Andrea Nicastro, Corriere della Sera 8/1/2014, 8 gennaio 2014
INCRIMINATA LA PRINCIPESSA TREMA LA CORONA DI SPAGNA
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MADRID — E tre. Una parte della giustizia spagnola prova un’altra volta a processare come una cittadina qualsiasi Cristina di Borbone, Infanta di Spagna e duchessa di Palma. Questa volta l’accusa è riciclaggio di capitali e frode fiscale. Stando agli atti depositati ieri mattina, la secondogenita di re Juan Carlos dovrebbe comparire sui banchi del tribunale di Palma di Maiorca l’8 marzo, ma né la data né il fatto in sé sono certi. Come in altri due casi, l’accusa potrebbe essere bloccata prima dell’incriminazione formale. Gli avvocati difensori, ovviamente tra i migliori di Spagna, hanno già presentato appello. Nei prossimi mesi l’avviso di comparizione dovrà passare l’esame di altri magistrati e doña Cristina non essere costretta a lasciare la sua nuova casa di Ginevra per tornare in Spagna a difendersi.
E’ sempre lo stesso giudice che indaga dalle isole Baleari a provarci: José Castro da quasi tre anni raccoglie testimonianze, mail, bilanci, conti correnti, dichiarazioni dei redditi per provare la condotta illegale di Cristina e del marito Iñaki Urdangarin. Lui è sospettato di aver ottenuto 6 milioni (euro più euro meno) da amministrazioni pubbliche compiacenti per finte consulenze e lavori inventati. Lei di aver aiutato il consorte a nascondere al fisco i soldi così guadagnati e, soprattutto, ad averlo aiutato a spenderli con viaggi, feste, fiori e una ristrutturazione da 3 milioni del loro palazzetto di Barcellona.
Le 227 pagine con le quali il giudice istruttore ha motivato la richiesta di imputazione dell’Infanta sono un inno alla Giustizia «uguale per tutti». Con i suoi documenti, con le sue accuse sempre più circostanziate, il magistrato sfida la fedeltà alla monarchia di una parte dei suoi colleghi togati e mette alla prova la gratitudine delle istituzioni spagnole nei confronti del re per il suo ruolo nella Transizione verso la democrazia. Castro contesta apertamente il collega a capo della Procura che ha negato la validità della sua prima imputazione alla figlia del re: «Si stanno perdendo anche le forme e questo non è bene».
Non è soltanto la battaglia di un magistrato borghese contro l’aura di privilegi e intoccabilità che ancora, nonostante gli scandali, circonda la monarchia spagnola, ma anche lo schiaffo di un piccolo solitario giudice contro la storia.
In aprile, il giudice Castro, 67 anni, aveva messo sotto accusa l’Infanta Cristina per aver permesso al marito di aver sfruttato il suo nome e la sua posizione per ottenere appalti pubblici, ma la Procura anticorruzione aveva bloccato la comparsa in aula della duchessa di Palma considerando insufficienti le prove a suo carico. «Non si può accusare qualcuno per chi è — aveva bacchettato il procuratore Horrach —, ma solo in base alle sue azioni e alle prove». Poi era toccato ai segugi del Fisco (ufficio Servicios Juridicos) mettere la secondogenita di re Juan Carlos nel mirino, ma da altri uffici della stessa Agenzie delle Entrate era scattata un’efficacissima difesa. Tre fatture che fino a quel momento erano state considerate false, sono state improvvisamente ricatalogate come vere e così l’intero impianto accusativo ha perso d’importanza. In Spagna un’evasione fiscale superiore ai 120 mila euro diventa reato penale. Invece, grazie a quelle tre provvidenziali fatture, l’ipotesi penale è sfumata perché la somma nascosta al Fisco restava al di sotto dei 120mila euro. La duchessa si è salvata per appena 700 euro.
Ora il giudice Castro torna alla carica. Doña Cristina di Borbone e Grecia — sostiene il giudice istruttore — sapeva benissimo di infrangere la legge quando pagava in nero le sue cameriere nel periodo di prova per poi assumerle in regola non come colf, ma come impiegate al servizio della Aizoon, un’azienda costituita solo per fornire fatture fittizie e abbassare l’imponibile della Noos, la società capofila della trama dei Duchi di Palma. Segretarie che invece di rispondere al telefono di una società di consulenze che non consigliava nessuno servivano il tè e rifacevano i letti a casa della nobildonna.
Doña Cristina, insiste Castro, non poteva essere estranea all’acquisto da parte della stessa Aizoon di un servizio di piatti da 1.700 euro. Piatti della «Noble y Artística Cerámica de Alcora». Oppure al pagamento dei palloncini e dell’animatore di una festa per bambini avvenuta proprio nella casa dei duchi di Palma. O ancora a un corso di merengue o all’installazione di gazebo in giardino con tanto di caloriferi a fungo per la festa dei 40 anni del marito. Tutte spese evidentemente personali, contrassegnati da una partecipazione attiva dell’Infanta, ma del tutto ingiustificati da parte di una società il cui scopo era fornire servizi alla Noos che a sua volta fingeva di lavorare per province e comuni. La Casa Reale ha reagito in questa terza occasione in modo molto più rispettoso che in passato. Quel che sorprende è la sfacciataggine della truffa. La coppia agiva serenamente anche dopo l’avvio delle prime indagini. Contavano su quello che Castro chiama lo «scudo dell’Infanta Cristina». Si sentivano intoccabili e fino ad oggi, in fondo, hanno avuto ragione.