Concita De Gregorio, La Repubblica 8/1/2014, 8 gennaio 2014
PROCESSO ALLA CORONA
BARCELLONA I vestiti dei bambini, le lezioni personali di autodifesa, i biglietti per andare a vedere il Re Leone a New York, il musical, e per la finale di Champions a Roma. Barcellona-Manchester, ricorderete. Millequattrocento euro per una cena giapponese di compleanno e 45 centesimi per il parcheggio, 430 mila euro per ristrutturare casa e 90 centesimi per un quaderno a righe.
È l’estratto conto di una carta di credito quel che mette a repentaglio la corona di Spagna. È l’elenco delle spese domestiche, per così dire, dell’infanta Cristina la carta che dopo 38 anni di regno può ragionevolmente spingere re Juan Carlos di Borbone ad abdicare. Non il cancro, sette operazioni in due anni, la prossima a marzo. Non le amanti, più di mille dicono le biografie: l’ultima, la tedesca Corinna Sayn-Wittgenstein, organizzatrice del rovinoso safari in Botswana della primavera 2012 per la quale il re ha dovuto chiedere pubblicamente scusa. Non l’età, 75 anni, né gli 8 milioni di appannaggio annuo della casa reale che da soli — in un Paese piegato dalla crisi, un giovane su due senza lavoro, la Catalogna cassaforte di Spagna in procinto di autoproclamarsi indipendente — hanno fatto precipitare il gradimento della monarchia a zero virgola, sondaggi su sondaggi e cronache ogni giorno sui giornali: il re fischiato dal pubblico alla finale di Coppa del basket, il leader dei socialisti catalani Pere Navarro che gli chiede ufficialmente di andarsene nel silenzio-assenso dei più, cose mai viste.
È la figlia, sarà la figlia il tallone d’Achille di Juan Carlos, cresciuto sulle ginocchia di Franco e per trent’anni beneficiario del credito di una notte, quella in cui nell’81 sconfessò il colpo di Stato di Tejero. Cristina di Borbone duchessa di Palma, la secondogenita, la figlia di mezzo, la “catalana” andata ragazza a vivere a Barcellona, da ieri imputata per frode e riciclaggio e chiamata in giudizio, a deporre, l’8 marzo prossimo venturo. È la prima volta nella storia di Spagna che un giudice si azzarda a tirare in causa direttamente un componente della famiglia reale. Il giudice si chiama José Castro, del tribunale di Palma de Maiorca, e la storia è questa: Cristina ha sposato Iñaki Urdangarin, ex nazionale di pallamano, da cui ha avuto quattro figli. Urdangarin ha messo su una società di promozione sportiva, la Nóos, attraverso la quale — spendendo il nome dei reali, direttamente o indirettamente — ha ottenuto fondi pubblici da enti locali, molto ingenti, per manifestazioni mai svolte. Lo chiamano “il generissimo”, in assonanza col dittatore Franco, “il generalissimo”. Il suo socio Diego Torres ha messo a disposizione della magistratura carte e mail da cui risulta, tra l’altro, uno stretto rapporto del genero reale con l’amante del re Corinna, alla quale chiedeva buoni uffici per avere consulenze e presidenze di enti assai ben remunerate. La ragione: mantenere la moglie agli stessi standard di vita di una ragazza «cresciuta in una reggia», parole di Juan Carlos. Solo il mutuo della casa di Barcellona costava all’ex campione di pallamano 20 mila euro al mese, nonostante e oltre il prestito di un milione e duecentomila euro concesso da re
per il rogito. L’inchiesta va avanti dal 2007 fra alterne vicende. La coppia, per defilarsi un poco, si è trasferita prima a Washington, poi a Ginevra. Il nome di Urdangarin è stato cancellato dalla home page della Casa Reale.
La novità, oggi, è che dalle 227 pagine di rinvio a giudizio risulta che il 90 per cento dei denari della Nóos confluiva in un’altra società senza alcuna attività apparente, la Aizoon, di cui l’infanta Cristina è presidente. È dal conto della Aizoon che, attraverso carta di credito o note spese di contanti, la famiglia prelevava come da un bancomat personale. I 45 centesimi di parcheggio e il mezzo milione per i lavori al palazzetto del quartiere residenziale di Pedralbes, Barcellona, dimora di famiglia. Di queste spese personali messe in carico alla società Cristina è accusata di non aver pagato le tasse (l’IRFP) e di aver evitato che le pagassero le imprese beneficiarie. Suo marito, comproprietario della Aizoon, è accusato di frode fiscale e di altri reati (corruzione, falso) che comportano fino a 23 anni di carcere. Il magistrato, un sessantottenne di Cordoba che non ha mai rilasciato un’intervista in vita sua, scrive nell’ordinanza che l’infanta Cristina non poteva non sapere, che era «consapevole e acquiescente», responsabile in ogni caso di omissione di controllo nella sua veste di presidente, che ha usato i denari di quella società «voltando la testa da un’altra parte», nel migliore dei casi. In qualche occasione Cristina ha firmato i conti con un nome semi-riconoscibile — “Cristina Poi Txiki Ire”, txiki vuol dire “piccolino”, Poi e Ire potrebbero essere le abbreviazioni dei nomi di altri due figli, Paolo e Irene — segno, ipotizza il magistrato, che voleva evitare si risalisse alla sua identità. Passo indietro, di lato.
Cristina di Borbone detta “la bella” in evidente dissomiglianza estetica dall’infelice sorella primogenita Elena, ora per giunta separata dal marito, e dall’erede al trono ultimogenito Felipe è la settima in linea di successione al trono, dopo i fratelli e i di loro figli. Cresciuta, come dice suo padre, in una reggia, si è rapidamente smarcata dalla famiglia, ha scelto la Catalogna come luogo dove vivere e un ragazzo altissimo atletico e di nessun lignaggio come marito, è andata a lavorare alla Caixa, banca di Catalogna, e ha avuto quattro figli fra il ‘99 e il 2005. Ha provato a vivere da “borghese”, restando tuttavia la bisnipote del Kaiser Guglielmo e di Costantino di Grecia, di Luisa d’Orléans e del re Alfonso XIII. È membro dell’Ordine dei Tre Poteri Divini del Nepal, dama del Gran Cordone dell’Elefante Bianco di Thailandia, della Corona Preziosa del Giappone. Dal suo punto di vista risulta comprensibile una spesa di 627 euro da Bonpoint per i pantaloni dei bambini e di 1400 dal catering giapponese Kateshima per il suo 42esimo compleanno, c’erano da allestire anche gli addobbi in casa, le lanterne rosse in terrazzo. Anche i 15 mila euro del viaggio in Brasile nel 2009, quando si è in sei. Meno i centesimi per la cancelleria e il parcheggio dell’auto, ma quella dev’essere l’inerzia. Imperdonabile, per i sudditi, è piuttosto il fatto che non si sia chiesta perché il marito abbia incassato con regolarità fondi pubblici per eventi mai realizzati, perché abbia usato il nome del suocero per avere convenzioni e commesse fantasma. Perché infine il re abbia negato e coperto tutto questo proprio mentre, nel suo recentissimo messaggio di fine anno, richiama il bisogno di «trasparenza ed esemplarità» nella vita pubblica.
Sofia di Grecia, la regina triste e sola, è da molto tempo silente. Felipe, il delfino, 45 anni, viaggia in utilitaria e mette le monete nel parchimetro: è pronto al tempo nuovo. La Spagna è una monarchia parlamentare. Il portavoce della casa reale ha definito l’inchiesta «un martirio» personale per Juan Carlos. Non è personale, è istituzionale. La monarchia è qui al suo passaggio più stretto, il varco dei tempi. Cristina farà ricorso, ha detto il suo avvocato. Proverà a non andare in aula come già è accaduto mesi fa. Si tratta solo di «congetture e sospetti », dice l’autorità Anticorruzione. Ma c’è un giudice a Palma: scrive che la legge è uguale per tutti e che il suo atto nei confronti di Cristina di Borbone è «dovuto e inevitabile». C’è un Paese, soprattutto, che dice a Juan Carlos che ha la stessa età di Beatrice d’Olanda, la quale ha appena abdicato in favore del figlio Guglielmo, coetaneo di Felipe. Prendere o lasciare. Sarà anche un risibile pretesto, questo delle spese della bella Cristina e delle astuzie illecite di suo marito, ma è un segno dei tempi. Di tasse c’è chi muore. La voce del popolo dice al re: lasciare.