Giampiero Calapà, Il Fatto Quotidiano 7/1/2014, 7 gennaio 2014
LA LUNGA MARCIA DELL’OFFESA DI STATO
C’è anche chi, uno solo per fortuna e per decenza, è finito in galera. Il nome di Giovannino Guareschi ai più oggi non dirà nulla, ma si tratta del papà degli ancora celeberrimi Peppone e don Camillo.
Guareschi, corre l’anno 1950, sente il rumore della porta sbarrata di un carcere chiudersi alle sue spalle perché ha offeso il presidente della Repubblica. Anche se LuigiEinaudi, in realtà, non è affatto d’accordo non sentendosi, paradosso del diritto a rovescio, per nulla offeso: “Ma come – confiderà il presidente a un amico – in 85 anni di monarchia i re e le regine sono stati bersaglio continuo della satira, e non s’è mai fatto un processo come questo. La Repubblica democratica è forse meno tollerante della monarchia, al punto di processare chi ironizza sul fatto che il presidente sia stato e voglia restare produttore e venditore di vini?”. Qual è il misfatto di Guareschi? Aver pubblicato sul suo giornale, il Candido, una serie di vignette, tra cui una in particolare: ritrae un Einaudi minuscolo, accanto a un enorme corazziere che presenta le armi a un pregiato bottiglione di barolo di Dogliani, località nelle Langhe sede della tenuta del presidente stesso. Guareschi è condannato a otto mesi e rimarrà in cella per più di un anno accumulando un’altra condanna per aver pubblicato documenti falsi su Alcide De Gasperi.
ALTRA illustre condannata, non già per lo specifico reato di vilipendio, ma per diffamazione aggravata a mezzo stampa, in quel caso ai danni comunque di un presidente della Repubblica, è la grande giornalista Camilla Cederna. È il marzo 1978, Feltrinelli pubblica “Giovanni Leone, la carriera di un presidente”. Chicca introvabile ormai, raggiunge ventiquattro edizioni e settecentomila copie, ma dopo la condanna nei tre gradi di giudizio quelle pagine sono destinate al rogo, mentre la famiglia Leone è risarcita con seicento milioni di vecchie lire. Un libro, considerando anche la data di pubblicazione, quanto meno irriverente verso l’inquilino del Colle e le sue “grazie facili”; e, al di là della condanna subita dall’autrice, il presidente Leone è messo in enorme difficoltà da quelle pagine, tanto poi da doversi dimettere mentre esplode lo scandalo Lockheed raccontato dalla Cederna (una commessa di aerei militari pagati ben più del dovuto dallo Stato, solo una sorta di antipasto di quello che poi sarebbe stato scoperto con Tangentopoli). E la condanna del libro “fu chiaramente una sentenza politica”, per Carlo Feltrinelli.
IN SEGUITO l’ingiuria nei confronti del capo dello Stato si moltiplica. Da Sandro Pertini, il presidente socialista che esulta ai mondiali dell’82, al picconatore Francesco Cossiga, sempre al centro delle trame dei misteri nella Prima repubblica, gli indagati per vilipendio sono troppi. Con Oscar Luigi Scalfaro va anche peggio. Qualcuno addirittura colleziona più accuse di vilipendio, come Vittorio Sgarbi (due). Fascicoli vengono aperti, ad esempio, su Silvio Berlusconi e Cesare Previti. Anche Marco Pannella e Rita Bernardini, che assistono alla scena di una perquisizione a Radio Radicale. Tra tanti indagati per attacchi verbali a Scalfaro soltanto uno ce la fa, si becca la stessa condanna di Guareschi, otto mesi. Il suo nome è Licio Gelli, il gran cerimoniere della P2, colpevole per la domanda: “Ma Scalfaro è davvero cattolico?”. Non viene condannato per vilipendio al capo dello Stato, invece, Umberto Bossi, che comunque si conquista una condanna per vilipendio al tricolore, usato in modo diciamo non consono a un patriota.
GLI ANNI passano e si arriva al settennato di Carlo Azeglio Ciampi. Popolare e amatissimo conquista molti record, tra cui quello di zero ingiurie, nessun vilipendio contro di lui. Ci pensa Giorgio Napolitano a ritornare su una buona media. È il 2007, Napolitano difende la senatrice a vita Rita Levi Montalcini dagli attacchi della destra e il “nero” Francesco Storace pronuncia queste parole: “È Napolitano, viste le posizioni che ha assunto, a meritarsi la patente di indegnità. Dovrei considerare improbabile che il capo della casta mandi i corazzieri a sedare i tumulti a Villa Arzilla”. Due anni dopo il Senato nega l’autorizzazione a processare Storace, il ministro Clemente Mastella non è d’accordo, ma il Tribunale di Roma giudica illegittimo l’atto con cui il guardasigilli prova ad autorizzare a procedere. Contro Napolitano, finiscono nel tunnel del vilipendio ancora Bossi (“terùn”), il giornalista Maurizio Belpietro e Antonio Di Pietro in doppia veste (indagato e presentatore di denuncia, nei confronti di Berlusconi).