Anna Guaita, il Messaggero 7/1/2014, 7 gennaio 2014
AFGHANISTAN, FERMATA KAMIKAZE DI 10 ANNI I TALEBANI PRONTI A RIPRENDERE IL POTERE
LO SCENARIO
NEW YORK Per le Nazioni Unite c’è il rischio che l’Afghanistan «si frantumi in uno stato criminale con un’economia basata sul traffico dell’oppio». Per i comandanti britannici c’è la forte possibilità che i talebani tornino al potere, localmente, «già nelle elezioni regionali di quest’estate». Con l’avvicinarsi dell’uscita delle truppe alleate dall’Afghanistan si moltiplicano gli allarmi di coloro che pensano che il Paese non ce la farà da solo, anche se il traguardo di assumere, armare e addestrare 350 mila soldati afghani è stato raggiunto. La recentissima e scottante caduta della città di Falluja, in Iraq, conquistata dalle truppe fedeli ad al Qaeda alla fine di dicembre, dà ora corpo a ipotesi anche più terribili per l’Afghanistan.
Il ministro dell’Interno Angelino Alfano, in visita al contingente italiano ad Herat, ha assicurato: «Non abbandoneremo questo Paese». Lo ha promesso anche alla procuratrice capo della regione, Maria Bashir, che aveva chiesto espressamente che la comunità internazionale non tradisca l’Afghanistan. Ma la situazione è ovviamente sul filo del rasoio: ieri i militari hanno salvato per un pelo una bambina di dieci anni che era stata scelta per immolarsi come kamikaze, per volere di un capo talebano. Sembra addirittura che nella regione di Helmand, proprio dove i comandanti britannici si dicono pessimisti, i soldati afgani facciano già la ronda insieme a colleghi talebani. E nel frattempo il presidente Hamid Karzai continua a rimandare la firma dell’accordo di sicurezza con l’Amministrazione americana, e questo rinvio rende alquanto confuso il futuro delle missioni occidentali in Afghanistan.
Di fatto, gli Usa hanno minacciato di ritirare tutti i soldati, fino all’ultimo, in assenza dell’accordo. Lo stesso è accaduto due anni fa in Iraq: il Pentagono ha riportato a casa i soldati perché non era stato trovato un accordo con il governo di Bagdad sulla loro continua (sebbene molto ridotta) presenza nel paese. E ora, mentre il Segretario di Stato John Kerry e il capo del Pentagono Chuck Hagel assicurano che gli Usa non manderanno più soldati sul territorio iracheno, si sono comunque visti costretti a spedire frettolosamente ai soldati di Bagdad in lotta con al Qaeda a Falluja una grossa quantità di armi.
LE CONDIZIONI DI KARZAI
Karzai aveva posto dure condizioni agli Usa prima di arrivare a un accordo che lascerebbe nel Paese un contingente di alcune migliaia di soldati americani ed europei. Ha ottenuto quasi tutto quel che voleva, eppure non ha firmato la sua parte del documento entro la fine di dicembre, com’era previsto. Adesso fa capire che forse lascerà al suo successore il compito di firmarlo. Ma le elezioni presidenziali sono in aprile, e quindi vorrebbe dire che decine di migliaia di soldati americani, britannici, italiani ecc, non saprebbero in che forma e quando dovrebbe cominciare il ritorno a casa. Al Pentagono spiegano che i tempi sono oramai strettissimi, e non si nasconde una certa irritazione verso i continui tentennamenti di Karzai.
A complicare tutto, è venuta la decisione di Karzai di mettere in libertà 650 detenuti della prigione di Bagram. Fra questi ci sono 88 individui che gli Usa considerano ad alto rischio, uomini che si sono macchiati di attentati sia contro i soldati Usa che contro soldati di altri paesi della coalizione che contro soldati afghani stessi. Nell’accordo che Karzai e gli Usa avevano raggiunto c’era proprio il passaggio dell’amministrazione della prigione di Bagram nelle mani di Karzai, ma la promessa era che nessun detenuto ad alto rischio sarebbe stato messo in libertà.
Anna Guaita