Federico Fubini, la Repubblica 7/1/2014, 7 gennaio 2014
UN’ACQUA MINERALE DA VENTIMILA EURO
LA SPENDING review di Carlo Cottarelli è agli ultimi giri di pista. Fra meno di due mesi il commissario chiamato da Fabrizio Saccomanni deve alzare il velo sulle prime proposte di tagli alla spesa e, per farlo, ha articolato un piano di lavoro per evitare la paralisi nella giungla di voci da analizzare. Per dirne una: solo fra il dicembre 2012 e il dicembre 2013, Palazzo Chigi ha affidato “in house” a Formez vari contratti per “monitoraggio e controllo in materia di contrattazione collettiva”.
VALORE degli accordi: 250 mila euro. Anche ammesso che davvero costi tanto caro «monitorare» dei contratti, resta da chiedersi che bisogno ce ne fosse: i contratti integrativi del pubblico impiego sono fermi da anni, sempre gli stessi.
Più volte a Cottarelli è capitato di porsi domande degne di uno che è sceso da Marte. Il commissario per la spending review viene dall’Fmi, dove si occupava di bilanci pubblici a grandi numeri aggregati come si fa nell’organismo di Washington. Ma forse proprio lo sguardo di un uomo che non era più abituato a qualcosa del genere è ciò che serve per vedere che il re è nudo. In altre occasioni ad esempio Cottarelli si è chiesto: «A che serve un ministero per la Coesione territoriale, se ce n’è già uno per gli Affari regionali?». Lo stesso interrogativo potrebbe replicarsi per le politiche antidroga, per le quali la presidenza del Consiglio spende oltre sei milioni di euro quando già il ministero per la Salute opera nello stesso campo. E così per una miriade di altre uscite.
Per la collezione delle bizzarrie del resto basta chiedere al professor Paolo De Ioanna. A lui, ex capo di gabinetto dei ministri del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi e Tommaso Padoa-Schioppa, Cottarelli ha chiesto di dare un’occhiata più da vicino alle spese della presidenza del Consiglio. E De Ioanna ha perso ben poco tempo per capire che servono provvedimenti strutturali, che riducano le uscite con qualche automatismo. Perché l’esame delle spese una per una rischia di portare in un labirinto in cui orientarsi è tutt’altro che semplice. Non solo i quasi ventimila euro in acqua minerale nei contratti di fornitura dell’ultimo anno, i 1.905 euro del 2013 in «fornitura liquidi e saponi per lavastoviglie », i 6.221 euro in «fornitura scatole con coperchio» (il tutto in carta e cartone) o i 2.181,59 euro in «noleggio lenzuola» (sic) per Palazzo Chigi presso la Epifani Aldo srl fra il 29 gennaio e l’8 febbraio 2013. Né sono solo i 25.730 euro mila euro in «lavaggio tende» nella stessa settimana in cui se ne spendono 3.953 in «acquisto tende » presso lo stesso fornitore, la ditta Torrenti di Roma. Fatture del genere appaiono sì difficili da spiegare, ma sono poco più che colore. Di questo passo la strada per arrivare ai 32 miliardi di euro di tagli previsti dal ministro Saccomanni può rivelarsi davvero un’avanzata nella giungla. Per restare alle più banali spese di funzionamento della presidenza del Consiglio, un’attenzione già maggiore meriterebbe la genesi di certi contratti «con procedure di necessità ed urgenza». Per esempio, viene fuori che nel dicembre del 2012 il dipartimento per gli Affari regionali, il turismo e lo sport ha concesso un contratto «mediante gara informale» da 228 mila euro «per appalto di servizi per la realizzazione di una campagna di comunicazione e di media relation internazionale e nazionale». Beneficiaria, un’impresa di Milano chiamata “International Strategic Communications” che non sembra avere un sito internet e, secondo la Guida Monaci, ha un capitale sociale di diecimila euro. È a un appaltatore così che Palazzo Chigi affida una campagna per il rilancio dell’immagine dell’Emilia dopo il terremoto.
Fare una operazione di spending review, in queste condizioni, rischia insomma di trascinare i suoi protagonisti in valutazioni difficili. I casi non scarseggiano. Non ci sono solo i circa 4000 euro di spesa nel 2013 in «fornitura caffè» e «fornitura caffè per le autorità politiche» di Palazzo Chigi. O i 1.300 euro per «spostamento di n. 5 fotocopiatrici». O i 740 euro per cambiare un doppio vetro. E passi per certi piccoli provvedimenti, come la scelta di dare nel giugno scorso 14.374 euro alla Legio XIII American Football per la realizzazione del progetto «Latin America Stars & Stripes». Può trattarsi, in questo caso, di un comprensibile investimento nell’integrazione delle comunità di stranieri che, per dimensioni, sembra più adatto a una giunta locale che non all’ufficio del premier.
Ma è in dettagli così che s’intuisce quanto difficile sia il lavoro che Saccomanni, ha affidato a Cottarelli. L’obiettivo resta una riduzione della spesa di 32 miliardi di euro in un triennio, il 2% del Pil. Lo 0,65% del Pil all’anno. Quando ancora guidava il dipartimento Politiche di bilancio del Fondo, Cottarelli ha seguito molti Paesi che hanno fatto di più in meno tempo. Ma oggi che è al Tesoro, Cottarelli sa bene che casi come quelli di Palazzo Chigi rivelano un problema. I tecnici come lui lo chiamano di «asimmetria informativa»: solo chi ha sabotato un motore sa come rimediare. Solo i dignitari di ciascuna amministrazione possono andare a colpo sicuro là dove si annidano gli sprechi nei loro uffici e intervenire. Cottarelli capisce di aver bisogno della collaborazione dei mandarini dello Stato, soprattutto se spendono troppo. Sa anche che è come chiedere ai tacchini di celebrare il Natale. Ma ai suoi gruppi di lavoro nei ministeri, del resto, il commissario ha detto chiaro che si riserva il potere di respingere le loro conclusioni e imporre le proprie, se alla fine non sarà soddisfatto.
Ciò metterà forse a tacere le resistenze burocratiche, non quelle politiche. Su quelle però Cottarelli resta altrettanto pragmatico. Fra fine febbraio e inizio marzo arriverà al dunque la prima infornata della sua spending review: si capirà allora chi faceva sul serio; e quale sarà eventualmente il prezzo politico di annunciare agli italiani che sul taglio degli sprechi (e delle tasse) si era solo scherzato.