA SHAKESPEARE A DRAKE ECCO I TESTAMENTI DEI GRANDI D’INGHILTERRA
LONDRA Aveva dedicato all’amore alcune delle pagine più belle della storia della letteratura mondiale, ma apparentemente perse l’ispirazione quando venne il momento di scrivere il proprio atto finale: nel suo testamento William Shakespeare riserva soltanto poche parole alla moglie, senza chiamarla neppure per nome. E ancora più significativo è ciò che le lascia: «il mio secondo miglior letto». Tutto lì: un letto a baldacchino, sia pure imponente, ma difficilmente di particolare valore, specie affettivo, altrimenti perché il Bardo non le avrebbe donato il suo letto migliore, invece del giaciglio, per così dire, numero due? Che l’autore di Romeo e Giulietta non andasse esattamente d’accordo con la consorte Anne Hathaway, era già noto: ora però chiunque può decidere se c’è ironia, disprezzo o un altro sentimento, magari un messaggio in codice per i posteri, telegrafico come l’equivalente di un moderno cinguettio su Twitter, nel lascito che il grande drammaturgo le assegna come eredità. Il testamento di Shakespeare fa infatti parte di oltre un milione di documenti dello stesso genere pubblicati in questi giorni da Ancestry.co.uk, un sito inglese di ricerche genealogiche. Comprendono un periodo che va dal 1384 al 1858 e riguardano personaggi famosi così come uomini e donne comuni. Gli originali restano depositati presso il National Archive di Londra, ma grazie alla rivoluzione digitale, e all’iniziativa di Ancestry, è adesso possibile per la prima volta consultarli tutti insieme con un click del proprio mouse, aprendo una finestra su cinque secoli di ultime volontà dei nostri predecessori, celebri o ignoti.
«Questi testi offrono un’affascinante prospettiva delle fortune finali di alcune delle famiglie più famose della nostra nazione, un’opportunità di spiarle dal buco della serratura fino a sapere appunto a chi lasciano il proprio letto», dice Miriam Silverman, curatrice della raccolta. «Oltre a soddisfare una mera curiosità, tuttavia, costituiscono una fonte storica di incredibile importanza, coprendo un vasto periodo su cui ci rimangono scarse documentazioni ufficiali ». Secondo il Daily Express, che ieri ha anticipato alcuni testi della pubblicazione, la collezione di testamenti, divulgando una miriade di particolari sulle vite private di numerose figure pubbliche, aiuterà gli storici a scoprire nuovi fatti sulla dinamica delle loro relazioni personali e familiari, e a comprendere meglio lo spirito del loro tempo.
Quello di Shakespeare è probabilmente il boccone più ghiotto. «Io, William Shakespeare di Stratford-upon-Avon, in perfetta salute e memoria»: comincia così, in data «anno domini 1616». Prosegue elencando le 150 sterline che lascia a ciascuna delle sue figlie, corrispondenti a circa 380 mila sterline odierne, vale a dire quasi mezzo milione di euro a testa, le somme più piccole, da 5 a 10 sterline per uno, che lascia ai nipoti, le 10 sterline che dona «ai poveri di Stratford», la sua spada a un amico, un anello a un altro, e così via. Quindi, quasi distrattamente, aggiunge: «Lascio a mia moglie il mio secondo miglior letto con il mobilio». Maliziosamente, vi si può leggere un’intera commedia: come il suo primo letto, il letto migliore, fosse stato riservato a un’altra, finché Shakespeare era vivo, e non dovesse finire alla moglie nemmeno dopo la sua morte. Lo sgarbo fu forse meno grave di quanto appaia perché la moglie avrebbe comunque avuto diritto a un terzo della sua proprietà in base all’English Common Law. E tuttavia è curioso che non venga neppure nominata e che Shakespeare reputi necessario sottolineare che a lei spetta il suo “secondo letto”. Dimenticanza innocente o stoccata finale di un matrimonio infelice?
Beninteso: ricevere in eredità un letto, cinque secoli fa, non era un dono indifferente, in particolare se era un letto comodo e solido come quello a baldacchino di Shakespeare, considerati i tanti costretti a dormire su un pagliericcio. Ma tra i ricchi e famosi della raccolta di testamenti di Ancestry c’è chi si distingue per maggiore generosità. Alla sua morte nel 1817, per esempio, Jane Austen lascia la quasi totalità del suo patrimonio alla sorella Cassandra, riservando soltanto 50 sterline per un fratello e altre 50 a un’ex-infermiera della sua famiglia. Sir Francis Drake, il corsaro che depredava galeoni spagnoli per conto della corona britannica e guadagnò una fortuna nel corso delle sue avventure per mare, nel 1596 lasciò 40 sterline, pari a 150 sterline di oggi (180 mila euro) ai poveri e alla parrocchia di Plymouth, la sua città natale. Il filosofo, giurista e scrittore inglese Francesco Bacone lasciò addirittura la maggior parte della sua casa e della sua terra alla servitù: un domestico, Robert Halpeny ricevette l’equivalente di 800 mila sterline odierne (1 milione di euro), oltre a provvigioni garantite di paglia e legna per il fuoco; a un altro, Stephen Paise, andarono l’equivalente di 700 mila sterline d’oggi (850 mila euro), oltre a un letto: l’anno era il 1626, dieci anni dopo la scrittura del testamento di Shakespeare, a dimostrazione che un letto era un’eredità di qualche importanza a quell’epoca, sebbene un conto era ovviamente donarlo a un servo, un altro alla propria moglie (e neanche il letto migliore della casa, nel caso di Anne Hataway). E poi c’è chi invece si preoccupava di se stesso anche dall’aldilà, per i posteri, come il compositore tedesco Georg Friedrich Händel, che morì a Londra nel 1759, lasciando 600 sterline (90 mila sterline odierne) affinché con quei soldi venisse costruita una statua in suo onore dentro all’abbazia di Westminster.
Ma non sempre le ultime volontà vengono esaudite. Charles Dickens scrisse espressamente nel testamento che non voleva un funerale pubblico, con la gente «in cappello nero e altre rivoltanti assurdità»: gli fecero esequie di Stato, per lui si fermò la nazione. E George Bernard Shaw voleva che parte del suo patrimonio fosse destinata all’invenzione e alla promozione di un nuovo alfabeto, migliore di quello in cui aveva scritto le sue commedie: un compito che fu reputato impossibile, per cui i soldi finirono al British Museum e ad altre istituzioni pubbliche del regno.