Danilo Taino, Corriere della Sera 7/1/2014, 7 gennaio 2014
I BRIC? SORPASSATI. È PARTITA LA CARICA DEI MINT
Certe volte, un nome è miracoloso. Successe con i Bric, a cominciare dal 2001: non solo, appena riassunte dall’acronimo, Brasile, Russia, India e Cina furono identificate sui mercati come i «veri» Paesi emergenti; l’essere state elette al top delle beneficiarie della globalizzazione galvanizzò quelle economie, i governi si sentirono responsabili di accudire al nuovo status; e sul piano istituzionale, Brasilia, Mosca, Delhi e Pechino hanno addirittura formato un club di coordinamento, prima a quattro, poi ampliato al Sudafrica. Ora, si direbbe che l’economia del mondo è entrata nella fase post Bric. Nel senso che altri gruppi di Paesi sono identificati come le stelle future della globalizzazione: è il caso dei Mint — Messico, Indonesia, Nigeria, Turchia. E anche nel senso che, 12 anni dopo la nascita, lo stesso Bric va sottoposto a check-up.
L’idea dei Mint è lanciata in questi giorni con una serie di trasmissioni della Bbc (la prima ieri) da Jim O’Neill, l’economista che inventò e propagandò il concetto di Bric quando era capo del dipartimento economico della banca Goldman Sachs. In realtà, l’acronimo ha più di due anni: lo usava già nel 2011 il gruppo finanziario Fidelity. Con il marchio di O’Neill è ora destinato a entrare nella quasi ufficialità. Ciò che unisce Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia sono prima di tutto la popolazione e la demografia: grandi numeri (l’Indonesia è il quarto Paese al mondo per abitanti) e enormi masse i giovani che garantiscono manodopera attiva per i decenni a venire. Ma non solo questo, secondo O’Neill. Anche la loro geografia è economicamente vantaggiosa: il Messico al confine con gli Stati Uniti e nell’area di libertà commerciale nordamericana Nafta; l’Indonesia al cuore del Sud-Est asiatico, centro della maggiore crescita mondiale; la Nigeria potenzialmente leader del rinascimento africano di cui tutti parlano; la Turchia legata al mercato europeo e ponte verso l’Asia.
I punti deboli dei Mint sono parecchi: come d’altra parte lo erano e lo sono quelli dei Bric: corruzione, burocrazie inefficienti che ostacolano le riforme, infrastrutture spesso inadeguate, sistemi legali incerti. Ciò nonostante, O’Neill ritiene che queste siano conseguenze del loro «debole passato» e non le cause di un «debole futuro». Le volontà politiche di cogliere le opportunità sono, secondo l’economista, abbastanza forti: soprattutto in Messico, guidato da un giovane presidente riformista, Enrique Peña Nieto, 47 anni; ma anche in Nigeria e in Turchia (fatte salve le tendenze autoritarie del governo di Ankara); anche in Indonesia, O’Neill sostiene di essere rimasto sorpreso dalle volontà espresse dall’establishment di sostenere la crescita. Il lancio dell’idea dei Mint, inoltre, potrebbe galvanizzare questi Paesi, fino a fare immaginare che anch’essi prima o poi creino un club per coordinarsi e presentarsi sulla scena internazionale.
Siamo insomma di fronte alla seconda fase delle economie emergenti: quella in cui altri Paesi cercano di prendere la strada dei Bric. La finanza cerca da qualche anno di indovinare quali sono, oltre ai Mint. La banca Hsbc, ad esempio, ha individuato negli anni scorsi i Civet: Colombia, Indonesia, Vietnam, Egitto, Turchia. Goldman Sachs i Next 11, i prossimi undici: tra questi, a sorpresa, Bangladesh, Iran, Pakistan, Filippine, Egitto (Paesi potenzialmente con buone prospettive se la politica li accompagnerà). Ma non solo. Anche i Bric hanno bisogno di essere ricollocati. In particolare, la Russia ha visto cadere le proprie prospettive di crescita sotto al 3% annuo e l’India ha rallentato sostanzialmente a meno del 5%. Intanto, altre economie emergono, altri Paesi si affermano sullo scacchiere mondiale.
Danilo Taino
@danilotaino