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 2014  gennaio 08 Mercoledì calendario

COME FUNZIONA IL SISTEMA ELETTORALE SPAGNOLO

In questi giorni una delle proposte di legge elettorale avanzata dal neo-segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, è il cosiddetto sistema spagnolo. Si tratta di una legge solo formalmente proporzionale con liste bloccate e sbarramento al 5 per cento, ma i cui esiti sono stati (quasi sempre) maggioritari dato che la dimensione ridotta dei collegi innalza nella pratica lo sbarramento a quote molto più elevate. Tralasciamo, in questo contesto, la questione relativa alla composizione della popolazione dei collegi: sarebbe molto interessante sia nel caso italiano che nel caso spagnolo (in cui viene favorito, in uno dei classici clevages proposti da Lipset e Rokkan la campagna rispetto alla città), ma ci porterebbe fuori strada.
Il presupposto per una discussione franca su questa legge elettorale è che in Italia non è interamente applicabile giacché la corte costituzionale italiana ha bocciato le liste chiuse del Porcellum. Quindi in ogni caso in Italia applicheremmo un sistema spagnolo per lo meno “rivisto”.
Il sistema spagnolo, inoltre, non garantisce la governabilità a tutti i costi. All’alba della democrazia spagnolo, il primo ministro Suárez era a capo di un governo di minoranza. Inoltre, quando i partiti principali (Partito Socialista e Partito Popolare in Spagna) non ottengono la maggioranza assoluta dei seggi devono formare coalizioni ex-post con altri partiti, spesso “locali”, cioè catalani (sinistra repubblicana o i nazionalisti di Convergència i Unió) , baschi (il Partito Nazionlista Bascho, di matrice popolare) e galleghi (il Blocco Nazionalista Gallego, di sinistra). Altri seggi fondamentali per la maggioranza posso detenerli i partiti nazionalisti delle Canarie e quelli aragonesi.

CLIENTELISMO E GOVERNABILITÀ

Visto che i due principali blocchi di centro sinistra e centro destra e, probabilmente, lo stesso Grillo dovrebbero fare affidamento per governare su partiti locali e/o indipendentisti tanto al Nord (la Lega) quanto al Sud (dal Grande Sud al Megafono di Crocetta e via dicendo). Sebbene potrebbero essere chiesti patti di governi prima dell’inizio formale della legislatura, l’esperienza insegna che in Italia pratiche clientelari sono all’ordine del giorno, anche solo per soddisfare i desiderata di un quadro locale appartenente a un partito nazionale e capace di mobilitare molte preferenze.
In Spagna questo sistema elettorale ha portato ad una “presidenzializzazione” di fatto del premierato (1). Il primo ministro e la sua squadra di governo godono, difatti, di grande autonomia e, una volta raggiunti alcuni compromessi con i partiti minori su questioni più locali che nazionali, possono guardare con relativa tranquillità al proprio mandato. Tuttavia, specie dal 1982 in poi in Spagna i due partiti principali hanno sempre attratto la stragrande maggioranza dei voti . A rimetterci è sempre stato il terzo partito “nazionale”, ossia il Partito Comunista prima e Izquierda Unita poi: ma stiamo parlando comunque di un partito che ha riscosso sempre consensi relativi nell’elettorato spagnolo con punte non superiori al 10 per cento. In Italia, invece, la frammentazione a livello nazionale è stata la norma. Proporre un sistema spagnolo in Italia comporterebbe una grandissima sottorappresentazione dei due dei tre partiti perdenti ; e una sovrarappresentazione di quelli locali. Quindi se vincesse il Partito Democratico con una percentuale di circa il 30 per cento e Pdl e il Movimento 5 Stelle prendessero il 25 per cento ciascuno, si avrebbe come conseguenza, stante il premio di maggioranza assegnato nel caso spagnolo, la diminuzione della rappresentanza di quasi il 50 per cento effettivo dell’elettorato, distorcendo di fatto la volontà popolare. Volontà popolare, che in una democrazia parlamentare, dovrebbe essere riflessa proprio nella composizione del Parlamento.
In Spagna questo sistema si è reso necessario per evitare una frammentazione partitica eccessiva (cosa che in realtà non è avvenuta) e per dare stabilità ai governi e scoraggiare gli impulsi autoritari, come il tentativo di colpo di Stato del colonnello Tejero nel febbraio del 1981 (2). Proprio a questa necessità di stabilizzazione si deve la presenza della sfiducia costruttiva in Spagna: per far cadere il governo, in pillole, si deve avere la certezza di poter contare su una maggioranza pronta a sostituire il governo in carica.

CONTROINDICAZIONI DEL MODELLO SPAGNOLO

Per far sì che in Italia questo sistema dia stabilità all’esecutivo e lo tolga dalle sabbie mobili elettorali, servirebbe per prima cosa una riforma istituzionale che renda il Senato non elettivo come in Spagna (le Cortes) e introduca la sfiducia costruttiva, altrimenti il rischio di un governo perennemente traballante e poco produttivo è sempre dietro l’angolo. Inoltre, avremmo tre effetti perversi: il primo e più preoccupante, sarebbe l’aggravarsi di pratiche clientelari non solo attraverso l’introduzione della preferenza, ma anche con gli accordi più o meno trasparenti che si renderanno necessari con partiti localistici una volta terminate le elezioni. Il secondo punto richiama il primo: il sistema spagnolo non garantisce che chiuse le urne si sappia con chi governerà il partito uscito vincitore, come chiedono diversi esponenti politici in Italia; il partito di maggioranza potrebbe governare da solo, ma non è scontato e, in Italia, questo esito è improbabile. Piuttosto, si potrebbe avere un governo di minoranza quindi dipendente per la sopravvivenza da partiti locali o addirittura un governo di minoranza che si appoggi ad una maggioranza dei parlamentari per ogni singolo provvedimento. Proprio quello che i proponenti di questo sistema vorrebbero evitare. Il terzo punto riguarda proprio la qualità della democrazia e l’eterna oscillazione tra effettiva rappresentanza della volontà popolare e governabilità. Il sistema proporzionale italiano per anni ha puntato sulla prima per evitare pulsioni extra-parlamentari pericolose e includere partiti anti-sistema nel gioco democratico a scapito dell’efficienza governativa. Il sistema spagnolo punta sulla seconda, anche se con un voto di massa ai due partiti principali ha garantito anche la rappresentatività. In Italia, con una classe politica enormemente sfiduciata, si rischierebbe di escludere o sottorappresentare la voce di milioni di italiani che non hanno votato il partito di maggioranza (relativa) allontanandoli ancora di più dall’interesse verso la politica. Un esito non automatico, sia chiaro, ma la cui possibilità di accadere dovrebbe far riflettere i decisori politici: la governabilità è certamente da perseguire, specie in un sistema imballato come quello italiano, ma se a farne le spese sarà solamente la rappresentatività popolare, gli esiti di un cambiamento della legge elettorale sarebbero ancor più deleteri del ripristino del Mattarellum.

(1) Poguntke T. and Webb P., (2005), The Presidentialization of Politics. A Comparative Study of Modern Democracies, Oxford University Press
(2) Piccarella, L. (2009), Presidencialización y personalización en el Sistema Político Español, 1975-2008, Revista Enfoques: Ciencia Política y Administración Pública, vol. 7, n. 11, pp. 515-543