Lorenza Castagneri, La Stampa 7/1/2014, 7 gennaio 2014
«LA MIA VITA DI SOGNATORE COLLEZIONANDO CAVALLI GIOCATTOLO»
Entri nella sua casa, affacciata sui Navigli, in un angolo di Milano ancora d’antan, e ti sembra di essere in un museo. Appoggiati su una mensola della cucina, sistemati sui mobili del salotto, persino in bagno vicino al lavandino. I cavalli giocattolo sono dappertutto. Guardi e non ti stupisci che Lorenzo Pianotti, 62 anni, sia considerato il maggior collezionista al mondo di questi oggetti. Nella sua vita ne ha raccolti più di mille e cinquecento.
Una parte li ha venduti, qualche anno fa. Gli altri sono tutti qui. Nella casa-museo, riconosciuta ufficialmente come tale anche dal Touring Club Italiano. O meglio, adesso sono metà qui e metà al civico 16, sempre lungo il Naviglio Pavese, là dove c’è la ex Fornace di Alzaia e dove, fino al 21 gennaio, è allestita la mostra «Cavalli da sogno e di leggenda e... Non solo cavalli».
«Abbiamo fatto praticamente zero pubblicità, eppure siamo sempre pieni - spiega -. Perché la verità è che tutti i bambini amano questi giocattoli». Lui, una vita trascorsa a stretto contatto con il mondo dell’arte come pittore, modello, vetrinista e stilista, non fa eccezione. «Da piccolo avevo due desideri. Volevo un pianoforte e un cavallo. L’ho sognato fin da quando ne ho visto uno per la prima volta. Ma noi eravamo persone semplici. Mio papà Giovanni faceva l’operaio, mia mamma Rosina era casalinga. Non potevano permettersi di far studiare me e i miei fratelli, figuriamoci di comprare un cavallo. Per scherzare mio padre mi diceva che da grande mi avrebbe regalato un asino per andare a vendere la frutta - ride -. Io allora mi infilavo un manico di scopa tra le gambe e immaginavo di essere un grande e coraggioso cavaliere in sella al suo destriero. Mi bastava così».
Ma i sogni che nascono da bambini non finiscono mai per davvero. Potranno essere difficili da realizzare, costeranno fatica, sembreranno quasi impossibili, eppure non se ne vanno. E un giorno tornano, quasi per caso. Non succede solo nelle fiabe. A volte può accadere anche in un’afosa giornata d’estate, in un negozio di antiquariato affacciato sulla piazzetta di Taormina. «Me lo ricordo come se fosse ieri - racconta Pianotti -. Era l’inizio degli Anni 70. Ormai vivevo a Milano da anni. Ero andato a trovare i miei genitori in Sicilia. Mi sentii come attratto da quella bottega piena di stampe, oggetti e mobili antichi. Entrai. E in una delle stanze trovai due cavallini in legno alti 15 centimetri. Diecimila lire l’uno. All’epoca ne guadagnavo 50 mila al mese. Non mi importava. Li comprai».
Quelli li ha chiamati Mario e Arturo, i primi due pezzi della sua immensa collezione. Negli anni se ne sono aggiunti centinaia di altri. Come quello acquistato a Milano, alle colonne di san Lorenzo, il primo «pezzo importante», pagato un milione e 700 mila lire. E poi vennero i cavalli dagli Stati Uniti, dalla Cina, dall’Inghilterra, dalla Germania e dalla Birmania. Cavalli a dondolo, cavalli fissi, con le ruote e a triciclo. Di legno e di pezza, di cartoncino e di plastica, di latta e di acciaio. Cavalli che alla fine diventano quasi reali.
C’è Medea, chiamata così perché i suoi occhi profondi e neri che paiono truccati con una massiccia dose di matita e di mascara assomigliano a quelli della divina Maria Callas. C’è Alessandro il Grande, enorme cavallo da giostra realizzato a metà Ottocento e poi c’è lui, il preferito di «papà» Lorenzo, Fortunato, frutto della creatività futurista di Fortunato Depero: una scultura alta e slanciata, dalla criniera color del fuoco, con un collo lungo e sottile che assomiglia a quello di una giraffa e dotata di un doppio dondolo. «Uno per avanzare e l’altro per tornare indietro», puntualizza il collezionista.
Ormai è un vero e proprio cultore della materia. Sul tema ha scritto tre libri, tenuto conferenze, organizzato mostre da Milano alla Sicilia. Nel 1999 Pianotti ha venduto i suoi primi 500 cavalli, tranne Mario e Arturo, a una grande azienda di giocattoli che, nel 2000, li ha sistemati in un museo tutto dedicato a loro, a Grandate, alle porte di Como. «Ma ho continuato ad acquistarne un po’ da tutte le parti. E solo con ciò che ho guadagnato con il mio lavoro. Nel giro di una decina di anni ne ho accumulati altri mille». Come Biscotto, dal manto dello stesso colore delle gallette o, ancora, l’esemplare appartenuto a una grande famiglia nobile di Ferrara. Tutti custoditi e curati personalmente da lui.
«Il valore complessivo della mia collezione privata? Almeno due milioni di euro», risponde Pianotti. Che ha ancora un altro sogno per i suoi gioielli. «Vorrei che trovassero una casa dopo che io non ci sarò più - racconta -. Mi piacerebbe donarli alla città di Milano. Tempo fa ho anche scritto al sindaco Pisapia. Bisognerebbe sistemarli in uno spazio adeguato. Un posto dove possano starci in tanti. Vede, nella mia casa non posso far entrare più di quattro o cinque persone alla volta. Io vorrei che venissero le scolaresche, i bambini degli oratori. Perché imparino anche loro a conoscere questo magnifico mondo incantato».