Paolo Mastrolilli, La Stampa 8/1/2014, 8 gennaio 2014
FEDERAL RESERVE, INIZIA L’ERA YELLEN
Alan Blinder, l’economista di Princeton che negli anni Novanta era stato scelto dal presidente Clinton come vice di Greenspan alla Fed, ama raccontare questo episodio del suo rapporto con Janet Yellen, allora tra i governatori della banca centrale: «Una volta, al termine di una riunione molto difficile in cui riuscimmo a evitare un rialzo troppo brusco dei tassi d’interesse, lei mi sorrise e disse: forse oggi abbiamo salvato il posto di lavoro a mezzo milione di persone».
Questo è l’approccio che dal 1 febbraio guiderà la Federal Reserve, dopo che lunedì il Senato ha approvato la nomina della Yellen. Sarà un caso, ma ieri il presidente Obama ha sollecitato il Congresso ad approvare l’estensione di tre mesi dei sussidi di disoccupazione, e ha parlato così: «Vorrei che tutti capissero che queste non sono statistiche astratte: sono i nostri vicini, amici, parenti. Ad un certo punto, potremmo essere noi». Quindi il capo della Casa Bianca, che già in passato aveva indicato gli squilibri retributivi come una delle emergenze degli Usa, ha sfidato i parlamentari ad «agire per ricostruire la mobilità economica e ridurre la diseguaglianza». Sembrava quasi di sentire il nuovo sindaco di New York, de Blasio, a conferma che tra i democratici sta emergendo una strategia populista per sanare le differenze economiche, che potrebbe diventare il cavallo di battaglia nelle elezioni midterm a novembre.
Janet Yellen, nata 67 anni fa a Brooklyn, non è solo la prima donna a capo della Fed. E’ anche la prima scelta democratica da quando nel 1979 Carter nominò Volcker, e la prima keynesiana sfacciata a guidare la banca centrale americana, da quando Milton Friedman aveva vinto il dibattito nazionale all’epoca di Reagan e dato la linea per tre decenni. Moglie del premio Nobel George Akerlof e madre del professore di economia Robert, prese il suo dottorato a Yale con James Tobin, famoso in tutto il mondo per la tax omonima, con cui voleva tassare le transazioni internazionali per recuperare risorse da investire a favore della gente. Tobin era convinto che il mercato da solo non bastasse, e il governo dovesse correggerne gli eccessi, perché lo scopo dell’economia era aiutare le persone comuni. Janet ha sposato questa fede, dedicando la sua vita accademica allo studio della disoccupazione, che vede come un dramma personale e un freno alle potenzialità economiche.
Questa è la sua passione, e si è visto da come negli anni scorsi ha sostenuto l’inaspettato interventismo del repubblicano Ben Bernanke. Lui era uno studioso della Grande Depressione, e per evitare che si ripetesse dopo la crisi del 2008, ha pompato 3,8 trilioni di dollari nell’economia americana attraverso il discusso “quantitative easing”, con cui acquistava ogni mese 85 miliardi di titoli e mutui. Il mese scorso, col consenso di Janet, la Fed ha iniziato l’operazione “taper”, ossia la riduzione degli stimoli, scesi a 75 miliardi in dicembre. Questo però non significa che la Yellen non continuerà a «pensare fuori dalla scatola» per lottare contro la disoccupazione, pur agendo con prudenza per rispondere ai critici che l’accusano di essere una colomba monetaria. La Fed ha due mandati istituzionali: combattere l’inflazione e promuovere il lavoro. Tra i due, al momento, Janet considera prioritario il secondo. Poi magari alzerà i tassi prima del previsto, per sorprendere gli avversari, ma la sua stella polare resterà far scendere la disoccupazione sotto il 7%, anche se nel frattempo il Congresso resterà paralizzato e non varerà gli interventi per stimolare la domanda che servirebbero per dare gambe alla ripresa. L’altro punto centrale sarà il ruolo di Wall Street, che aveva applaudito la sua nomina al posto di Larry Summers, pensando che proseguirà la politica dei “soldi facili”. Forse questo mondo l’ha travisata, perché lei ha sempre sostenuto la necessità di regole più strette, che prevengano nuovi eccessi tipo Lehman. Nel voto di conferma, Janet ha ricevuto la maggioranza più risicata di sempre per un presidente della Fed: solo 56 senatori a favore. La prova di quanto difficile sarà la sua sfida.