VARIE 8/1/2014, 8 gennaio 2014
APPUNTI PER GAZZETTA - LA STRAGE DI CASELLE
REPUBBLICA.IT
"Volevo rapinarli, avevo bisogno di soldi". Nella notte i carabinieri del Nucleo investigativo di Torino hanno effettuato un fermo per la strage di Caselle. Si tratta di Giorgio Palmieri, 56 anni, pregiudicato per reati contro il patrimonio e per un sequestro di persona negli anni Ottanta durante una rapina: è lui l’autore della mattanza che ha raccontato in una confessione choc. Lo hanno bloccato a casa di un amico, sull’avambraccio sinistro alcune ferite da taglio. Ora l’accusa per lui è di omicidio volontario aggravato da motivi futili e abbietti. Determinanti i tabulati telefonici e poi le intercettazioni: all’ora del delitto il cellulare di Palmieri è stato "agganciato" dalla cella corrispondente all’indirizzo degli Allione. Gli inquirenti stanno vagliando la posizione di altre persone, a cominciare da Dorotea De Pippo, la colf di casa Allione e compagna di Palmieri, mandata via tempo fa perché sospettata del furto di una collanina. Una circostanza, questa, riferita da Maurizio Allione, figlio e nipote delle vittime, e dalla fidanzata Milena. La donna sarebbe entrata più volte in contraddizione: perquisita la sua casa a Caselle.
La confessione: "Un bacio in fronte alla nonnina dopo le coltellate"
Palmeri conosceva sia la famiglia sia la casa: era stato in quella villetta almeno due volte per fare dei lavoretti. Si è presentato a casa Allione la sera di venerdì 3 gennaio, ha suonato il campanello e si è fatto aprire, dopo che i cani per precauzione erano stati chiusi nel seminterrato. "Ho detto loro che dovevo restituire 500 euro che mi avevano prestato. Siamo saliti al piano di sopra, mi hanno offerto un caffè, abbiamo chiacchierato" ha raccontato ai carabinieri. Poi ha detto che non aveva il denaro con sé. "Erano stupiti, si sono lanciati uno sguardo come per dirsi: e allora cos’è venuto a fare qua? Ho chiesto di andare in bagno per prendere tempo". Infine l’aggressione: Palmieri ha accoltellato a morte con un tagliacarte prima Claudio Allione, 66 anni, ex impiegato Sagat, poi la moglie Maria Angela Greggio, professoressa in pensione di 65, infine la madre di lei, Emilia Campo Dall’Orto, di 93. Poi è fuggito portando via dalla casa cento euro.
Il figlio delle vittime: complimenti ai carabinieri
La confessione è arrivata questa mattina, dopo che Palmieri è stata interrogato a lungo. A portare i carabinieri sulla pista giusta tutta una serie di indizi e di prove. Nessun dubbio, sarebbe lui ad aver ucciso il marito, la moglie e la madre di quest’ultima. "Sono andato a casa degli Allione con
l’intenzione di prendermi i loro soldi - ha confessato Palmieri - stavo vivendo un momento di difficoltà economica rilevante, ho subito uno sfratto esecutivo circa un anno fa". La sua famiglia, ha aggiunto, sopravviveva solo grazie al sostegno economico del figlio maggiore della sua convivente, avuto da una precedente relazione.
"Ho portato via le tazzine perché non venissero trovate le mie impronte e il mio Dna, le ho gettate in un fosso" ha ancora raccontato Palmieri. Proprio quelle tazzine che, ieri, sono state ritrovate, assieme a un cucchiaino e a un guanto in lattice, vicino alla casa della strage da Maurizio, il figlio delle vittime. Il giovane, ancora sotto choc, ha sempre detto di aver avuto fiducia nel lavoro degli inquirenti.
PARLA IL FIGLIO (REPUBBLICA.IT)
"Sono innocente, lo sono sempre stato. I carabinieri e i magistrati hanno fatto un ottimo lavoro, non ho mai dubitato in loro": così Maurizio Allione, il figlio e nipote delle tre vittime della strage di Caselle, commenta l’arresto nella notte del presunto autore del triplice omicidio che ha distrutto la sua famiglia. Un dramma di cui per lungo tempo è stato tra i sospettati e che lo ha visto per tre volte sottoposto a lunghi interrogatori, l’ultimo ieri di sette ore. "Sono sempre stato convinto - aggiunge Maurizio attraverso il suo avvocato, Stefano Castrale - che credessero nella mia innocenza". E il legale aggiunge: "Maurizio non pensava che a compiere questo delitto potesse essere stato l’uomo fermato oggi, ma ha collaborato con gli inquirenti al cento per cento, nel senso che ha fornito loro tutte le informazioni necessarie, nel modo più dettagliato possibile, sulla famiglia e sulle persone che vi gravitavano intorno, contribuendo ad arrivare alla verità".
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CORRIERE.IT
«Sì, sono stato io. Ho agito da solo». La confessione è arrivata nella notte: Giorgio Palmieri, 56 anni, pregiudicato di Torino, è il responsabile del triplice omicidio avvenuto nella villetta di Caselle Torinese il 3 gennaio. Palmieri è il convivente della ex domestica, Dorotea De Pippo, allontanata dalla famiglia Allione alcuni mesi fa per il sospetto del furto di una collanina d’oro. La donna, il cui ruolo gli inquirenti vogliono approfondire, ha lavorato per cinque anni presso la villetta a due piani degli Allione. Il killer, dunque, conosceva sia la famiglia che la casa. L’uomo - che con la convivente ha una figlia di 18 anni -è stato incastrato dall’analisi dei tabulati telefonici e dallo studio delle celle agganciate dal suo cellulare il giorno dei delitti. Il movente va ricercato in questioni economiche: «motivi futili e abbietti», ha detto il procuratore capo di Torino, Sandro Ausiello, durante la conferenza stampa. I carabinieri del nucleo investigativo di Torino lo hanno sottoposto a fermo all’alba.
Le vittime, da sinistra: Claudio Allione, 66 anni, Maria Angela Greggio, 65 anni, ed Emilia DallOrto, 93 anni, i tre pensionati uccisi nella villetta di Caselle TorineseLe vittime, da sinistra: Claudio Allione, 66 anni, Maria Angela Greggio, 65 anni, ed Emilia DallOrto, 93 anni, i tre pensionati uccisi nella villetta di Caselle Torinese
IL PRESTITO, LA LITE E GLI OMICIDI- Venerdì scorso Palmieri, verso le 19.15, è andato alla villetta di Caselle per parlare con la famiglia Allione: voleva spiegare l’impossibilità di restituire un prestito ricevuto in passato - circa 500 euro - e aveva l’intenzione di chiedere o rubare altro denaro. A quel punto sarebbe scattata una lite con gli Allione. Palmieri ha allora deciso di uccidere: ha colpito più volte con un tagliacarte (che aveva preso prima di entrare nella casa) prima Claudio Allione, 66 anni, ex impiegato Sagat; poi sua moglie, Maria Angela Greggio, professoressa in pensione di 65 anni arrivata in soccorso del marito. Infine l’ultimo delitto: Emilia Campo Dall’Orto, madre 93enne della donna incontrata al piano inferiore, sulla via di fuga. Il cadavere dell’anziana era nascosto da una coperta: elemento che da subito ha indicato che l’assassino conosceva le vittime. Prima di lasciare la villetta Palmieri ha poi portato via 100 euro. I corpi sono stati trovati domenica mattina da un amico del figlio e nipote delle vittime, Maurizio Allione. Le indagini sono state condotte dai carabinieri del nucleo investigativo di Torino, sotto la direzione della Procura di Torino e con la collaborazione dei carabinieri del Ros e del Ris di Parma.
I TABULATI TELEFONICI E LA FERITA SUL BRACCIO - Palmieri sarebbe stato incastrato dall’analisi delle celle e dei tabulati telefonici che hanno messo in evidenza la sua presenza piuttosto frequente nella zona dove è avvenuto il delitto. Palmieri, già sospettato, non abita nella zona. La circostanza è stata ritenuta anomala dagli inquirenti e ha attirato la loro attenzione su questo nuovo personaggio che aveva avuto screzi con la famiglia Allione, attraverso la convivente.
Proprio l’incrocio tra i dati dei tabulati telefonici e la testimonianza resa da Palmieri ha convinto gli inquirenti che il suo alibi era fragile. In più c’era una ferita ad arma da taglio all’avambraccio destro del 56enne: lui stesso ha ammesso di essersela fatta durante gli omicidi.
LA TAZZINA DI CAFFE’ - Martedì mattina Maurizio Allione, figlio e nipote delle vittime, sottoposto anche lui a lunghi interrogatori, ha indicato ai carabinieri un piccolo canale di scolo a circa 300 metri dalla casa del delitto: lì aveva notato, portando a passeggio i suoi due cani, una tazzina da caffè e di una caffettiera che erano state portate via dal luogo della strage. Oggetti presi dall’assassino per paura che potessero svelare sue tracce. Nello stesso canale dove è stata rinvenuta la tazzina è stato notato un guanto di lattice; anche questo oggetto è stato posto sotto sequestro. I carabinieri hanno subito sospettato che potesse essere stato usato dall’assassino. «I carabinieri e i magistrati hanno fatto un ottimo lavoro, non ho mai dubitato in loro» ha detto Maurizio Allione. «Sono sempre stato convinto - aggiunge Maurizio attraverso il suo avvocato, Stefano Castrale - che credessero nella mia innocenza».
LA TESTIMONIANZA DI DOROTEA (CORRIERE.IT)
È stata proprio lei, la signora Dorotea, la convivente di Palmieri, l’uomo fermato per il triplice delitto di Caselle, a difendere fin dall’inizio Maurizio Allione, il figlio di Claudio, l’unico superstite della tragedia familiare. Mentre il ragazzo si trovava in caserma già da due ore, martedì pomeriggio, mentre rispondeva alle domande dei carabinieri per la seconda volta e mentre in molti lo avevano già additato come presunto colpevole, la signora Dorotea stava facendo la spesa nel piccolo supermercato di fronte alla caserma di Caselle. Probabilmente ignara di quel che sarebbe accaduto dopo. È uscita dal minimarket sorridente, con i capelli lunghi neri e un filo di rossetto rosso, in compagnia di altre due donne.
Carica di borse, ha svoltato in fretta l’angolo della piazzetta per evitare il gruppetto di cameramen e fotografi piazzati di fronte alla caserma. In quelle ore, gli inquirenti stavano già cercando il suo compagno, che ha poi confessato alle tre di notte. «Non è stato Maurizio, non può essere lui» ha detto. «Conoscevo bene quella famiglia. Sa, il fatto che il ragazzo avesse in casa della marijuana non c’entra nulla. Di questi tempi in molti ne hanno, ma da lì a essere additati come dei criminali...non faceva uso di droghe pesanti».
«Io non so chi sia stato, ma Maurizio era un bravo ragazzo. Non penso proprio che sia lui. Era spesso in casa, andava d’accordo con i genitori. E poi aveva tutto quello che voleva. Non lavorava, ma aveva la casa. Gliela avevano regalata, a Torino. Sopra la villetta gliene stavano costruendo un’altra. Quando chiedeva soldi, glieli davano». «Perché di soldi ne avevano...tanti...». C’erano quindi altre persone che avevano motivi per compiere un triplice delitto? «Su questo non posso dire nulla. I carabinieri mi hanno detto che non devo dire nulla a nessuno».
CORRIERE.IT
Dalla confessione di Giorgio Palmieri, il cinquantaseienne fermato per il triplice omicidio di Caselle Torinese, emerge che lo stesso avrebbe preso un caffè con la famiglia Allione prima di rapinarla e sterminarla, per poi gettare tazzina, zuccheriera e un guanto in lattice in una buca vicino alla loro casa di Caselle Torinese, teatro della strage. Era stato il figlio di due delle vittime, Maurizio Allione, a segnalare ai carabinieri il luogo in cui le tazzine erano state abbandonate.
Gli inquirenti hanno sentito come persona informata sui fatti Dorotea De Pippo, l’ex colf di casa Allione.
L’AVVOCATO
«I carabinieri e i magistrati hanno fatto un ottimo lavoro, non ho mai dubitato in loro»: così Maurizio Allione, 29 anni, il figlio e nipote delle tre vittime della strage di Caselle, commenta l’arresto nella notte del presunto autore del triplice omicidio. «Sono sempre stato convinto - aggiunge Maurizio attraverso il suo avvocato, Stefano Castrale - che credessero nella mia innocenza». «Maurizio - spiega il legale - non pensava che potesse essere stato l’uomo fermato oggi a compiere questo delitto, ma ha collaborato con gli inquirenti al cento per cento, nel senso che ha fornito loro tutte le informazioni necessarie, nel modo più dettagliato possibile, sulla famiglia e sulle persone che vi gravitavano intorno, contribuendo ad arrivare alla verità».
LA VICENDA - La svolta nelle indagini dei carabinieri è arrivata martedì, quando il figlio degli Allione, tornato alla villetta di Caselle per andare a prendere i cani (che al momento del ritrovamento dei corpi erano chiusi in cantina) e portarli a un amico perchè se ne prendesse cura, ha scoperto in una buca non distante da casa alcune tazzine da caffè che sarebbero state portate via dalla casa dei genitori. Vicino, c’era anche un guanto in lattice. È stato il figlio stesso ad avvisare i carabinieri, che hanno sequestrato e repertato tutto e lo hanno nuovamente ascoltato ieri pomeriggio per cinque ore.
PEZZO DEL CORRIERE DEL 6 GENNAIO
DAL NOSTRO INVIATO CASELLE TORINESE (Torino) — Una stradina semisterrata di periferia, qualche villetta, poi la grande casa della famiglia Allione. E, dentro, tre corpi senza vita. Quello del capofamiglia Claudio, un pensionato sessantaseienne che un tempo lavorava al vicino aeroporto di Caselle Torinese, quello di sua moglie Mariangela Greggio, 65 anni, maestra a riposo, e quello della madre di lei, Emilia Dall’Orto, 93 anni portati con energia, dicono. Li ha trovati un amico del figlio ventinovenne di Claudio e Mariangela, il quale si è trovato di fronte a una scena agghiacciante anche se l’ipotesi iniziale dei vigili del fuoco e dei carabinieri accorsi per primi sul posto era molto distante dalla realtà: si parlava di morte da monossido di carbonio. Perché non c’era il sangue di tre persone accoltellate e uccise. Ma il medico legale non ha avuto dubbi: l’assassino ha sferrato numerosi fendenti sulle tre vittime, alla schiena e all’addome.
I coniugi erano riversi a terra come se si fossero addormentati sul pavimento del primo piano di questa sorta di cascina su tre livelli protetta da due pastori tedeschi. L’anziana signora giaceva invece sul suo letto al pian terreno, anche lei senza evidenti, raccapriccianti tracce dell’omicidio. Tutto intorno, un gran gelo e un gran silenzio, rotto solo dal lamento dei due cani che sono stati trovati nello scantinato di casa, chiusi a chiave dal killer forse per renderli inoffensivi. Il quadro di funesta normalità era completato dal piccolo disordine di una casa dove sono in corso dei lavori di ampliamento. «Nessun cassetto aperto, chi è entrato non ha rovistato, non ha cercato gioielli e denaro, o perlomeno non ci sono i segnali di un delitto commesso a scopo di rapina. Qui al momento abbiamo una sola certezza: l’omicida conosceva bene la casa e ha fatto sparire l’arma del delitto, che non si trova», spiegavano nella serata di ieri gli investigatori guidati dal comandante Domenico Mascolo, ricordando che solo un frequentatore di casa Allione poteva affrontare i due pastori tedeschi per chiuderli nello scantinato. E per dire di quanto sia distante l’ipotesi della rapina, precisano che anche il portafogli di Claudio Allione è stato trovato intatto, come se non fosse stato neppure aperto. C’erano i suoi documenti e i suoi dieci euro.
Questa, dunque, la scena del triplice omicidio commesso fra venerdì e sabato a Caselle Torinese, cittadina di 18 mila abitanti a un pugno di chilometri dal capoluogo piemontese. Un centro che un tempo viveva di manifattura e che ora si trova a fare i conti con i morsi della crisi e con una disoccupazione galoppante. Disoccupato era anche il figlio dei coniugi Allione, Maurizio, che vive a Torino e che ieri è stato a lungo ascoltato dal pm torinese Fabio Scevola, con la fidanzata convivente, pure lei disoccupata, e con l’amico che ha dato l’allarme, Andrea. Maurizio ha raccontato di essersene andato sabato mattina alla volta di Aosta, dove lui e la ragazza erano ospiti di amici. Poi, questa la sua versione dei fatti, avrebbe provato inutilmente a chiamare i genitori. Fino a che ha telefonato alla vicina di casa che gli ha detto di aver notato una luce accesa fin dalla mattina di sabato e la porta esterna del garage aperta. Maurizio avrebbe dunque chiamato ieri l’amico Andrea, all’ora di pranzo, chiedendogli di verificare cosa fosse successo. «Mi ha spiegato come aprire la porta, sono entrato e ho visto i genitori di Maurizio», ha dichiarato al pm che ha continuato a sentire i tre giovani fino a notte. Per cercare di risolvere presto il giallo di Caselle, che sta vivendo l’Epifania più nera.
Andrea Pasqualetto
SECONDO PEZZO DEL CORRIERE DEL 6 GENNAIO
CASELLE TORINESE (Torino) — Rita Fornelli, un’anziana vicina degli Allione, è stata la prima a notare che qualcosa non andava nella villetta di via Ferrari. «Sabato mattina — racconta — avevo visto il cancello del garage aperto e la luce accesa. La situazione è rimasta così fino a sera». Il mattino dopo la donna ha cercato di chiamare Maurizio, il figlio della coppia, ma non ha trovato il numero di telefono. Poi, intorno alle 11, la sua chiamata dalla Valle d’Aosta, dove si era recato con la convivente. E la tragica scoperta. «Ci conoscevamo dal 1986 — racconta la vicina —, da quando erano venuti ad abitare qui. Erano una famiglia modello, siamo diventati subito amici. Anche Maurizio, il figlio di Claudio e Mariangela, è un bravo ragazzo».
«Erano una famiglia molto riservata — aggiunge Carlo, un altro anziano vicino —. Con me si erano aperti un po’ di più, ma ci erano voluti degli anni. Fra noi scherzavamo spesso prendendo a pretesto i nostri cani: anche io ne ho due, e quando abbaiavano i miei abbaiavano anche i loro». Nessuno, tra coloro che abitano in via Ferrari né tra i curiosi vicino alla villa, riesce a dare una spiegazione al triplice omicidio e ricorda la famiglia solo per la discrezione e la riservatezza. «Li vedevamo passeggiare coi cani — dice una coppia — e in effetti era qualche giorno che non li notavamo più. Ma di certo non avremmo potuto prevedere quanto è accaduto». «Li vedevamo entrare e uscire — dice un’altra — ma proprio nulla di più».
Alessandro Favero, un geometra incaricato dalla famiglia di seguire i lavori di ristrutturazione del secondo piano della villetta, è stato tra i primi ad arrivare. «Ormai — racconta — era molto tempo che non li vedevo, poiché i cantieri erano stati sospesi per l’inverno».
Davide Petrizzelli
PEZZO DEL CORRIERE AL SECONDO GIORNO, 7 GENNAIO
MARCO IMARISIO
DAL NOSTRO INVIATO CASELLE TORINESE (Torino) — A ognuno il suo sospetto. La signora Cremascoli dice che in giro si vedono facce brutte, facce da stranieri. Il signor Dino non si sbilancia per carità, non vuole dire niente di cattivo su chi conosce da quando era bambino, «ma certo, un pensiero viene». Altri raccontano di quanto era zelante e aggressivo, «ma in senso buono», l’amministratore del condominio di fronte, che era andato fino in tribunale per chiedere al signor Claudio di rimuovere le tegole in Eternit che spuntavano dal sottotetto.
È l’ultima casa in fondo alla strada, prima che via Defendente Ferrari pieghi in uno slargo senza uscita, delimitato da un parco giochi. Davanti c’è lo scheletro di una cascina disabitata, ultima reliquia di quando Caselle era solo un borgo e qui c’erano sentieri sterrati che si perdevano nella campagna. Dalla metà degli anni Settanta è cambiato tutto, il quartiere si è ingrandito con abitazioni tutte uguali, villette a schiera che sembrano incastrate l’una nell’altra, senza soluzione di continuità. Quella della famiglia Allione è diventata simile alle altre soltanto pochi mesi fa. Nel 2011 erano cominciati i lavori di ristrutturazione. Era sparita la selva di alberi e rovi che circondava il cortile, che molti vicini di casa consideravano come un grado di separazione dal resto del mondo. «In diciotto anni che sto qui — racconta Alfonso Reina — ci saremo salutati in tutto una decina di volte».
Dacci oggi il nostro inferno quotidiano. Quella villetta, con il suo lembo di giardino, le auto ordinate visibili dalla finestra e l’accesso diretto al garage, diventa ora, e non si ancora per quanto, la nuova scena italiana del delitto, il proscenio per ogni illazione, per un mistero che nel tempo che manca al suo svelamento diventerà ogni giorno più scuro, con l’aggiunta di variabili, infinite piste e dettagli da fiction poliziesche che adesso assumono un peso determinante.
Mai come in questa vicenda, sempre fino a prova contraria, i risultati dell’autopsia sembrano decisivi, e questo spiega anche la cautela del pubblico ministero nel formulare i quesiti rivolti al medico legale. Gli esiti dell’esame autoptico devono spiegare se quelle decine di ferite causate da una lama lunga almeno venti centimetri sono state sferrate dopo la morte delle tre vittime, e soprattutto avranno il compito di stabilire l’orario esatto dei decessi. Non stavano andando a dormire e neppure si erano appena alzate. Indossavano maglioni e abiti da giorno, questo è l’unico dato certo. Tutti sanno che Maurizio, l’unico figlio degli Allione, è in libertà, ma con il marchio del sospetto. La differenza tra il suo alibi, la menzogna e la verità, ruota intorno a uno spazio di settanta minuti al massimo, il tempo di una uscita con gli amici nella serata di venerdì, la partenza nella tarda mattinata del sabato verso la casa di montagna. L’esame dei tabulati telefonici di Maurizio e della sua fidanzata servirà a dare un senso alle loro parole.
«Adesso non ve ne andate più fino a quando non trovano qualcosa?» chiede la signora Marina Lizzi, che da due giorni vede sfilare troupe televisive e parabole per la diretta continua, con le telecamere puntate sulla casa che dista dieci metri di marciapiede dalla sua. In qualche modo è così, perché in questo attimo sospeso e dilatato di incertezza ogni congettura ha diritto di cittadinanza, e richiama altre pagine di cronaca nera ormai cristallizzate nella memoria collettiva, evocate in ogni crocicchio che si forma sulla via Ferrari, con gli abitanti che chiedono conferma della citazione ai giornalisti, come fossero giudici di una gara di nozionismo criminale. C’è il rimando alla strage di Erba, molto flebile, sostenuto con poca convinzione da astanti e, in separata sede, dagli investigatori. Maria Letizia Vuolo insiste con la faccenda della causa giudiziaria legata all’amianto, ma era roba vecchia, il tetto della villetta degli Allione è invece nuovo di zecca. E poi non si vedono plausibili candidati al ruolo di Olindo e Rosa. La casa della strage è adiacente a quella di un anziano militare, presidente della locale associazione delle vittime e reduci di guerra. La villetta più vicina apparteneva al signor Amedeo, che è mancato due mesi fa. Maria Angela Greggio, l’ex insegnante in pensione, la moglie di Claudio Allione morta a pochi metri di distanza da lui, aveva fatto assistenza volontaria nei mesi della lunga malattia.
Allora c’è chi insiste con il ricordo della morte del piccolo Tommaso Onofri, sequestrato e ucciso da due muratori che dovevano sistemare il patio della cascina di Casalbaroncolo, in provincia di Parma, attirati dal peccato di hbris del padre, che aveva mostrato loro una scatola di scarpe piena di soldi, frutto di una eredità. Ad Alessandro Favero, l’impresario che ha lavorato per quasi due anni alla costruzione dell’alloggio al secondo piano, mancavano solo gli impianti e gli infissi e poi era pronto, trema la voce per lo sdegno. «L’ho sentita anch’io questa ipotesi. Ma è una porcheria. Conosco i miei operai uno ad uno. Ci metto la mano sul fuoco, e sono sicuro che tra qualche giorno sul palmo non ci saranno ustioni».
I soldi sono però l’unico movente plausibile, l’unica pista da seguire nel buio. C’erano, con moderazione. Un appartamento a Bardonecchia, qualche proprietà immobiliare in Veneto intestate a nonna Emilia, la terza vittima. La casa piena zeppa di suppellettili e oggetti sparsi, comprese decine di pile di riviste ingiallite, in apparenza senza un ordine preciso. «Era gente che non buttava niente» dicono i vicini per spiegare una attitudine che sembrava l’unica stravaganza di una famiglia riservata, autorizza l’ipotesi di forti somme di denaro custodite in casa. Ma nulla è stato ancora trovato. E nulla è ancora uscito dal buio di quel viale. Così la suggestione più forte, quasi per esclusione, rimanda a un passato remoto che si chiama Pietro Maso, oppure Erika e Omar, che a pensarci bene Novi Ligure non è neppure troppo distante da qui. Le ipotesi peggiori non sempre sono le più probabili, ma nessuno sembra tenerne conto. L’accostamento al passato è quasi una sentenza, almeno nelle parole degli abitanti di via Ferrari, che Maurizio e la sua famiglia non li hanno mai conosciuti troppo bene. Come accade spesso tra villette come queste, quando all’improvviso irrompe l’indicibile e tutto diventa attesa.
Marco Imarisio
SECONDO PEZZO DEL CORRIERE DEL 7 GENNAIO
DAL NOSTRO INVIATO CASELLE TORINESE (Torino) — «Non so cosa sia successo ma non sono stato io. Venerdì ho trascorso la serata in un locale con amici, c’era anche Milena (la fidanzata, ndr ), poi siamo tornati a casa e sono rimasto sempre con lei». Dopo essersi disperato davanti ai corpi esanimi di papà Claudio, mamma Mariangela e nonna Emilia, Maurizio Allione ha cercato di raccogliere se stesso per ricostruire con gli inquirenti i giorni più drammatici della sua vita (versione confermata da chi era presente).
«Ieri sono andato in montagna con Milena da amici e pensavo di tornare domenica. Sapevo che mio padre non stava bene e allora l’ho cercato al telefono...». Una, due, tre volte ma a casa Allione tutto taceva. Domenica mattina ha riprovato e ancora nulla. Allora si è deciso a chiamare la signora Rita, la vicina più confidente, e poi l’amico Andrea per verificare cosa fosse successo in quella specie di casermone bianco dove abitavano le tre vittime. «Gli ho spiegato come poteva entrare...». E quando è entrato, Andrea ha scoperto l’orrore.
Per il ventinovenne di Caselle, disoccupato con la passione della batteria, sono state tredici ore d’interrogatorio che i magistrati chiamano audizione volendo sottolineare il fatto che lui, unico sopravvissuto della famiglia Allione, non è indagato. Non per il triplice omicidio, almeno. Perché un’indagine infinitamente meno pesante è comunque stata aperta sul suo conto. Reato: possesso illegale di stupefacenti. «Sono stato io a dire ai carabinieri che avevo del fumo (durante la perquisizione, 100 grammi di marijuana, ndr ), anche se questo mi è costato una denuncia. Io non ho paura di dire la verità».
Un po’ di sballo dunque lo cerca ancora, lui che si fa chiamare Mox Sushai Allione batterista degli Alldways, e dice di non aver paura della verità. «Ma con i miei andavo d’accordo, non è vero che eravamo in cattivi rapporti, erano solo un po’ preoccupati per il lavoro che non avevo». Era passato a trovarli giovedì scorso, senza Milena: «Non è vero però che non la accettavano in famiglia».
Milena, ventitré anni, un faccino da brava ragazza e quell’amore per Maurizio iniziato un paio d’anni fa e diventato presto una cosa seria, tanto da coinvolgere le famiglie di entrambi. «Siamo stati da loro per Natale», racconta come un automa suo padre, Beppe Reineri, che da due notti non dorme e non sa come riaprire il suo negozio di ferramenta. Esce di casa trascinando un paio di pantofole di flanella, in questo borgo di case popolari di Balangero (Torino) dove vive da sempre. «Ho sentito Milena due volte stamattina e gliel’ho chiesto: non c’è nulla vero? Lei mi ha risposto: “Papà, non può essere stato Maurizio, garantito. Eravamo in montagna e non ho notato nulla di strano”. Io le credo ma il dolore che ho dentro è comunque grande, perché quelle erano brave persone. Ci avevano raccontato dei lavori sul tetto, del via vai...».
Milena non ha un lavoro fisso, convive con Maurizio a Torino in una casa dove l’affitto lo pagava fino a ieri mamma Mariangela. Lei contribuisce con qualche lavoretto artigianale: «Produce anelli, collane, braccialetti e li vende all’Arsenale della pace», dice la sua amica di sempre, Lorena, la quale ha scambiato un paio di messaggi attraverso Whatsapp proprio sabato pomeriggio: «Mi ha scritto che erano in montagna, che andava tutto bene e che sarebbero tornati il giorno dopo. La sto ancora aspettando. Maurizio? Bravo ragazzo forse un po’ permaloso». Dopo il liceo scientifico Gobetti di Venaria, ha fatto l’autista alla Bartolini, il commesso, il magazziniere. Ma dal 2011 solo musica. «Guarda qua, la collezione di Guccini — mostra l’edicolante di Caselle, Mauro, che aveva un rapporto molto stretto con le vittime — Mariangela mi aveva detto di metterli da parte per lui, come i Genesis, Lou Reed, Guccini. La nonnina prendeva invece sempre la settimana enigmistica e Cronaca Vera ... adesso scriveranno di lei».
Andrea Pasqualetto
PEZZO DI PASQUALETTO AL TERZO GIORNO DEL CORRIERE
DAL NOSTRO INVIATO CASELLE TORINESE (Torino) – Certo, c’è una tazzina, c’è una caffettiera e c’e un guanto in lattice. E c’è la stranezza che a trovarli per caso in una buca vicino alla casa della strage sia stato proprio il figlio che stava portando i suoi cani a passeggio. Cosa che ha indotto qualcuno a pensare al giallo di Avetrana, dove Michele Misseri diceva di aver trovato casualmente il cellulare della nipote e vittima Sara Scazzi. Ma al di là dei singolari ritrovamenti di ieri, gli inquirenti stanno cercando di stringere il cerchio sull’assassino attraverso un’indagine molto più tecnica, quella sul traffico telefonico. In particolare, è stata analizzata la cella telefonica che aggancia i cellulari della villa di Caselle Torinese teatro del triplice omicidio di Claudio Allione, di sua moglie Mariangela Greggio e della madre di lei, Emilia Dall’Orto.
Gli uomini del comandante Domenico Mascoli hanno infatti notato come fra venerdì e sabato scorsi, giorni nei quali è stato commesso l’efferato delitto, la zona sia stata frequentata in modo anomalo da alcune persone che non abitano a Caselle ma che hanno avuto rapporti con la famiglia Allione. Diretti o indiretti, cioè attraverso qualche parente. E’ incrociando questo dato con le dichiarazioni di Maurizio Allione e il suo strano ritrovamento che sono state fatte alcune verifiche nella tarda serata di ieri al termine del secondo interrogatorio fiume del giovane nel quale lo stesso ha cercato di dare una spiegazione al mistero, accompagnato in caserma dalla fidanzata Milena e dal suo difensore, l’avvocato Stefano Castrale. Su quella tazzina, su quella caffettiera e su quel guanto potrebbero infatti esserci proprio le impronte del carnefice, di chi cioè ha prima bevuto un caffè con le sue vittime, forte della conoscenza con loro, per poi uccidere e liberarsi della prova che lo poteva schiacciare.
Un’ipotesi. Chi, dunque, può essere costui o costei? A questo punto gli investigatori hanno ripreso in mano il puzzle dell’indagine e hanno notato che oltre agli anomali movimenti svelati dalle celle telefoniche, per qualcuno l’alibi non era esattamente di ferro, essendo già stato sentito come persona informata sui fatti. Ecco perché gli inquirenti hanno deciso di affondare un po’ il colpo, battendo una nuova pista investigativa. «Non ci sono per il momento indagati, c’è però qualche nuovo sospetto su altre persone che nulla c’entrano con Maurizio e i suoi amici», sussurrava ieri sera un investigatore senza escludere importanti sviluppi nella nottata. Cioè: un’iscrizione nel registro degli indagati e un fermo. E’ solo una possibilità ma anche una speranza, considerato che su questo le pressioni sono molte e una soluzione a breve sarebbe di sollievo per gli inquirenti.
Ma quali sono esattamente le persone verificate dai carabinieri di Torino? Quelle indicate dallo stesso Maurizio, nel corso della sua prima deposizione. A partire dalla signora delle pulizie e dal marito della stessa. La signora era stata allontanata perché mamma Mariangela aveva avuto il sospetto che avesse rubato una collanina. «Mia madre l’aveva mandata via per questo motivo» aveva detto Maurizio nel corso della prima audizione ricordando che a rivelarglielo era stata addirittura la sua fidanzata, Milena, evidentemente in confidenza con la signora. Ebbene, da un primo esame delle celle risulterebbe una strana presenza del marito a Caselle, quando entrambi vivono a Torino. «Ma questo, sia chiaro, non è una prova di colpevolezza, bisogna mettere insieme molte cose». Pare che l’alibi dell’uomo non fosse granitico: «Ma anche questo non è abbastanza ed è tutto da verificare», insistevano prudentemente gli inquirenti fino alle 11 di ieri sera.
Nella lista di Maurizio c’è anche un impresario che aveva eseguito i lavori di ampliamento della casa e che a suo dire avrebbe preteso più soldi del dovuto; e c’erano i vicini che la signora Mariangela aveva portato in tribunale per ingiurie. Ma su questi ultimi nessun sospetto sembra gravare. Fin qui, la nuova pista investigativa. Che un po’ rende meno interessanti i filoni seguiti fino a ieri. Come l’analisi bancaria dei conti correnti e i buchi nel racconto del giovane. Sempre dal lavoro sui flussi telefonici sembra infatti che la sua versione dei fatti non corrisponda esattamente a quella che emerge dai brogliacci. C’è molta attesa invece per i risultati delle analisi del Ris, che dovranno dire chi c’era nella casa di Caselle quella notte e chi ha bevuto quel caffè. Rimangono un paio di dubbi: possibile che l’assassino si sia disfatto della prova del delitto in un modo così sgangherato? E possibile che proprio Maurizio lo abbia scoperto? Curiosità: quella notte era andato a giocare a risiko con gli amici, un gioco di strategia. Oggi l’autopsia dirà di più.
Andrea Pasqualetto
PEZZO DI IMARISIO
DAL NOSTRO INVIATO CASELLE TORINESE (Torino) — Alle undici del mattino Maurizio Allione si sente stretto. «Non trovo altro modo per descrivere quel che provo. Come avere un cappio alla gola, mi manca l’aria».
L’uomo che tutti cercano, il sospettato unico e per molti già in odore di colpevolezza, appare dove nessuno si aspetta di vederlo, eppure si tratta anche del luogo più logico. E’ la scena di un crimine orrendo, è anche casa sua. Gli abitanti di via Ferrari lo guardano come mai avevano fatto prima, qualche signora strabuzza gli occhi, in pochi lo salutano. Lui e la fidanzata Milena camminano con i due pastori tedeschi al guinzaglio. Hanno entrambi la faccia stravolta, ma non si nascondono, non scappano.
«Piacere, Maurizio». La mano destra trema in modo vistoso, lo stato di agitazione è evidente, dagli occhi cerchiati di rosso, dal gesticolare nervoso. «Adesso scriverete che anche questa è una prova contro di me, senza pensare che avrei ogni diritto stare male, con quel che mi è successo. Non ho avuto il coraggio di entrare in casa, non so neppure se i carabinieri mi avrebbero dato il permesso. Mi sorvegliano e mi ascoltano, lo so. Io rispetto il loro lavoro, ma loro sono molto pressanti, mi stanno addosso. Capisco di essere sospettato, ma ci sarà pure qualcun altro in giro che può avere fatto questa cosa. Perché io proprio non sono stato».
La strana giornata di Maurizio e Milena comincia con loro due che passeggiano tenendosi stretti per mano, quasi a darsi coraggio, intabarrati in spesse giacche di pile, e finisce in due stanze diverse della caserma dei carabinieri di Caselle, uno lontano dall’altro, l’interrogatorio avanti ad oltranza, confrontare versioni, verificare discrepanze, invitare alla riduzione del danno giudiziario in attesa di una confessione che non arriva. Non è una sorpresa, non per lui almeno. Se lo aspettava, poche ore prima aveva anticipato il seguito della sua prima uscita pubblica dopo la morte dei genitori e della nonna. «Con me non hanno finito. Credono che abbia ammazzato i miei per i soldi. Ma perché avrei dovuto farlo? Mi aiutavano quando ne avevo bisogno. Ogni tanto papà mi pagava l’assicurazione della macchina, e quando non ce la facevo, la nonna mi dava i soldi per le spese condominiali. Come fanno tutti».
Milena si rivolge solo al suo fidanzato, con espressione sempre più corrucciata e occhi sbarrati. Il suo linguaggio del corpo trasmette una idea di autodifesa, non si fida di chi ha davanti, e in fondo ci sarebbe anche da capirla, comunque vada. Maurizio continua a tremare, a ogni frase che pronuncia la mano tormenta il lobo di un orecchio, con un gesto ripetuto del quale non ha consapevolezza. Ma non dà l’impressione di concedersi, di fare un favore, piuttosto sembra quasi sollevato, e vai a capire se è una posa, questa esibita disponibilità, oppure una necessità che gli viene da dentro, ormai anche lui dovrebbe sapere di camminare sul filo, perché oggi le parole e gli sguardi della gente che lo incrocia sono dure, prive di compassione, e con il passare del tempo, con il crescere dell’attesa, non andrà a migliorare.
I due fidanzati cambiano itinerario della passeggiata con i cani, quasi percepissero il clima ostile del vicinato. Appena girano l’angolo e imboccano strada Caldano e i prati oltre la carreggiata, le voci riprendono a correre. Anna Uras, domicilio a due villette di distanza da quella della strage, racconta di liti, minacce, urla. «Ogni volta che Maurizio li andava a trovare c’erano sempre delle discussioni. Lui alzava così tanto il tono con la mamma che le sue urlate si sentivano in tutto il circondario, altroché». Sembra un canovaccio già recitato, già sentito, in altre villette simili a questa, in altri apparenti idilli domestici che solo dopo la tragedia non si rivelano più tali. All’inizio c’è la fase che prevede il peana della «famiglia normale», poi una volta passata l’impressione per quel crimine così vicino e individuato un presunto colpevole, all’improvviso tutti si ricordano di qualcosa che, «a pensarci bene», non andava, non funzionava.
Mimma Filippelli, altra vicina di casa, sostiene di poter soltanto intuire i motivi delle discussioni continue tra padre e figlio. «Maurizio non lavorava e questo non fa mai piacere a un genitore perbene. Comunque sia litigavano spesso e le grida si sentivano dalla strada». Ieri c’era riserbo, oggi si sono rotti gli argini della discrezione, c’è solo da scegliere. La comunità di via Defendente Ferrari ha il verdetto in tasca. Una signora — «mi raccomando l’anonimato» — racconta che sabato sera i cani dei signori Allione erano liberi in giardino ma meno vitali del solito, «come se qualcuno gli avesse dato della droga».
A vederli da vicino, con Milena che preme sul braccio di lui per suggerirgli di fermarsi, basta parlare, sembrano invece due ragazzi spaventati e fragili, di un pallore che li rende quasi di carta velina. Lei voleva fare la giornalista, ha studiato alla scuola della curia torinese, lui suona la batteria in un gruppo hardcore punk, e quando qualcuno gli nomina Henry Rollins e Bad Religion, numi tutelari del genere, si lascia andare a un sorriso quasi di riconoscenza. E poi viene da pensare che questo è solo un lato della luna, ci sono i sospetti, le indagini che convergono, gli alibi che forse non tengono, le mezze frasi degli inquirenti che suggeriscono come le altre piste, insomma, meglio lasciarle perdere.
Gli unici a non rendersi conto dell’ambiguità di questi giorni sospesi sono loro. Maurizio racconta dettagli con una sobrietà che può anche essere scambiata per freddezza. «Di solito i miei non chiudevano mai la porta. Lasciavano dentro la chiave, senza dare mandate. Per loro bastavano i cani che abbaiavano. Se qualcuno voleva entrare dall’esterno bastava che cercasse il tastino elettrico accanto alla porta ed era dentro». La pressione di Milena sul suo braccio si è accentuata, ormai diventa quasi una morsa. E’ ora di andare. Salutano e attraversano la strada. Passa mezz’ora e le agenzie battono la notizia del ritrovamento di oggetti rubati alla famiglia Allione, in un fosso, al bordo di un ponticello di scolo davanti al portone di un’altra villetta.
Massimo e Milena stavano passeggiando e l’occhio è caduto proprio su quel dettaglio, e d’accordo, il caso ci può anche stare, ma alzi la mano chi non ha pensato allo zio Michele di Avetrana che mentre lavora in un campo grande due ettari si imbatte, guarda un po’, nel cellulare di Sarah Scazzi. E così il lento pomeriggio davanti alla caserma con curiosi e giornalisti a scrutare oltre le inferriate, a chiedere lumi non su cosa sta accadendo, ma su quando accadrà, sembra a tutti una conseguenza, un tributo d’attesa da pagare a un finale in apparenza annunciato, quasi ineluttabile. I due fidanzati di Caselle restano chiusi là dentro fino a notte fonda, ognuno per sé, sempre più stretti.
Marco Imarisio
OSSERVAZIONI SULLA TOPONOMASTICA DEL DELITTO
(FIRMA DELL’AUTORE ILLEGIBILE)
Negli anni Duemila i crimini più efferati hanno cambiato scenari e geografia, si sono provincializzati. La segnaletica dei luoghi è già in sé più che esplicita: Novi Ligure, Cogne, Erba, Garlasco, Brembate, Avetrana, Caselle… Non solo delitti familiari. Nell’immediato dopoguerra, fu il caso metropolitano per eccellenza, quello di via San Gregorio 40 a Milano (Rina Fort uccise la moglie e i tre figli del suo amante), ad anticipare la serie dei più clamorosi casi metropolitani di cronaca nera, quelli che segnarono il boom economico e l’Italia del benessere, in cui Roma e Milano vantavano (si fa per dire) un primato con rare eccezioni. Nomi-chiave che ancora oggi conservano un lugubre alone capace di evocare terrore e mistero: Wilma Montesi (1953), Casati Stampa (1970), Simonetta Ferrero (ovvero il delitto della Cattolica, 1971), Milena Sutter (autore il “biondino della spider rossa”, Genova 1971), il massacro del Circeo (1975), Simonetta Cesaroni (ovvero via Poma, 1990), Alberica Filo della Torre (ovvero Olgiata, 1991), Marta Russo (1997) e chissà quanti altri.
Già con il serial killer Donato Bilancia, il baricentro si sposta verso le periferie, ma è con l’esplosione folle di Erika e Omar che il filo rosso-sangue tende decisamente a decentrarsi. Per carità, non è che le grandi città siano (state) risparmiate dalla violenza comune, ma se la nostra memoria collettiva ha registrato negli ultimi quattordici anni qualche tappa dell’orrore italiano, è difficile che le sia sfuggita la toponomastica cui si accennava. Non è strano che il crogiolo della carneficina sia la famiglia, dove le rabbie e i conflitti - nel brusco passaggio antropologico che la periferia vive con ovvio ritardo rispetto alle comunità urbane - esplodono in modo spesso cieco e distruttivo.
Vittorino Andreoli fa notare come psicologi e criminologi tendano a sostituire il concetto tradizionale (e in fondo generico) di violenza con quello di distruttività, cioè furore e desiderio di annientamento, voglia di cancellare un mondo (spesso il proprio). Resta da capire se la (relativa) maggiore calma della metropoli sia l’indice di un’assuefazione o - come sostiene qualcuno paradossalmente - addirittura il segno di una scemata vitalità. Quasi una narcosi. Oppure se la convivenza urbana, più aperta al flusso del cambiamento, abbia finalmente trovato un modo ragionevole per elaborare con (sempre relativa) dolcezza le contraddizioni del nostro tempo.
TITOLO DELLA STAMPA IL 6 GENNAIO
Orrore a Caselle:
famiglia sterminata
Sotto torchio il figlio
Accoltellati nella loro villetta
PRIMO PEZZO DI CRONACA DEL PRIMO GIORNO 6 GENNAIO
Massacro nella villa: uccisi
moglie, marito e suocera
Tutti ammazzati a coltellate. Il figlio di 29 anni era in vacanza
Massimiliano Peggio Gianni Giacomino
I due pastori tedeschi della famiglia Allione erano rinchiusi nel sottoscala quando ieri, poco dopo mezzogiorno, i carabinieri sono entrati nella villetta di paramano non lontano dall’aeroporto torinese di Caselle. Addestrati ad attaccare gli estranei, li hanno sentiti ringhiare, imprigionati al di là della porta. Dentro l’abitazione, tre cadaveri e odore di morte. Tutti uccisi con numerose coltellate, segno di accanimento e rabbia. Una famiglia sterminata.
Unico sopravvissuto un figlio di 29 anni, disoccupato, incensurato, segnalato in passato per possesso di droga, rintracciato in vacanza e interrogato a lungo dagli investigatori. Per ora non escludono alcuna pista. Compresa quella della rapina, anche se dall’abitazione non mancherebbe nulla.
La più anziana delle vittime, Emilia Dall’Orto, 93 anni, radici venete, è stata trovata al piano terra della villetta, distesa supina nel letto, semicoperta da un lenzuolo. Al piano di sopra, riversi nel corridoio dell’ingresso, a un metro di distanza l’uno dall’altro, c’erano i corpi della figlia, Mariangela Greggio, 65 anni, professoressa in pensione, e del marito, Claudio Allione, 66 anni, ex dipendente dell’aeroporto ed esperto addestratore di cani.
Triplice omicidio. A trovare i corpi e a dare l’allarme ai carabinieri è stato un amico di Maurizio Allione, il figlio della coppia, in vacanza ad Aosta da venerdì scorso in compagnia della fidanzata, Milena Reineri. «Potresti fare un salto a casa dei miei a controllare? Non mi rispondono al telefono» ha detto ieri mattina all’amico Andrea Pagano, 20 anni, pregandolo di raggiungere la villetta di via Ferrari 13, in fase di ristrutturazione, a poche centinaia di metri dalla pista dell’aeroporto. Per entrare in casa, gli ha indicato dove trovare le chiavi di riserva. Così ha fatto. I cani erano nel sottoscala. Superato l’ingresso, ha trovato i corpi. Sconvolto, ha chiamato aiuto.
Subito si è ipotizzato un avvelenamento per l’esalazioni di una stufetta. Nelle stanze non c’erano tracce evidenti di sangue. Poco dopo si è scoperta la verità. Un’altra strage. Questa, però, non sembra avere nulla a che vedere con la tragedia di Capodanno, a Collegno, sempre nel torinese, con tre omicidi e un suicidio. In questo triplice delitto c’è una firma intrisa di rancore e ferocia. Qualcosa di personale.
Un mistero, al momento, su cui stanno indagando i carabinieri del Nucleo Investigativo del comando provinciale di Torino, coordinati dal pm Fabio Scevola. Il figlio è stato sentito per ore, fino a tarda serata, sia dal magistrato sia dagli investigatori. Ha raccontato di essere andato in montagna con la fidanzata, ospite in Valle d’Aosta a casa di amici. Anche la ragazza è stata sentita, così come gli altri giovani che hanno trascorso il weekend con Maurizio Allione. In queste prime fasi d’indagine gli inquirenti cercano elementi certi e soprattutto conferme alle sue dichiarazioni.
Secondo i primi accertamenti del medico legale, la morte dei tre risalirebbe ad oltre 24 ore prima del ritrovamento. Indicazione confermata dalle dichiarazioni di una vicina di casa che nella giornata di sabato ha visto insolitamente la porta del garage socchiusa e una luce dimenticata accesa. «Era una famiglia metodica, riservata. Facevano sempre le stesse cose, non avevano nemici. Brava gente». La vicina di casa si è persino preoccupata di avvisare la signora Mariangela, per dirle di chiudere il garage. «Ho provato a chiamarla al telefono, ma squillava a vuoto. Così ho lasciato perdere. Avrei dovuto insistere...». Probabilmente la signora Mariangela, professoressa in pensione di stenografia e informatica, ha lottato prima di morire. Le perle del suo inseparabile girocollo erano sparse sul pavimento. Strappate, forse, dall’assassino, nella furia della colluttazione.
SECONDO PEZZO DEL PRIMO GIORNO 6 GENNAIO
Dieci ore di interrogatorio. Chiuso dalle 13,30 nella caserma dei carabinieri di Caselle, con la fidanzata Milena Reineri e l’amico del cuore, Andrea Pagano. Lui è Maurizio Allione, 29 anni, figlio unico di Mariangela Greggio e Claudio Allione, nipote prediletto di Emilia Campo D’Allorto.
Attualmente è disoccupato ma, nel suo passato, c’è una serie notevole di lavori vari, puntualmente elencati nel suo curriculum. Niente di strano, in tempi come questi, nel segno di un precariato giovanile frustrante e fonte di immense tristezze in tantissime famiglie. Mamma e papà, questo ragazzo con alle spalle un paio di segnalazioni per uso di droghe (ma è incensurato), qualche preoccupazione - uscendo dal loro ferreo riserbo - l’avevano lasciata trapelare. E volevano che, dal mini-alloggio della Falchera, che condivideva saltuariamente con la fidanzata Milena, si trasferisse nella villetta Anni 70 di Caselle. Non solo parole ma una ristrutturazione profonda della casa, con l’ultimo piano tutto per lui. Ne era venuto fuori un bell’appartamento da oltre 150 metri quadri, completo all’80 per cento. Mancavano solo infissi e impianti. Tutto regolarmente pagato. Gente precisa. Poi i genitori si erano accorti che il figlio tergiversava un po’, che non era proprio così deciso a unirsi a loro e così la signora Mariangela aveva detto chiaro all’impresario che era meglio sospendere i lavori. Oggi, sopra l’alloggio della famiglia, oltre le finestre vuote, si vedono i soffitti della mansarda e i lucernari da completare.
Per proteggerne le privacy, avevano studiato entrate indipendenti dall’ingresso principale della casa, dal cortile-giardino proprio a fianco dell’ingresso. L’ultimo impiego di Maurizio è come magazziniere carrellista dall’agosto 2011 sino allo scorso ottobre. Prima ancora, impiegato amministrativo contabile nella Libreria Mondadori di Torino. Poi, nel 2010, «addetto customer service» in Tnt Global Express. L’ultima casella riguarda il suo impegno da volontario nel servizio civile.
Diplomato al liceo scientifico «Gobetti» di Torino, infine una lunga serie di diplomi e corsi, in informatica e su aspetti tecnici anche sofisticati. Uno dei corsi di computer lo consegue nell’istituto D’Oria di Ciriè, dove mamma Mariangela ha insegnato per decenni e dove tutti la ricordano con un affetto speciale.
Un anno fa, dicono gli amici che ora guardano assorti e perplessi in su, verso le finestre con le luci rimaste accese della casa del triplice delitto. Spiega Marco, compagno di scuola della medie: «Maurizio è un ragazzo come tanti, sensibile, sarà sconvolto per quanto è successo, l’ho visto solo per pochi minuti, stamane (ieri mattina, ndr), quando lui e Milena sono venuti per prendere in consegna i due lupi dei genitori, i carabinieri non potevano continuare le indagini, sono molto aggressivi, nel senso che proteggono il loro territorio, il padre li aveva addestrati proprio per questo, con loro chiusi nel sottoscala». E cosa le ha detto? «Niente. Un saluto e poche parole, non sapevo niente e mi sono avvicinato perché ho visto le pattuglie dei carabinieri ferme davanti ai cancelli e poi le ambulanze. «Papà e mamma sono morti». Niente di più. Ho pensato a una disgrazia, in quella casa non c’era neanche il gas, c’erano stufe a legna. Avevano fretta di andare via, i cani sembravano agitati, quasi incontrollabili». Marco è stato sentito, come tanti altri testimoni, dagli investigatori. Altri rivelano che il padre, nei periodi in cui era senza lavoro, gli aveva trovato un lavoro nell’aeroporto di Caselle, dove era impiegato, ma anche questo era durato poco.
Maurizio è un appassionato di musica, suona la batteria in un gruppo composto da coetanei della zona. Tra le tante specializzazioni, anche quella di «tecnico multimediale per il settore artistico». Bravo nel realizzare video, innamorato delle tecnologie. E di Milena.
“Una famiglia benestante
L’unico cruccio, il ragazzo”
I vicini di casa: “ Gentili e abitudinari, avevano terreni e proprietà ma vivevano senza sfarzi”
Nadia Bergamini
Rita Fornelli allarga le braccia sconsolata. È anziana, ma fatti come questo, non ne aveva mai visti. Non riesce ancora a credere a quello che è successo a due passi da casa sua. È frastornata: «Posso solo dire che questa mattina il figlio mi ha telefonato perché non riusciva a mettersi in contatto con i genitori e la nonna. Mi ha chiesto se li avevo visti, se stavano bene». Rita Fornelli e Ernesta Picatto, un’altra anziana che abita in via Defendente Ferrari, già la sera prima erano in allarme. «Non li avevamo visti per tutto il giorno – racconta la Picatto – e già questo era strano. In più il garage aveva una porta semiaperta, le luci esterne erano accese e non c’erano i cani. Io e Rita siamo andate fino al cancello verso le 20, abbiamo suonato più volte, ma nessuno ci ha risposto. Rita ha perfino provato a chiamare Mariangela sul cellulare, ma inutilmente. Poi stamattina è stato suo figlio a chiamarla e chiederle notizie dei genitori».
Benvoluti e stimati da tutti Claudio Allione, 66 anni, dipendente in pensione del vicino aeroporto «Sandro Pertini», Maria Angela Greggio, Mariangela come tutti la chiamavano, 65, ex insegnante all’Istituto D’Oria di Ciriè e Emilia Campo D’Allorto, 93, abitavano in quella grande casa dai primi Anni 70 del secolo scorso. Un quartiere di villette e palazzi a due, tre piani. Un quartiere tranquillo dove tutti si conoscono. «Erano una famiglia unita. Persone perbene, ma molto riservate. Lavoratori instancabili». È una litania.
Davanti alla loro casa ieri è stato un viavai di vicini increduli. È accorso in via Ferrari anche Alessandro Favero, l’impresario che da due anni stava ristrutturando la loro casa. «Persone a modo – ricorda –. Brava gente. La nonna, originaria del Veneto, nonostante l’età era arzilla e lucida. Sapeva sempre quello che voleva. Anche la signora era una persona a modo, gentile, ma decisa nelle sue scelte. Il marito l’ho visto poche volte. Era un uomo taciturno e molto pacato». Una famiglia apparentemente senza problemi. Neppure di denaro. «Stavano bene. Oltre questa casa e ad alcune proprietà in Veneto – prosegue Favero – avevano molti terreni, anche se poi avevano deciso di vivere in maniera piuttosto modesta. Era gente semplice che pagava puntualmente senza batter ciglio. Cosa non comune in questo periodo. Gli ultimi lavori per sopraelevare la casa e fare un alloggio per il figlio erano costati più di 50 mila euro. Ci eravamo fermati solo perché dovevano decidere come fare le finiture».
Erano semplici e abitudinari. Il marito ogni mattina usciva per la spesa, poi parcheggiava l’auto nel piccolo cortile e liberava i due grossi pastori tedeschi fino a sera, quando li ritiravano per la notte. «Ci vedevamo in cortile – ricorda ancora la Picatto – o dalle finestre e scambiavamo due parole». Si raccontavano degli acciacchi dell’età e dei problemi del figlio che faticava a trovare un’occupazione. Mariangela era da tempo preoccupata e non ne faceva mistero del futuro di quel figlio che in pochi conoscono e ricordano. L’unica cosa che tutti rammentano è la sua ossessione per la batteria. «Quando veniva a trovare i genitori, tutto il vicinato lo sapeva, perché suonava per ore».
La musica era la sua grande passione, tant’è che qualche anno fa quando aveva fatto il servizio civile all’Informagiovani di Caselle, proprio della parte musicale si era occupato. «Non li conoscevo – ammette il sindaco Luca Baracco -. Ricordo solo Maurizio, ma da qualche anno avevo perso di vista anche lui. Era andato ad abitare a Torino, non l’ho più incontrato. Spero che gli inquirenti facciano al più presto luce sulla vicenda. Per la nostra comunità resta un’immane tragedia».
Telefonate e alibi
Così s’indaga sul giallo
Dalla scoperta dei corpi ai testimoni tutta la giornata degli investigatori
Massimiliano Peggio
Gli orari. Ecco la sequenza di due giorni di indagini, tra interrogatori e accertamenti tecnici. Ore intense per gli investigatori del nucleo investigativo dei carabinieri, al comando del colonnello Domenico Mascoli, alle prese con dichiarazioni da verificare, tabulati telefonici da analizzare e riscontri scientifici da attendere con pazienza perché nella realtà non sono così rapidi come nei telefilm alla Csi.
Alle 12,15 di domenica scorsa, Andrea Pagano, amico di Maurizio Allione, in vacanza in Valle D’Aosta, chiama il 112. Dà l’allarme, dicendo di aver trovato i corpi della mamma e del papà di Maurizio riversi nel corridoio dell’ingresso. «Venite subito ci sono dei morti» dice. L’operatore lo invita a dare indicazioni più precise. Esita, è sconvolto. Dopo qualche istante fornisce l’indirizzo preciso e descrive la scena che ha trovato nella casa. «Sono entrato nella villetta - racconta - seguendo le indicazioni del mio amico, che mi aveva pregato di andare a trovare i suoi genitori. Ho visto i due cadaveri nel corridoi. Mi sembravano uno sopra all’altro. Ho dato subito l’allarme al 112. Poco dopo ho chiamato Maurizio dicendogli di tornare a Torino, ma senza spiegargli i dettagli».
Alle 12,30, in via Ferrari 13, arrivano i soccorsi. Un’ambulanza del 118, una squadra dei vigili del fuoco e una pattuglia dei carabinieri di Caselle. I soccorritori entrano nell’abitazione credendo di imbattersi in una tragedia provocata del cattivo funzionamento di una caldaia. L’aria è pesante, le luci sono spente. All’interno trovano i tre cadaveri. La caldaia è ancora in funzione.
Alle 13 lo scenario cambia. Si scoprono le lesioni. Da un primo esame dei corpi si capisce che sono stati uccisi a coltellate. Arriva un medico legale dell’azienda sanitaria di zona. Conferma la presenza di numerose coltellate e profonde. Il padre e la nonna sarebbero stati colpiti anche alle spalle. È un caso di omicidio. Un triplice delitto. Iniziano le indagini e le ipotesi.
Alle 14 i carabinieri iniziano a sentire Maurizio Allione nella caserma di Caselle. Un faccia a faccia serrato con i militari e il pubblico ministero.
Alle 15 i carabinieri del Sis, l’unità scientifica del comando provinciale di Torino, versione territoriale del Ris, fanno i primi rilievi sulla scena del crimine.
Alle 16 vengono convocati altri amici. Si va avati così per tutta la giornata di domenica. Si ricostruiscono le storie dei personaggi. In serata vengono sentiti anche la ragazza e altri conoscenti.
Alle 17 il pubblico ministero, Fabio Scevola, incontra il giovane. Dispone gli alcuni accertamenti, tra cui l’autopsia, che sarà eseguita nelle prossime ore.
Alle 23 i militari accompagnano Maurizio nella sua casa del quartiere Falchera, zona popolare alla periferia nord di Torino, a pochi chilometri da Caselle. Strada facendo, confessa agli investigatori di avere in casa 100 grammi di droga.
Alle 2, dopo aver passato l’intera giornata a rispondere le domande dei carabinieri, Maurizio lascia la caserma del comando provinciale a va a dormire da un amico. Esce dalla caserma provato.
Alle 9 di ieri sono ripresi gli interrogatori dei carabinieri. Finora sono più di venti le persone sentite a verbale.
Alle 15 arrivano nella villetta gli esperti del Ris di Parma. La loro attività non è ancora conclusa. Il sopralluogo proseguirà oggi.
“Uccisi? Non posso crederci
Non hanno mai subito minacce”
L’interrogatorio del figlio: “Sabato ho suonato a Torino, domenica ero ad Aosta”
Massimo Numa
All’inizio sconvolto. «Li hanno uccisi? No, non posso crederci». Maurizio Allione, 29 anni, magazziniere-carellista disoccupato da ottobre, è appena entrato nella caserma di Caselle. I carabinieri gli hanno comunicato (con tutte le cautele) che i suoi genitori e la nonna sono stati trovati orribilmente massacrati a coltellate nella villa di famiglia. Muto e incredulo. Poi inizia a rispondere alle prime domande, ripetendo più volte la stessa versione, senza mai contraddirsi con la fidanzata Milena Reineri e ribadendo di avere un alibi sia per il venerdì sera che per tutto il sabato successivo.
Frasi secche e coerenti. «L’ultima volta che ho visto i miei genitori è stato giovedì, sono andato a trovarli a casa, dove ero già stato alcuni giorni prima in occasione delle festività del Natale». Poi: «venerdì sera ho suonato in un locale di Torino dove c’erano anche altri miei amici e il giorno dopo io e la mia ragazza siamo partiti per Aosta».
Preciso: «Quando sono arrivato ad Aosta ho chiamato i miei per dire che ero arrivato, come facevo sempre, ma non rispondevano al telefono. Ho provato diverse altre volte, niente».
Ancora: «Domenica mattina mi sono preoccupato e, visto che continuavano a non rispondere, ho deciso di telefonare a un mio amico per dire che andasse a controllare, spiegandogli come poteva entrare in casa senza usare le chiavi, era un sistema che conoscevamo solo noi della famiglia e nessun altro».
I coniugi Allione erano in pericolo? «Non mi risulta che i miei genitori avessero dei nemici o persone intenzionate a far loro del male, né mi avevano mai detto di avere paura o di avere subito recentemente minacce da qualcuno». Considerazioni generiche. «Sapevo che nella zona erano avvenuti molti furti, ma la casa era protetta dai cani e dalle misure che avevano adottato i miei genitori».
Con il trascorrere delle ore, si delinea con più precisione la personalità di questo ragazzo, figlio di una professoressa di informatica conosciuta per il suo rigore e preoccupata per il suo futuro. Negli ultimi anni la passione per l’hardcore punk lo aveva totalmente assorbito.
Il suo profilo Facebook, cioè quello di un alter ego, Mox Sushai, è un resoconto entusiasta, circoscritto a pochi mesi, dell’attività musicale. Foto e video musicali dell’ultimo disco, autunno 2013. Un gruppo conosciuto nel circuito della musica alternativa. L’ultimo concerto il 3 dicembre alle «Lavanderie Ramone» nel quartiere multi-etnico di San Salvario.
Le foto delle vacanze al mare, lui sulla spiaggia con la sua ragazza Milena. Su Fb modifica solo leggermente il cognome e posta la sua foto, su un prato con i due cani-lupo dei genitori di Maurizio, anche loro al centro di un giallo sempre più complesso e delicatissimo per le vite delle persone coinvolte. Perché non ci sono prove, né indizi, contro la coppia di fidanzati. La vita di Maurizio è quella di un ragazzo come tanti, che dopo il diploma al prestigioso liceo scientifico Gobetti aveva scelto di iniziare a lavorare, passando da un’occupazione precaria all’altra. L’ultimo contratto, in un magazzino di elettronica, s’era concluso a fine ottobre. Su Fb, solo la notizia dell’ennesimo rapporto di lavoro finito nel nulla. Senza commenti. Una collega della mamma insegnante sintetizza in un flashback: «Era una donna riservata e poco incline alle confidenza ma un giorno l’abbiamo vista piangere. Temeva per il futuro di Maurizio».
“Nessuna effrazione nella villetta”
Al lavoro anche gli uomini del Ris: sperano di trovare impronte nel locale dov’erano rinchiusi i due cani
Gianni Giacomino Massimo Numa
Rompicapo. Nel labirinto della villa del mistero, i cinque carabinieri del Ris di Parma cercano gli indizi e le prove per incastrare l’assassino, o gli assassini di Claudio Allione, 66 anni, funzionario in pensione dell’aeroporto di Caselle; la moglie Mariangela Greggio, 65 anni, professoressa di steno e informatica in un istituto di Ciriè (Torino) e la madre di quest’ultima, Emilia Dell’Orto, 93 anni.
Ieri per orientarsi nella casa gli investigatori si sono fatti aiutare dalla domestica di famiglia. La colf degli Allione (che non rientra fra i sospettati) è infatti l’unica a conoscere davvero tutti gli anfratti e l’intrico di mobili, oggetti, libri, scatole, valigie e bauli che ingombrano ogni angolo dell’appartamento al primo piano, di circa 150 metri. Lei conosceva anche dov’era il «pulsante segreto» per aprire la porta senza usare la chiave. Non lo sapevano altri, a parte i familiari. Cinque ore di lavoro e oggi si ricomincia con la caccia alle impronte digitali. I tre cadaveri sono stati ritrovati domenica mattina da un amico del figlio delle vittime, Andrea Pagano. Il figlio. Maurizio Allione, 29 anni, disoccupato, era in Valle d’Aosta con la fidanzata Milena; aveva visto mamma e papà l’ultima volta giovedì. I carabinieri lo hanno interrogato per 12 ore. Dopo averlo denunciato per il possesso di un etto di marijuana, nascosta nella sua casa del quartiere Falchera.
La scena del crimine può raccontare «ancora molto», dicono i detective, sia per chiarire la dinamica del delitto, sia per risalire a chi l’ha commesso. Gli esperti hanno esaminato palmo a palmo tutti gli ambienti della casa e se ne sono andati dopo aver sequestrato indumenti, lenzuola e soprammobili da analizzare in laboratorio in cerca di tracce biologiche, da cui ricavare profili genetici da comparare con quelli dei sospettati.
Gli investigatori del Ris si sono messi alla ricerca delle impronte latenti, invisibili a occhio nudo. Lo hanno fatto utilizzando il ciano-acrilato, un composto chimico in grado di evidenziare particolari nascosti, magari coperti da altre tracce lasciate da chi è dovuto intervenire quando sono stati scoperti i corpi. Corpi sui quali l’assassino o gli assassini hanno infierito in modo crudele, con una ferocia inspiegabile. Per ora gli inquirenti, coordinati dal pm Fabio Scevola, hanno due sole certezze: dall’abitazione non è sparito nulla. Chi ha sterminato la famiglia Allione non ha nemmeno rovistato nei mobili o nei cassetti in cerca di qualcosa da rubare.
Secondo. Chi è entrato nella villa o conosceva bene i proprietari tanto da farsi aprire oppure era in possesso delle chiavi. Perché non ci sono segni di effrazione su porte o finestre. I carabinieri del Ris hanno poi concentrato la loro attenzione sul sottoscala, dove qualcuno ha rinchiuso i due cani lupo. Proprio lì potrebbero essere state rilevate delle impronte diverse da quelle di Claudio Allione che aveva personalmente addestrato i due animali. In queste ore i militari del nucleo investigativo, hanno continuato a sentire altre persone. Una ventina in tutto. Quasi tutti amici di Maurizio Allione che, ieri, insieme alla sua ragazza Milena Reineri, ha scelto di sparire dalla circolazione. Ora gli inquirenti attendono i risultati dell’autopsia che verrà effettuata nell’obitorio Mauriziano di Lanzo. L’esame autoptico chiarirà con esattezza l’ora della morte. Un particolare ritenuto fondamentale per le indagini. E non è ancora stata trovata l’arma del delitto, un affilato stiletto con la lama lunga pochi centimetri. Non più di dieci.
PEZZI DELL’8 GENNAIO
Maurizio sotto pressione:
“Ora ho perfino paura
di mettere piede in casa”
Di nuovo interrogato dai carabinieri, si sfoga: “Nonna era cieca, perché uccidere pure lei?”
Massimo Numa
Come stai? «Ho paura, molta paura. Vi prego...». Maurizio Allione, 29 anni, cammina lento, vicino la sua ragazza, Milena Reineri e i cani lupo dei genitori. Sono in un prato distante poche decine di metri dalla villa del delitto. Circondati dai carabinieri in borghese. Magro, alto, i jeans a vita bassa, la felpa grigia con il cappuccio, proprio come compare sulla copertina in bianco e nero dell’ultimo disco del suo gruppo di musica hardcore punk.
«Mani legate»
Il trailer riprende una sintesi del testo base: «Mani legate», un titolo - vista la situazione - sinistramente ironico. Versi impegnativi: «...Mi rifletto in quello che odio incapace di dirti di no, ancora una volta io fuggo. Il tempo che scorre veloce le mani legate, incapace di dirti di no tu che non sbagli mai tu che non perdi mai, maniache ragioni sussurrano abbiamo già rotto il silenzio, i quadri hanno lasciato il segno sui muri ingialliti dal troppo sudore nell’aria piena di noia...».
«Ho comprato vestiti»
Un’ombra di barba, il volto terreo. Nella foto degli Alldways lui è l’ultimo a destra, l’espressione indecifrabile. Testa bassa, passo lento, attento a non farsi vedere dai cronisti che affollano la strada davanti al suo cancello. «Ho provato a entrare a recuperare vestiti e altro - spiega - siamo tornati indietro spaventati, siamo troppo sotto pressione, non riesco neanche più a dormire». Lui e Milena, pallida, corrucciata, silenziosa ed evidentemente ancora sotto choc, sono andati in un market a comprare magliette e biancheria. Ha uno sguardo sgomento, incredulo di ritrovarsi al centro di un’attenzione così intensa.
«Rispetto i carabinieri»
«Rispetto il lavoro dei carabinieri, sono pronto a rispondere a tutte le domande ma sono sconvolto. Ripete: «Ho paura, non voglio dire nulla, non vi avvicinate». Chiede ai militari di proteggerlo dalle macchine fotografiche che lo riprendono. Scatto dopo scatto. «Non sono stato io, non ho fatto niente». I carabinieri se ne stanno silenziosi, ascoltano le sue spiegazioni. Poi riprendono le ricerche, anche con il metal detector, degli oggetti che lui ha casualmente notato, durante la lunga passeggiata con i lupi. Tazzine e altro, di proprietà della sua famiglia, abbandonate (forse) dall’assassino o dagli assassini. «Le ho viste nella camera della nonna - dice - credo siano quelle». Bel mistero. Il fosso è scandagliato centimetro dopo centimetro. C’è la sensazione che sia stato trovato lo stiletto, dalla lama corta, affilata e triangolare, con cui sono state orrendamente uccise le tre vittime, colpite anche dopo morte. Invece niente. Maurizio si era precipitato , quando l’amico Andrea Pagano gli aveva detto al telefono che i genitori erano morti, da Aosta a Caselle: «Ero sotto choc, non ci credevo»
«Non sono entrato in casa»
I militari lo aspettavano e lo hanno bloccato a pochi metri dal cancello. Così, nella villa dove stava per essere completato l’alloggio donato dai genitori, non è rientrato più. «Mia nonna era quasi cieca e non sentiva bene. Perchè uccidere anche lei? Hanno dovuto colpirla nella sua stanza, che motivo c’era», si domanda angosciato.
«Perché mia nonna?»
L’avvocato di fiducia, Stefano Castrale, ha cercato di confortarlo, di indurlo a calmarsi. «Ha bisogno di un supporto psicologico, mi è apparso molto provato, soprattutto per la pressione mediatica». La lunga giornata di Maurizio, si è chiusa alle 21,30, quando gli investigatori hanno terminato, anzi interrotto l’interrogatorio, durato oltre 9 ore. Lo hanno sentito assieme a Milena. Separati, chiusi per ore in stanze diverse e interrogati separatamente.
Uscito di nascosto
Gli leggono il verbale (11 pagine), controllano orari, sms, il flusso delle telefonate. È il primo confronto vero, domande specifiche sui suoi spostamenti nelle 72 ore cruciali di questo triplice atroce delitto dai contorni confusi e incerti. Uscito quasi a notte, nascosto in un’auto dei carabinieri, il cappuccio calato sulla testa, piegato nei sedili posteriori. Il tempo di arrivare nella villetta degli amici fidati. Cancello e porte sprangati. Le luci spente. E oggi si ricomincia.
DUE ASSASSINI?
La scena del crimine
Due assassini, non una sola mano nel triplice delitto di Caselle. Claudio Allione, 66 anni, la moglie Maria Angela Greggio, di 65, e la mamma di lei, Emilia Campo Dall’Orto, di 93 anni, potrebbero essere stati uccisi da due persone, che li hanno aggrediti nella loro abitazione non lontano dall’aeroporto torinese.
È una delle ipotesi su cui dovrà fare luce l’autopsia disposta dal pm Fabio Scevola e fissata per oggi. Un dettaglio che potrebbe alleggerire i sospetti attorno al figlio Maurizio, 29 anni, disoccupato, batterista, da tre giorni al centro dell’indagine, pur non essendo indagato. Anche ieri è stato sentito a lungo dai carabinieri come persona informata dei fatti. Come persona offesa ha chiesto aiuto a un avvocato, Stefano Castrale, uno dei migliori penalisti torinesi. «È una persona sconvolta, a cui è stata sterminata la famiglia. Nonostante ciò - ha detto il legale - comprende il lavoro degli inquirenti».
Lavoro non facile, concentrato al momento su ricostruzioni, studio del traffico telefonico e testimonianze. Claudio Allione è stato colpito tre volte all’addome e due alle spalle. Si è difeso. Sulle sue mani sono presenti ferite che farebbero pensare ad un tentativo di parare i colpi. Le ferite sono piccole, forse inferte con uno stiletto o da in coltello con lama sottile. La donna è stata aggredita alle spalle. Piuttosto evidenti le ferite sul collo. I due coniugi, stando alle ipotesi degli investigatori, sarebbero stati uccisi per primi. Con quanta rapidità e forza avrebbe dovuto agire un assassino solitario per sopraffarli entrambi? La nonna, con problemi alla vista e all’udito ma ancora autosufficiente, residente in una porzione indipendente della villetta, sarebbe stata uccisa per ultima. Come a voler eliminare un testimone scomodo.
Sono le ipotesi su cui hanno ragionato ieri sera i carabinieri del comando provinciale di Torino, nel corso del vertice con gli esperti del Ris, al termine di due giorni di sopralluoghi nell’abitazione di via Ferrari 13. Decine i reperti biologici raccolti dai militari, evidenziati con il Luminol. Sequestrati oggetti, lenzuola, tratti di moquette. La moquette color amaranto, collocata nel corridoio dell’ingresso, che ha assorbito in parte il sangue dei coniugi Allione, i cui corpi sono stati trovati a pochi metri l’uno dall’altro.
I carabinieri del Ris hanno setacciato i dintorni della casa anche con i metal detector, per cercare di recuperare l’arma del delitto. Ieri, mattina, mentre erano i corso i rilievi, Maurizio ha trovato in una roggia vicino alla villetta degli oggetti che apparterrebbero alla sua famiglia: un piattino, una zuccheriera e una tazzina. Accanto c’era anche un guanto in lattice. Tutti gli oggetti sono stati sequestrati per essere analizzati dagli esperti dell’Arma. «Ritrovamento anomalo, tutto da decifrare e contestualizzare» osservano prudenti gli investigatori.
Anche ieri sono continuati gli interrogatori degli amici del batterista. Gli uomini del Nucleo Investigativo si sono dedicati a verificare orari e spostamenti del giovane, a cavallo dello scorso weekend. Maurizio, la fidanzata Milena Reineri e una coppia di amici hanno trascorso il fine settimana in Valle d’Aosta, al Ristoro Saint Roch di Hone, di fronte al Forte di Bard. I quattro sono arrivati a destinazione sabato alle 12,30. Hanno raggiunto Hone con l’auto dell’amico, anche lui residente a Caselle: a prenotare le stanze è stata la sua ragazza. Un soggiorno organizzato all’ultimo momento, alla quale Maurizio e Milena si sono aggregati su invito degli amici, con i quali avevano già trascorso le vacanze estive. «Ci hanno proposto di andare con loro per approfittare di uno sconto del 20 per cento» ha detto Maurizio ai militari. Domenica, il giovane ha anticipato il rientro. «Ero in apprensione per i miei familiari, che non riuscivo a contattare. Per questo ho chiesto aiuto ad un altro amico, Andrea Pagano, che si trovava a Caselle. Sulla strada del ritorno mi ha detto che erano tutti morti».